Antisemitismo queer
L'Internazionale lgbt caccia Israele, unico rifugio dei gay palestinesi in fuga dalla sharia
Ilga, l’associazione internazionale che riunisce più di quattrocento sigle in tutto il mondo, sospende la principale organizzazione israeliana. Agli occhi dei custodi dell’arcobaleno ha la colpa di essere pur sempre “sionista”
Lo scorso febbraio, un tribunale di Tel Aviv ha sentenziato che i gay palestinesi in pericolo a causa del loro orientamento sessuale possono richiedere asilo in Israele. Il giudice Michal Agmon-Gonen ha approvato l’appello di un palestinese della Cisgiordania. A difenderlo c’era Aguda, la più importante organizzazione lgbt israeliana. Ora la clamorosa decisione dell’Ilga, l’associazione internazionale che riunisce più di quattrocento gruppi lgbt in tutto il mondo. O meglio, quattrocento meno uno: Israele. Ilga World ha annunciato la sospensione proprio di Aguda, l’organizzazione israeliana che difende i palestinesi che scappano dalla sharia, ma che agli occhi dei custodi dell’arcobaleno ha la colpa di essere pur sempre “sionista”.
Non stanno sostenendo che i diritti gay siano migliori nell’Autorità nazionale palestinese o sotto Hamas che in Israele. Il loro vero argomento è che i diritti gay sono molto meno importanti della distruzione di Israele. Non è “pinkwashing”, ma “pinktrashing”.
Dal 7 ottobre, un certo antisemitismo è diventato queer. Non solo David Keshet Italia, l’organizzazione ebraica italiana Lgbt, ha evitato di farsi vedere ai Pride per timore di subire aggressioni. A giugno, la più grande organizzazione Lgbt inglese, KeshetUK, ha deciso che non avrebbe preso parte alla marcia del London Pride dopo aver ascoltato i membri che “non si sentono al sicuro”. La Chicago Dyke March ha vietato le bandiere con la stella di David ed espulso i manifestanti che hanno espresso “sostegno al sionismo”. E se a Cincinnati gli ebrei scappavano dal Pride dopo aver ricevuto minacce di morte, a Philadelphia, la “città dell’amore fraterno”, i festeggiamenti venivano rovinati dai manifestanti Lgbt filo Hamas.
Il comico americano Bill Maher in una lettera aperta si è appena rivolto così alla cantante Chappell Roan, una delle tante icone queer pro Palestina: “Chappell, se pensi che sia stato repressivo crescere queer nel Midwest, prova il medio oriente. Sei una drag queen e canti ‘scopo in bagno quando i miei genitori sono a tavola’. Ma a Gaza lo faresti direttamente da un tetto. Come quando canti che Los Angeles è dove ragazzi e ragazze possono essere tutti regine ogni singolo giorno. I palestinesi e molte altre popolazioni musulmane sono oppresse e meritano di essere liberate, hai solo completamente sbagliato su chi sta opprimendo. Chappell, sei una cantante e stai difendendo un posto e una cultura in cui non vorresti mai vivere: il genere sarà anche non binario, ma giusto e sbagliato lo sono”. Ilga World elenca fra i suoi membri organizzazioni di paesi come Afghanistan, Iran, Russia e Congo, dove i gay non esistono ufficialmente. Ma “non possiamo incolpare un credente di essere omofobo se la sua religione glielo impone”, come ha detto Amal Bentounsi, candidata del Fronte popolare, i barricaderi goscisti contro la destra lepenista in Francia.
Però l’Internazionale lgbt “pinkwasher” elenca anche due “organizzazioni gay palestinesi”. Aswat è l’unica organizzazione palestinese lesbica. “Palestinese” si fa per dire, perché opera da Israele e celebra il suo anniversario a Haifa, la città più multietnica di Israele. E poi c’è la Al Qaws for Sexual and Gender Diversity in Palestinian Society, che di palestinese ha ben poco da quando l’Autorità palestinese nel 2019 ne ha sospeso le attività, che continuano a Haifa, Jaffa e Gerusalemme est, ovvero in Israele.
Ma per dirla con Judith Butler, intellettuale iper fluida e madrina del gender che vede “resistenza armata” ovunque, “c’è una vibrante vita gay in Palestina”. E pazienza se esista soltanto sottoterra o in cima a un tetto.