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Censura

Cancellata in America la pubblicità del nuovo libro di Bernard-Henri Lévy

Giulio Meotti

L'annuncio del saggio del filosofo francese è stato rifutato perché, spiega l'editore di Shelf Awareness Matt Baldacci, avrebbe causato troppe polemiche: "Abbiamo una responsabilità nei confronti dei nostri partner di librerie indipendenti"

Una nota rivista americana ha rifiutato di pubblicizzare un libro perché temeva che la parola “Israele” presente nel titolo potesse turbare il pubblico. Melanie Notkin, autrice e consulente di comunicazione, ha provato a pubblicare un annuncio per il nuovo saggio di Bernard-Henri Lévy, “Solitudine di Israele” (La Nave di Teseo in Italia), su Shelf Awareness, una rivista commerciale per professionisti dell’editoria. Il 9 ottobre, un rappresentante di Shelf Awareness ha detto a Notkin che il suo annuncio era stato approvato e che sarebbe stato pubblicato il primo novembre nella newsletter settimanale, inviata a oltre 600 mila lettori. Due giorni dopo, Matt Baldacci, l’editore di Shelf Awareness, ha informato Notkin che la rivista ci aveva ripensato.

 

Quando Notkin ha chiesto il perché, Baldacci ha accettato di parlarle al telefono. Nell’audio di quella telefonata, ottenuto in esclusiva dalla Free Press di Bari Weiss, Baldacci dice a Notkin che l’annuncio era stato rifiutato perché il libro avrebbe causato troppe polemiche. “Perché abbiamo annullato l’annuncio?”, Baldacci disse a Notkin. “Abbiamo una responsabilità nei confronti dei nostri partner di librerie indipendenti e pensiamo che pubblicare quell’annuncio nelle loro pubblicazioni, per alcuni di quei partner, avrebbe causato loro dei problemi che non hanno chiesto e che non desiderano avere”. 

 

Notkin ha detto alla Free Press: “Se il libro si fosse intitolato Black Alone, Gay Alone, Palestinian Alone, non sarebbe stato un problema. Se la parola ‘Israele’ è troppo scottante come annuncio a pagamento, cosa succederà quando comparirà la parola ebreo?”. Shelf Awareness si vanta sul suo sito web che “gli acquirenti di B&N” (ovvero Barnes & Noble) “e Amazon ci leggono ogni giorno”. Il mese scorso, il New York State Writers Institute ha annullato un panel letterario all’Università di Albany perché alcuni autori si sono rifiutati di condividere il palco con una “sionista”, Elisa Albert. Una libreria di Brooklyn ha annullato un evento letterario di un autore perché il rabbino con cui avrebbe dovuto parlare era un “sionista”. 

 

Joshua Leifer era in viaggio per un evento per il suo nuovo libro, “Tablets Shattered: The End of an American Jewish Century and the Future of Jewish Life”, quando ha ricevuto una telefonata dal suo addetto stampa. Avrebbe dovuto parlare con Andy Bachman, ex rabbino capo della Congregazione Beth Elohim, a Brooklyn, una delle sinagoghe riformate più note d’America. La conferenza era stata pianificata un mese fa e i biglietti  venduti, ma era sorto un grosso problema. Il personale della Powerhouse, una libreria artistica, dove si sarebbe dovuta tenere  la discussione, accusava il rabbino Bachman di essere “un sionista”. Leifer, dottorando in Storia a Yale e collaboratore della  New York Review of Books, ha appreso che la conversazione avrebbe dovuto evitare “territori scomodi”. Mezz’ora dopo, il suo addetto stampa lo ha chiamato di nuovo per dirgli che Powerhouse non era disposta a ospitare la presentazione del libro. A Bachman l’esperienza ha fatto venire in mente la disillusione espressa da George Orwell in “Omaggio alla Catalogna”: “Uno degli effetti più tristi di tutto questo è stato insegnarmi che la stampa di sinistra è tanto falsa e disonesta quanto quella di destra”.

 

“Censurato per la prima volta”

“Per la prima volta nella mia vita, sono stato censurato” racconta intanto Bernard-Henri Lévy sul Wall Street Journal. “All’inizio sono rimasto sbalordito. Ho trovato difficile credere che un libro di riflessioni, scritto da un filosofo, potesse essere inserito nella lista nera semplicemente a causa della presenza della parola ‘Israele’ sulla copertina. Ho trovato quasi incredibile che il nome Israele possa diventare impronunciabile in una parte di questo grande paese, che dall’Olocausto è stata la seconda patria degli ebrei e i cui soldati hanno liberato Auschwitz. Ma eccoci qui. Sembra che nessun autore ebreo, nessuno lontanamente collegato all’ebraismo, sia al sicuro da questo tipo di esclusione. Vent’anni fa, ho viaggiato attraverso gli Stati Uniti, ripercorrendo le orme di Alexis de Tocqueville. Essere fedeli a Tocqueville oggi significa fare lo stesso viaggio, ma confrontarsi con questa bestia, che pensavamo fosse confinata all’Europa, e che minaccia di distruggere il paese di George Washington, John F. Kennedy e Martin Luther King”.  Ma il famoso visconte non poteva prevedere la tirannia delle minoranze.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.