il post voto
La Georgia teme di perdere il suo momentum
Non più grandi proteste continue, ma piccole manifestazioni frequenti mentre presidente, opposizione e osservatori lavorano sulla lista delle falsificazioni. Il problema è iniziato prima del voto: il racconto dell’analista dell’Atlantic Council
Tbilisi, dalla nostra inviata. Due giorni prima delle elezioni in Georgia, la polizia ha fatto irruzione a casa di Sopo Gelava, ricercatrice dell’Atlantic Council. Lo stesso è accaduto alla sua collega, Eto Buziashvili. Le due analiste hanno sentito i poliziotti arrivare, hanno subìto la perquisizione nei loro appartamenti, i loro computer sono stati confiscati insieme a quelli delle loro famiglie e i conti bancari sono stati congelati. Il voto non c’era ancora stato, l’opposizione era ancora convinta di poter affrontare Sogno georgiano alla pari, e aveva messo in conto un margine di brogli grosso modo governabile. “Le elezioni – spiega Sopo Gelava – non vengono rubate necessariamente il giorno del voto, il processo è più lungo e in Georgia era iniziato con intimidazioni e violenze contro la società civile. La stessa legge sugli agenti stranieri era stata approvata in ottica elettorale”. Anche il panorama mediatico, racconta la ricercatrice, era ormai cambiato da tempo.
“Sono due anni che l’informazione viene stravolta, poi c’è stata un’accelerazione negli ultimi tempi, volta a presentare l’occidente come bellicoso, un partner pericoloso”. Gelava elenca anche un altro metodo di pressione sul voto: “Ci sono i dipendenti pubblici e le persone che hanno accesso ai servizi sociali, che da un giorno all’altro possono rimanere senza nulla, e su cui il governo ha un’arma forte di ricatto. E al fianco di tutte queste cose ci sono le violenze fisiche e infine i brogli sui quali ogni giorno vengono presentate prove, video, immagini da dentro e fuori il seggio, testimonianze del fatto che la segretezza del voto non è stata rispettata: attivisti, osservatori, tutti stanno raccogliendo fatti e numeri, poi sarà importante l’inchiesta internazionale”, che però deve essere Sogno georgiano ad autorizzare e nel frattempo, per mostrare di non essere disposto a cedere, ha fatto convocare per un interrogatorio la presidente Salomé Zourabichvili, per parlare con la procura delle prove di brogli che dice di avere.
La lista che l’opposizione promette di presentare con le frodi che ci sarebbero state il 26 ottobre dovrebbe essere soltanto la punta di un sistema più profondo, per capire il quale, i georgiani che manifestano contro il governo chiedono l’inchiesta internazionale. Gelava dice: “Sono ottimista, l’occidente ha molte leve su questo governo e c’è la possibilità di porre fine a questo clima di intimidazioni, falsificazioni. Non credo che la Georgia possa diventare come la Bielorussia, abbiamo una storia diversa: Minsk poi è dipendente da Mosca, è integrata con il sistema del Cremlino, la Georgia ha un’altra storia, i rapporti con l’occidente sono già stretti”.
Gli occhi dei georgiani che chiedono di ripetere il voto sono puntati verso gli alleati internazionali, ma c’è anche una questione interna da tenere d’occhio e riguarda la capacità e la volontà dei cittadini di continuare a tenere il punto, di presentarsi sotto il palazzo del governo per mostrare che non fanno passi indietro, che si sentono defraudati e non lasceranno stare. Mentre si studiano i brogli, la strada ha il compito di non perdere il momentum e dopo la grande manifestazione di lunedì sera, è sembrato che la piazza georgiana abbia ormai tempi diversi rispetto alla primavera scorsa, non è più un corteo insonne. Gelava sostiene non sia una questione di momentum, dice che non è il conto delle manifestazioni a dimostrare quanto i georgiani credano o meno a questa battaglia: “Io ho sempre manifestato, ma è difficile mantenere una grande protesta ogni giorno. Stanca, sfianca, e alla fine si percepisce quando l’intensità è ridotta. Lo abbiamo fatto in primavera ora è diverso, si vedono proteste più piccole, ma in potenza più frequenti: protestano per esempio gli attori a teatro o gli accademici. Un gruppetto di venti ragazzi che marcia verso il Parlamento è comunque una notizia di resistenza, vuol dire che ogni giorno qualcuno fa qualcosa”.
Già in primavera, dall’Università statale di Tbilisi erano partite alcune delle marce più interessanti della città, guidate dal gruppo Dafioni, “è un termine che indica la luce del tramonto”, spiega Konstantine, il suo leader, un ragazzo sempre in mimetica, con gli occhiali, che dice di aspettarsi di tutto da questo governo, anche più violenza. “Noi abbiamo i nostri piani, sappiamo di essere la maggioranza, però dobbiamo continuare a farci sentire, non possiamo perdere vigore”. Konstantine ha sulla maglia il tridente ucraino, è stato a portare aiuti umanitari al fronte, avrebbe voluto fare di più, racconta, ma non glielo hanno permesso. Sfila davanti a tutti tenendo in mano un cartellone come se fosse uno scudo: Dafioni si muove come una testuggine romana di ventenni che non sorridono.
Ognuno ha il suo posto in questi giorni tetri dopo il voto, in cui non c’è voglia di festa, di gioco, di manifestazioni con canti e balli. Non c’è gioia, ci si organizza per non lasciare che il governo usi la risorsa che crede di avere dalla sua parte: il tempo. La presidente invita a stilare la lista dei brogli, gli analisti sminuzzano video, documenti e trovano frodi, i manifestanti scendono in strada e anche se ognuno lo fa al suo ritmo, non importa: per ora basta che a presidio, con una bandiera georgiana sulle spalle, ci sia sempre qualcuno.
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