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La politica estera di Trump è una questione di famiglia. Israele tra i mariti di Ivanka e Tiffany

Micol Flammini

Tra Jared Kushner e Massad Boulos, nella politica del rieletto presidente degli Stati Uniti gli affari di famiglia sono una questione seria: figli, generi, cognati, sorelle e fratelli influenzano e smuovono, convincono e gestiscono affari importanti

Un ragazzo dalle buone maniere, dal sorriso amichevole, non molto alto, con i capelli ben pettinati e gli occhiali quadrati, sempre calmo, facilmente confondibile con altri studenti di Giurisprudenza, entrava nelle aule dell’Università di Houston, in Texas, con un interesse spiccato per la politica americana e un patrimonio di miliardi di dollari che, nonostante l’aspetto comune, lo rendeva diverso dalla maggior parte dei  suoi compagni di corso. Anche il suo luogo di nascita era diverso  da quello degli altri studenti, perché il ragazzo umile, sorridente e attento era nato in Libano, poi si era trasferito in Nigeria con la famiglia, che da tre generazioni prima di lui era a capo di un conglomerato specializzato nell’assemblaggio e nella distribuzione di veicoli a motore. Il ragazzo oggi più che sessantenne si chiama Massad Boulos. 

 


 Nella vita ha fatto molto, ha tentato strade diverse, fino a diventare il consuocero di Donald Trump e ad avere un ruolo determinante nella campagna elettorale del rieletto presidente degli Stati Uniti d’America. Nella politica americana in generale e in quella di Trump in particolare gli affari di famiglia sono una questione seria: figli, generi, cognati, sorelle e fratelli influenzano e smuovono, convincono e gestiscono affari importanti. Nella prima Amministrazione Trump, la figlia Ivanka con suo marito Jared Kushner erano la coppia dorata e presentabile del trumpismo e nelle mani di Kushner era stato messo un capitolo essenziale della politica estera: il medio oriente, i rapporti con Israele, la definizione di quelli che sarebbero diventati gli Accordi di Abramo. Kushner è ebreo, gestiva le relazioni con i sauditi, in Israele è di casa e con altri funzionari dell’Amministrazione era determinato a rivoluzionare i rapporti in medio oriente. Da dietro le quinte, da consigliere di Trump, riuscì a convincere il presidente dell’importanza di fare pressione anche sull’Iran. La coppia dorata Ivanka-Jared si è però eclissata, si è silenziata dopo l’assalto al Congresso, ieri sul palco da cui Trump ha festeggiato la sua rielezione compariva assieme a tutti gli altri, tra molti, mentre durante la campagna elettorale era un altro il genero coccolato: Michael Boulos, figlio di quel ragazzo sorridente dell’Università in Texas e marito di Tiffany, quarta figlia di Trump, nata dal suo secondo matrimonio. Michael Boulos è libanese e cristiano, come suo padre, ha studiato all’estero e anche lui cura gli affari di famiglia. 

 


Massad durante il suo ritorno in Libano aveva cercato anche di intraprendere la carriera politica, nel 2009 si candidò per un seggio in Parlamento, ma nonostante la sua posizione internazionale, le sue buone maniere, il suo sorriso e il suo denaro, perse. Rimase però molto legato a Suleiman Frangieh, un politico cristiano come lui, ma alleato con il partito e gruppo militare Hezbollah, tanto da essere il candidato che il Partito di Dio sostiene per il ruolo di presidente. L’amicizia tra Massad e Frangieh ha un peso importante nelle dinamiche di famiglia che determinano alleanze e anche politica estera. Boulos figlio è stato la porta d’accesso al trumpismo, Boulos padre si è messo a disposizione del candidato repubblicano, di cui ha sempre ammesso di essere un sostenitore. I legami delle famiglie acquisite possono rivelarsi utili e infatti Massad è l’uomo chiave della campagna per conquistare il voto degli arabi e dei musulmani nel Michigan. Assieme a Richard Grenell, ex ambasciatore dell’Amministrazione  Trump in Germania, Boulos si è lanciato in un’opera di convincimento di comunità che sembrava  lontana anni luce dal mondo trumpiano, in contrasto con le sue affermazioni del passato e con le promesse fatte a Israele. Invece i due sono stati in grado di convincere, di coinvolgere, di presentare Trump come un’alternativa. Le nomine della prossima Amministrazione sveleranno quale dei due generi, tra Jared e Michael, è più di peso. E il messaggio sarà letto anche in Israele. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)