(foto EPA)

L'editoriale dell'elefantino

Obama e i suoi si assumano qualche responsabilità per la sconfitta di Harris

Giuliano Ferrara

Dal sogno di apertura e correttezza estrema all’incubo smisurato. I liberal vogliono dirci qualcosa sul perché del fallimento alle elezioni americane?

Obama ha guidato gli Stati Uniti per otto anni. Poi è venuto Trump, che ha soddisfatto una sua vecchia ambizione dopo essere stato deriso dal presidente in carica, di cui negava la legittimità per via dell’anagrafe, e ha disceso la scala mobile della Trump Tower con una bomba di adrenalina in corpo. Una sentenza. Biden, con una campagna e un’amministrazione al cui centro erano gli uomini di Obama, essendone egli stato il vice per due mandati, è stato eletto presidente per i quattro anni successivi alla apparente caduta di Trump. Kamala Harris è stata scelta perché pupilla di Obama, con esiziale ritardo e incuranza per il suo profilo assai modesto. Obama aveva dato alla sua America lo stigma santificante dell’I care. Trump ha risposto con il suo specialissimo I don’t care. Obama diceva We, the people sulla scia della dichiarazione di Indipendenza e della Costituzione. Trump è stato più sfacciato, diretto e unamerican, ha risposto We, the mob, costruendo una maggioranza in rivolta per la sua rivincita. Obama è un bell’uomo, danza quando cammina, parla in modo squisito e razionale, mentre Trump è un orco a colori, il suo corpo barcolla e minaccia al seguito delle sue sparate demagogiche e peggio che demagogiche. Vedremo presto quanto di pragmatismo e sostanziale rispetto per la democrazia sopravvivranno in un team di fedelissimi e nel loro commander in chief, e sarà un incubo se le parole si consolidino in comportamenti conseguenti della banda repubblicana al potere, ma intanto vorremmo che Obama, premio Nobel del leading from behind, il sornione guidare da dietro le quinte, si assumesse una qualche responsabilità per una fase storica che ha impregnato della sua visione dell’America, nel bene e nel male, suscitando una reazione tanto violenta, così mostruosa, da travolgere ogni belluria lasciata in eredità ideologica e profetica dal Mandela del XXI secolo. Senza che nemmeno sua moglie Michelle, che almeno ha il fuoco nelle vene e sembrava la perfetta star di una controffensiva, uscisse dalla comoda retroguardia della politica fatta con il culo degli altri. 

 

Trump ha pescato nel torbido usando paura misoginia razzismo e ansia suprematista, si è fatto incoronare in piena legittimità re di quel caos sociale e politico che è diventata la città sulla collina. Ma chi ha creato le premesse di questa impresa leggendaria, i cui effetti vanno ora accettati e possibilmente controllati con un filo di speranza residua? La tentazione di cercare un capro espiatorio è nella natura umana e appartiene ai suoi riflessi condizionati meno interessanti e forse anche più stupidi, sebbene abbia il crisma del sacrificio mimetico. Ovvio che il mondo, l’economia, gli sconfinamenti illegali, la vita dei suburbia, delle aree rurali, dei campus universitari, delle periferie, dei grattacieli di Wall Street, delle vanità di Hollywood, dei mali tossici e delle dipendenze farmacologiche, delle insicurezze e delle disperazioni e degli abbandoni alla cassa del supermercato o alla lettura della busta paga, dei sentimenti di smarrimento di fronte alla risorgenza della guerra, tutto questo gira a lato delle imprese più o meno epiche dei buoni come Obama e dei cattivi come Trump.

 

Le colpe non c’entrano. Ma non è irresponsabile essere l’origine di un sogno di apertura e di correttezza estrema e ritrovarsi in un incubo smisurato, in una rincorsa di spavento e pena, senza rendere ragione del filo che attraversa i fatti, dalle nuvole candide al più cupo dei temporali, senza renderne conto con sincerità? I nevertrumper conservatori e l’establishment del Grand Old Party, minoranza per definizione di fronte al sequestro carismatico della coscienza nazionale, sono stati battuti da un movimento populista guidato da un drago dell’energia e della propaganda, forte di tutto un armamentario al centro del quale sta la sua impunità costituzionale, sono stati messi a margine da uno molto più spregiudicato di loro nello sfruttamento della miseria morale e politica di un’èra traversa, ma i liberal e le loro dinastie regnanti vogliono dirci qualcosa sul perché della loro sconfitta bruciante o si limiteranno ancora una volta alle favole alla ninna nanna?

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.