difesa all'italiana
Più Strade Sicure e meno missioni internazionali: la strana manovra di Meloni
Il governo che vuol “difendere i confini” non risolve le grane dei militari. I numeri per la Difesa nella legge di bilancio fra luci (aumentano gli investimenti) e parecchie ombre
Mentre sul dossier migratorio il governo rivendica il suo impegno nel difendere i confini del paese, la nuova legge di Bilancio lascia intatti i vecchi problemi che riguardano coloro che di difesa dei confini si occupano ogni giorno: i militari. Premessa: nei mesi scorsi il ministro della Difesa, Guido Crosetto, aveva prefigurato svolte imminenti nell’organizzazione del settore. Ma sfogliando il testo presentato ora in Parlamento, sono pochi gli aggiustamenti significativi. Partiamo dalla tanto agognata soglia di spesa del due per cento del pil, diventata ormai una chimera. La spesa del nostro paese resta piantata a circa l’1,49 per cento del pil e lo stesso Crosetto aveva avvisato che “l’obiettivo è importate ma difficile”. Se l’Italia resta uno dei pochi paesi Nato a disattendere gli impegni presi con gli alleati, è invece il leader incontrastato fra quelli dell’Alleanza per un altro capitolo, quello della spesa per il personale, voce per la quale l’Italia devolve circa il 70 per cento del budget.
Nessuno come noi nella Nato spende così tanto per il personale, a maggior ragione se si considerano le sproporzioni che gravano sulle nostre Forze armate. Sproporzioni che questa legge di Bilancio, nonostante le promesse fatte, non risolve. L’obiettivo di raggiungere “quota 160 mila” effettivi entro il 2034, come previsto dalla legge 119 del 2022, è lontano. Lo scorso maggio, il capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, aveva detto che ne servirebbero almeno 170 mila di uomini, come livello minimo. “Siamo assolutamente sottodimensionati”, aveva avvisato. Finora però il governo Meloni si è limitato ad attuare la delega, ma senza adottare le iniziative più importanti per “incrementare le dotazioni organiche complessive di personale militare altamente specializzato”. La legge di Bilancio non cita stanziamenti nemmeno per i famosi diecimila riservisti ausiliari di cui tanto il governo aveva parlato a inizio dell’anno per fronteggiare lo scenario attuale, in particolare la minaccia russa. Il problema, oltre all’età media troppo elevata, resta il surplus di marescialli – il totale è al momento il doppio rispetto alla soglia ideale – e di ufficiali – 2 mila in più rispetto al necessario – a fronte invece di un bisogno emergente di truppe. Altra voce critica è quella dell’esercizio, ovvero della spesa destinata a finanziare addestramento e supporto logistico del personale – formazione, caserme, poligoni. Qui l’aumento per il 2025 è di appena 130 milioni di euro. Spiccioli, secondo Giovanni Martinelli di Analisi Difesa, “se si pensa che negli Stati Uniti la spesa per l’esercizio ammonta a circa il 30-40 per cento del budget mentre in Italia è al dieci per cento”.
Ma sarebbe sbagliato dire che il governo non ha messo mano alla voce relativa al personale nella legge di Bilancio. In effetti lo ha fatto, aumentando però la spesa: 11.340 milioni di euro in più stanziati per il prossimo anno, con un aumento di oltre 200 milioni. Un flusso di denaro inarrestabile che, paradossale ma vero, va di pari passo con un calo del personale che in dieci anni ha perso 9.500 dipendenti militari e altri diecimila civili.
Il governo ha poi deciso di prorogare l’operazione ‘Strade Sicure’, che ha raggiunto il traguardo dei 16 anni di ininterrotta attività. Quasi 7 mila uomini saranno impiegati fino al 31 dicembre del 2027 in strade e stazioni con una spesa annua di 240 milioni di euro. Eppure, lo scorso luglio il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Carmine Masiello, era stato chiaro nell’esprimere il suo personalissimo parere sulla sostenibilità dell’operazione, dato il particolare contesto internazionale. Intervenuto in commissione in Parlamento, Masiello aveva ricordato come “‘Strade Sicure’ sottrae costantemente l’equivalente di 12-14 reggimenti di manovra all’addestramento al combattimento. Tale costante e prolungato impiego ha un effetto diretto e cumulativo sul livello di preparazione della Forza armata rispetto all’assolvimento delle missioni istituzionali”.
E se un’operazione dispendiosa resta al suo posto, spicca il taglio per le missioni internazionali riferito al 2025. 1.345 milioni di euro per il prossimo anno con una riduzione di oltre 200 milioni rispetto al 2024. Una riduzione incomprensibile, se si pensa che il nostro paese resta invece il secondo contributore al mondo alle missioni internazionali, da quelle dell’Onu – di recente si parla molto di rafforzare Unifil in Libano – a quelle dell’Ue e degli accordi bilaterali.
In un paese impegnato a etichettare la Difesa come la voce di spesa “cattiva” per antonomasia, c’è chi non ha mancato di contestare invece l’aumento degli investimenti nel settore, previsto in questa legge di Bilancio. Circa nove miliardi di euro stanziati per il ministero della Difesa, a cui vanno aggiunti altri tre miliardi che fanno capo al ministero delle Imprese e del Made in Italy, andranno a rilanciare il settore dell’ammodernamento – in ballo ci sono le commesse per aumentare la flotta di F-35, per il progetto Eurofighter Typhoon e per le fregate Fremm di nuova generazione, ma anche il settore dei blindati e dei carri armati per l’esercito. Aspetti positivi che però non piacciono a chi, tra i partiti di opposizione, considera questo denaro uno sperpero a fronte dei tagli che hanno colpito Sanità e Ambiente. In primis è il M5s a contestare l’aumento dei fondi destinati per la Difesa, con una critica che però si scontra con i fatti. Fra questi, c’è quello che fa risalire al governo Conte 2 il primo vero balzo in alto delle spese: 25,6 miliardi di dollari spesi dall’Italia nel 2021, con il M5s al governo, contro il 24,1 del 2020 e i 22,5 del 2019, secondo le stime Nato. E fu sempre Conte, tra il 2018 e il 2019, a rinnovare l’impegno del paese per raggiungere quota 2 per cento del pil per le spese nella Difesa. Un impegno eluso con uno sforzo altrettanto bipartisan da tutti i governi, incluso quello attuale.