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L'editoriale del direttore

Irresponsabili che sognano un'Italia più vulnerabile

Claudio Cerasa

L’urgenza a destra di un vaffa day contro gli utili idioti del trumpismo nemici della libertà: tenerlo lontano dal nostro paese è il compito di chi ha a cuore la libertà del mondo e l'amore per le democrazie liberali

Prima Trump, dopo gli italiani. Nel momento in cui questo giornale va in stampa non sappiamo con certezza quale sarà l’esito delle elezioni americane ma sappiamo con certezza che, in attesa del giudizio universale sul futuro dell’America, quello di cui l’Italia ha bisogno è semplice, ed è augurarsi che, a partire da oggi, a prescindere dall’esito elettorale, il trumpismo venga tenuto alla larga dal nostro paese. E chiunque abbia a cuore la libertà del mondo, la cultura dello stato di diritto, l’amore per le democrazie liberali, la lotta contro il complottismo, dovrebbe organizzarsi, soprattutto a destra, per sostenere nel nostro paese un grande vaffa contro il virus trumpiano. Non sappiamo con certezza quale sarà l’esito delle elezioni americane ma sappiamo con certezza che prima di tutto a destra bisognerebbe seguire il modello Marina Berlusconi, Trump no grazie, e i pochi campioni del pensiero conservatore che in questi mesi hanno sostenuto il modello del “never Trump” in Italia e che in questi mesi hanno cercato di ricordare che chi ha a cuore i valori non negoziabili di una società aperta, chi ha a cuore l’interesse nazionale europeo, e soprattutto quello italiano, deve augurarsi che il trumpismo non venga foraggiato e alimentato e sostenuto anche nel nostro paese.

 

E nel dettaglio, se vogliamo, ci sono alcuni buoni motivi per considerare i trumpiani italiani, le cheerleader di The Donald, degli utili idioti al servizio di un’ideologia tossica potenzialmente nociva per il futuro dell’Italia. La ragione più semplice e più intuitiva da comprendere riguarda il benessere economico del nostro paese ed è persino comico che ad aver tifato in questi mesi per Trump sia stato più di ogni altro il partito che ha maggiormente scommesso su uno slogan famoso: “Prima gli italiani”. Il trumpismo, in questo senso, è la perfetta dimostrazione di come l’aumento del populismo, nel mondo, sia come la famosa farfalla il cui battito delle ali può produrre effetti in giro per il mondo. E nel caso specifico dell’Italia, e dell’Europa, il trumpismo ha tutti gli ingredienti economici per rendere più vulnerabili paesi la cui crescita è direttamente proporzionale alla capacità che hanno le proprie aziende di poter esportare nel mondo (l’export italiano, che nel 2023 è arrivato a toccare quota 626 miliardi di euro, vale un terzo del pil).

 

Trump, lo sapete, ha promesso di alzare a dismisura i dazi non solo per i prodotti che arrivano dalla Cina (60 per cento) ma anche per i prodotti che arrivano dall’Europa (10 per cento). E anche qui non ci vuole molto a capire che quando nel mondo si alzano barriere economiche chi ne paga le conseguenze più degli altri è chi vive di esportazioni. “Prima il trumpismo” uguale “dopo gli italiani”. Il secondo elemento utile da mettere a fuoco per comprendere per quale ragione l’esportazione del trumpismo in Italia sarebbe tossica, pericolosa, nociva, autolesionista riguarda la politica estera e riguarda in particolare la capacità dell’Europa di poter avere un alleato prezioso per proteggersi da quella che in prospettiva è e resterà una minaccia esistenziale: l’esondazione del putinismo nel nostro continente.

 

Gli utili idioti del trumpismo spacciano la dottrina diffusa da Trump per la quintessenza del pacifismo (lo fanno a destra ma su questo tema la sinistra estrema la pensa come la destra) ma anche qui non ci vuole molto a capire che un disimpegno americano in Europa renderebbe l’Europa più fragile di fronte a Putin e che ogni passo indietro dell’occidente in Ucraina coinciderebbe con un invito alla Russia di Putin di muovere in futuro altri passi in avanti in Europa. Prima Trump, dopo gli italiani. Un terzo elemento che dovrebbe incoraggiare gli utili idioti del trumpismo a respingere con forza la dottrina di The Donald anche in Italia riguarda la possibilità che la proliferazione del virus trumpiano possa incoraggiare anche nel nostro paese un ritorno a una cultura complottista, populista, nazionalista, xenofoba, razzista che potrebbe portare la destra di governo a fare passi indietro, a liberare i fantasmi del passato, a fomentare l’antieuropeismo, a spostare il baricentro dell’Italia verso il populismo orbaniano e ad abbracciare con forza una retorica fatta sempre più di capri espiatori e sempre meno di soluzioni, perfetta per conquistare le prime pagine meno per risolvere i problemi di un paese.

 

E anche qui non ci vuole molto a capire quanto sia pericoloso per il nostro paese avere un’agenda costruita seguendo più l’agenda della post verità che l’agenda della dura realtà. Prima Trump, dopo gli italiani. Il quarto punto da registrare è quello suggerito giorni fa dallo storico di destra Giordano Bruno Guerri, che a “Otto e mezzo”, su La7, ha detto che avrebbe votato senza dubbio per Kamala Harris per il semplice fatto che una vittoria di Trump rappresenterebbe l’affermazione di una forma pericolosa di democrazia autoritaria e avere un paese con un difensore in meno dei valori non negoziabili della società aperta significherebbe indebolire le infrastrutture dell’occidente libero rendendo dunque più vulnerabili le nostre democrazie, più frammentata l’Europa, più isolata anche l’Italia.

 

Prima Trump, dopo gli italiani. Non sappiamo con certezza quale sarà l’esito delle elezioni americane ma sappiamo con certezza che prima di tutto a destra bisognerebbe seguire il modello dei Never Trump italiani, bisognerebbe organizzare un vaffa day quotidiano contro il trumpismo e bisognerebbe far tesoro di quanto suggerito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella mesi fa, quando durante il discorso del Ventaglio, a giugno, ha esortato il governo, con parole chiare, a non legare la sua politica estera a ciò che succede in giro per il mondo, elezioni americane comprese. “Rimango sorpreso quando si dà notizia o si presume che vi possano essere posizionamenti a seconda di questo o quell’esito elettorale, come se la loro indubbia importanza dovesse condizionare anche le nostre scelte. Nessuno – vorrei presumere – ipotizza di conformare i propri orientamenti a seconda di quanto decidono elettori di altri paesi e non in base a quel che risponde al rispetto del nostro interesse nazionale e dei princìpi della nostra Costituzione. Questo vale sia per l’Italia sia per l’Unione europea”. Un vaffa day quotidiano contro gli utili idioti del trumpismo per proteggere l’Europa e l’Italia dagli irresponsabili che sognano di mettere la difesa dell’interesse nazionale su un piedistallo più basso rispetto alla difesa sciagurata delle ideologie tossiche cucite attorno al profilo dei nuovi e vecchi nemici della libertà. Prima Trump, dopo gli italiani.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.