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l'editoriale dell'elefantino

C'è speranza in America se anche i conservatori vanno contro Trump

Giuliano Ferrara

Per imporsi con il suo ego dilagante e assoluto, l'ex presidente deve fare terra bruciata dei conservatori. Molti di loro hanno capito che votare per Harris vuol dire salvare il salvabile di uno stile e di idee che per tornare a contare devono sbarazzarsi dell’equivoco mondo MAGA

Trump incita a sparare su Liz Cheney. Lei è la figlia di Dick Cheney, il vice di George W. Bush, ultima presidenza dei conservatori e repubblicani americani (Trump non è conservatore né repubblicano: è Trump, il capo di una rivolta di massa contro la democrazia americana). Liz è espressione di una minoranza politica perdente, per il metro di misura del candidato che può battere Kamala Harris a colpi di testosterone e di razzismo questa donna minuta e tenace non varrebbe il costo della pallottola, anche metaforica, a lei destinata. Una perdita di energia e di tempo. Eppure la campagna dei Cheney per Harris segnala l’altro vero contenuto politico della battaglia in corso negli Stati Uniti. Trump contro i progressisti o liberal, contro la coalizione delle minoranze identitarie e l’ideologia correttista, d’accordo, ovvio. Poi c’è Trump contro i conservatori. 

 

I conservatori americani sono quelli che hanno il senso dello stato e della nazione, che vedono il loro paese come il centro di un equilibrio mondiale fondato sull’opposizione della democrazia occidentale alle autocrazie e al ribollire confuso e minaccioso del sud del mondo, sono il partito delle grandi alleanze imperniate sull’atlantismo e sull’asse con l’Europa, sono gli ultimi che hanno tentato, prima con Reagan e poi nella versione neoconservatrice, un esperimento di ordine mondiale fondato sull’imperialismo democratico, sono la storia e la forza delle vecchie istituzioni, sono un soggetto al tempo stesso classico e modernizzatore ancorato ai mercati, al libero commercio internazionale, alla salute fiscale del bilancio. Per svuotare di senso la democrazia americana e sostituirla con l’ego dilagante e assoluto di un autocrate bizzarro, patologico, raccordato alle idiosincrasie del populismo e del nazionalismo, bisogna certo battere i liberal, ma prima di tutto fare terra bruciata dei conservatori, sparargli, allenare su di loro come bersagli i fucili in mano al popolo. Quella di Trump pistolero contro Liz non è solo una gaffe, un’enormità illegale, una delle tante manifestazioni di odio sfacciato, iperbolico, è una necessità politica.  

 

Lo hanno capito Brett Stephens, con particolare lucidità e disincanto, e molti altri: votare per Harris e far perdere Trump vuol dire salvare il salvabile di uno stile e di idee e esperienze che con Harris e con l’obamismo non hanno nulla a che fare, ma che per tornare a avere voce nella politica americana e mondiale devono sbarazzarsi dell’equivoco mondo MAGA. Certo, era più facile con Joe Biden, vecchio politico centrista e pilastro dell’establishment tradizionale verso il quale, dopo l’esito delle ultime presidenziali, contestato dall’insurrezione golpista e cornuta del 6 gennaio, la convergenza dei conservatori aveva qualcosa di meno innaturale di quella richiesta oggi per il voto democratico a Kamala Harris. Furono repubblicani ancora memori della lezione del Grand Old Party, funzionari e giudici, anche nominati da Trump negli anni precedenti, a demolire le pretese di rovesciare il risultato (novembre 2019) dei Giuliani e degli altri della cricca. Sono venute da loro, dall’interno della vecchia amministrazione Trump, e dall’esercito e dall’intelligence, le critiche più dure alle pretese dell’Arancione, perfino le accuse di fascismo. Una piccola ma significativa speranza è appesa anche a questo scontro tra conservatori e populisti, altrettanto significativo di quello più scontato, ovvio, che oppone le élite democratiche, le donne invitate da Julia Roberts a tradire i mariti trumpiani nell’urna (Dio ti vede, tuo marito no), all’orda dei deplorables.

       

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.