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Putin non è più così influente in Asia centrale, pure se ne ha bisogno

Davide Cancarini

Il Kazakistan ha rimandato al mittente una richiesta di adesione ai Brics da parte della Russia. L’Uzbekistan ha annunciato che per il momento non entrerà a far parte ufficialmente dell’Unione economica eurasiatica. I motivi dello scetticismo di Astana e Tashkent

Gli sforzi del presidente russo Vladimir Putin per mostrarsi tutt’altro che isolato dal punto di vista internazionale, che hanno trovato una delle loro massime espressioni nel vertice dei Brics a Kazan la settimana scorsa, non hanno avuto successo in Asia Centrale. Appena prima dell’inizio del summit, il Kazakistan ha rimandato al mittente una richiesta di adesione al gruppo proveniente della Russia. Il presidente kazaco, Kassym-Jomart Tokayev, ha preso parte ai lavori sostenendo il ruolo russo nell’area eurasiatica, ma nelle fase immediatamente precedente alla conferenza aveva ribadito la volontà della repubblica centroasiatica di rimanere ancorata alle Nazioni Unite senza entrare a far parte dei Brics a tutti gli effetti. La reazione del Cremlino non si è fatta attendere. Se in un primo momento il portavoce Dmitri Peskov ha utilizzato toni più concilianti, successivamente il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha chiesto con molto più vigore un chiarimento da parte del Kazakistan sulla mancata adesione. Contestualmente la Russia ha anche interrotto l'importazione di una lunga lista di prodotti agroalimentari provenienti dal Kazakistan, sulla base di presunte mancanze dal punto di vista dei controlli sanitari. Una ripicca da parte di Putin, che ha vissuto il vertice dei Brics come un banco di prova per l’influenza russa a livello globale.

   

Dopo poche ore, un altro colpo è risuonato a Mosca. L’Uzbekistan ha a sua volta annunciato che per il momento non entrerà a far parte ufficialmente dell’Unione economica eurasiatica, altra organizzazione cui Putin tiene molto e che vede la partecipazione, oltre alla Russia, dell’Armenia, della Bielorussia, del Kirghizistan e del Kazakistan. Il rifiuto è stato motivato anche menzionando proprio quest’ultimo e i pochi vantaggi che Astana avrebbe ottenuto dalla sua adesione. Il niet di Tashkent appare ancora più clamoroso, considerando che il Cremlino porta avanti da anni un corteggiamento serrato nei confronti dell’Uzbekistan, che attualmente ricopre solamente il ruolo di paese osservatore all’interno dell’Unione. Con i suoi 35 milioni di abitanti, la repubblica centroasiatica farebbe compiere un salto demografico notevole all’alleanza commerciale, aumentandone significativamente il peso e il significato.

 

Oltre che dal punto di vista diplomatico, questa sequenza di porte in faccia rischia di ripercuotersi sulla Russia anche su un fronte più concreto. Come è stato riportato dal Moscow Times, il ministero dei Trasporti di Mosca sta trattando proprio con Kazakistan e Uzbekistan per far sì che gli aerei delle compagnie dei due paesi coprano la mancanza di aeromobili per i voli interni che gli operatori russi stanno sperimentando a causa delle sanzioni occidentali. Come riportato dalla società di consulenza Oliver Wyman, prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina, la flotta aerea russa contava circa 850 aerei, dato sceso a poco più di 730 nel corso del 2023. Tale quota potrebbe  dimezzarsi entro il 2026 se le sanzioni venissero confermate fino a quella data. Non solo, la mancanza di parti di ricambio e la difficoltà nel garantire rifornimenti sufficienti a coprire anche eventuali cambiamenti dell’ultimo secondo nei piani di volo ha fatto sì che le compagnie russe lo scorso anno abbiano dovuto fronteggiare 74 situazioni di emergenza, contro i 36 casi del 2022.

 

Difficilmente su quest’ultimo fronte le due repubbliche centroasiatiche potranno evitare di dare il proprio aiuto alla Russia. Da due anni e mezzo  a ogni “fuga in avanti”, che lascerebbe presupporre un distanziamento da Mosca, hanno fatto seguito decisioni molto più accomodanti nei confronti dello storico alleato. In realtà in questo caso, almeno parlando del Kazakistan, non è avvenuto: dopo la mossa relativa ai Brics, il viceministro degli Esteri kazaco Roman Vasilenko ha dichiarato che Astana non vuole che il proprio territorio venga utilizzato per aggirare le sanzioni imposte alla Russia. Un uno-due che molto probabilmente non è passato inosservato al Cremlino.

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