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gli stati uniti al voto

La lotta di Trump contro il politicamente corretto è una grande impostura

Claudio Cerasa

L'ex presidente può essere davvero un vaccino contro il wokismo? Come smontare un grande inganno   

Tra le imposture infinite che con sfumature inquietanti riguardano il profilo di Donald Trump ce n’è una che più delle altre merita di essere messa a fuoco e che ha a che fare con quello che è uno dei grandi cavalli di battaglia dei follower dell’ex presidente degli Stati Uniti, e speriamo che quell’ex rimanga anche nelle prossime ore, dopo l’esito del voto americano di questa notte. Il cavallo di battaglia coincide con un’affermazione rotonda e roboante fatta propria in questi anni da Trump e il tema chissà quante volte avrà fatto capolino sui vostri palinsesti e sulla vostra timeline. Sintesi estrema. Trump lo si può criticare quanto si vuole su innumerevoli argomenti. Ma la sua lotta contro il politicamente corretto è sacrosanta e andrebbe sostenuta anche da chi non si considera un suo sostenitore. Da un certo punto di vista non c’è dubbio che l’ascesa di Trump sia legata anche agli effetti generati dalla diffusione pervasiva del politicamente corretto negli Stati Uniti. Ma gli ultimi otto anni di trumpismo, quattro alla Casa Bianca e quattro all’opposizione, sono una testimonianza vivente e nitida della presenza di una clamorosa impostura sotto la voce “Trump vaccino contro il politicamente corretto”.

La lotta sana contro il politicamente corretto, contro la cancel culture, contro il wokismo, contro l’affermazione di un pensiero unico  che tende a bannare, eliminare e rimuovere tutti coloro che non si adattano al perbenismo intollerante del pensiero unico progressista è una lotta il cui fine, quando questo è genuino, non è solo ristabilire un equilibrio tra ciò che si può dire e ciò che non si può dire, ma è una lotta il cui fine è quello di ristabilire i giusti confini della società aperta, e delle democrazie liberali, evitando che vi sia una forma di estremismo tale da far diventare una bolla che è lontana dalla nostra come una bolla da cancellare al più presto. Non c’è dubbio che il populismo trumpiano sia un nemico giurato del wokismo, per dire, ma non c’è neppure alcun dubbio su un fatto speculare. Ovverosia che la lotta di Trump contro il politicamente corretto  è una lotta il cui fine non è andare a riequilibrare la democrazia liberale ma è andare a trasformare tutto ciò che si oppone alla sua dottrina in un nemico non solo da combattere, da fronteggiare, ma da cancellare, da rimuovere, in alcuni casi persino da arrestare. 

 

Al contrario dunque delle battaglie sane contro la cancel culture, contro il pensiero unico, contro il wokismo, le battaglie di Trump non hanno come obiettivo numero uno quello di rafforzare i cosiddetti valori liberali incarnati dall’America ma hanno come obiettivo principale quello di legittimare tutti coloro che dalle posizioni più varie – complottisti, estremisti, populisti, golpisti, dittatori, propalatori di fake news, teorici delle verità alternative – possono essere considerati alleati utili a scardinare le impalcature liberali che avrebbero permesso in questi anni al politicamente corretto di diffondersi nel mondo. In questo senso, quella che Trump offre quando promette di utilizzare l’esercito contro i nemici, quando promette di arrestare chi gli ha remato contro nella giustizia americana, quando sostiene che non sarebbe dispiaciuto se qualcuno sparasse addosso ai media infedeli, quando ammette che sarebbe pronto a liberale i patrioti che hanno assediato Capitol Hill il 6 gennaio di tre anni fa per non riconoscere la vittoria di Biden, quando dice che avrebbe voluto avere dei generali fedeli a lui come lo erano quelli che aveva a disposizione Hitler, non è una polarizzazione, né un banale scontro tra due modi diversi di osservare il mondo, destra o sinistra, democratici o repubblicani. E’ qualcosa di più. E’ l’uscita da un confine, è la trasformazione del caos nell’unica ribellione possibile all’ordine prestabilito, è il tentativo di combattere il wokismo, il politicamente corretto, la cancel culture non difendendo la grandezza dell’occidente libero ma difendendo una forma di libertà precisa, la libertà di essere estremisti, con un’altra forma di cancellazione, che questa volta non ha come obiettivo l’eliminazione di un pensiero sgradito ma più semplicemente gli ingranaggi non negoziabili della democrazia liberale, e di quella più importante del mondo. Dita incrociate e viva l’America che apre gli occhi di fronte agli impostori della libertà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.