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In Germania

Perché il futuro della politica tedesca è sempre più litigioso

Daniel Mosseri

Che sarebbe andata a finire male si era capito da quasi subito. Non è un dramma e non è neppure la prima nella storia della Repubblica federale tedesca, anche se quasi un quarto dei seggi di un Bundestag ipoteticamente eletto domani apparterebbe a partiti “nuovi”, filorussi e scettici verso Ue e Nato 

Berlino. Trentuno a otto. Oppure nove se contiamo anche Walter Scheel, che fu cancelliere per nove giorni nel passaggio fra Willy Brandt ed Helmut Schmidt. Il numero dei presidenti del Consiglio italiani dal Dopoguerra a oggi supera di oltre tre volte quello dei capi del governo tedesco. Senza contare poi il numero dei governi: Berlusconi ne guidò quattro, Andreotti sette, De Gasperi otto e Fanfani cinque. Instabilità, insomma, è una parola che appartiene più al vocabolario politico italiano che a quello tedesco. Eppure, la crisi di governo che si è aperta mercoledì sera in Germania è prodromica di un aumento dell’instabilità anche a queste latitudini. In primo luogo, si tratta di una crisi “al buio” in cui si discute più della data delle elezioni anticipate che di compromessi per ripartire. In secondo luogo, la crisi scoppia dopo mesi di tensioni fra i tre protagonisti della coalizione: i socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz, i Verdi del vicecancelliere Robert Habeck e i Liberali del titolare delle Finanze Christian Lindner, con questi due nel ruolo dei galletti del pollaio mentre l’algido Olaf era impegnato ormai da mesi nella parte del cane da guardia. Che sarebbe andata a finire male si era capito da quasi subito: dall’invasione, cioè, dell’Ucraina da parte della Russia. Quella crisi ha messo in evidenza le differenze visioni dei tre partiti, obbligandoli a seguire non più il copione del programma di governo messo a punto dopo meticolosi negoziati ma a improvvisare. Un’arte in cui i tedeschi non eccellono, tantomeno quando ognuno vuole dire la sua. 

 

                              


“La crisi non è un dramma”, è intervenuto il presidente federale Frank-Walter Steinmeier sollecitando le parti ad attingere ciascuna al proprio senso di responsabilità. Non è un dramma e non è neppure la prima nella storia della Repubblica federale tedesca, ricorda al Foglio Joachim Trebbe, professore di Comunicazione alle Freie Universität Berlin. “Era il 1982 e il cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt governava in coalizione con i Liberali”, ricorda accennando a “similitudini” con la situazione odierna. “Allora la disoccupazione era alta”, oggi no, “l’inflazione correva”, oggi è sotto controllo, “e non c’era crescita economica”, e questo vale anche per il 2024. “Anche allora i Liberali presentarono un paper con idee per rilanciare l’economia e riformare lo stato sociale”. E anche allora fu rottura, ma qua iniziano le differenze. Utilizzando lo strumento della sfiducia costruttiva, i Liberali passarono con i moderati, incoronando Helmut Kohl cancelliere. Mesi dopo Kohl chiese al Bundestag di negargli la fiducia portando il paese a elezioni anticipate ma in un quadro di stabilità. Oggi invece un eventuale trasferimento da parte dei Liberali non basterebbe a formare un governo forte della maggioranza assoluta dei deputati. I numeri non ci sono. “Una sfiducia costruttiva sarebbe possibile se la Cdu entrasse al governo”, riprende Trebbe, “ma non vedo che interesse avrebbe il partito a interpretare il ruolo di junior partner in un governo a guida Spd”. Al contrario, forte del 34 per cento nei sondaggi la Cdu reclama elezioni anticipate che sarebbero invece molto rischiose per il partito del silurato ministro delle Finanze Christian Lindner: avvistati attorno al 4 per cento, i Liberali rischiano di restare al di sotto della soglia di sbarramento del 5. 


E se oggi appare difficile formare un nuovo governo in un Bundestag dove AfD ha “solo” 83 deputati (portati a casa nel 2021 con il 10,4 per cento dei consensi) figuriamoci cosa succederebbe domani quando AfD potrebbe raccogliere il 17 per cento dei voti mentre i rosso-bruni del partito Bsw (che oggi non sono in aula) avrebbero circa il 6 per cento. Quasi un quarto dei seggi di un Bundestag ipoteticamente eletto domani apparterebbe a partiti “nuovi”, apertamente filorussi ma anche Ue – e Nato  – scettici


Ecco perché secondo Trebbe nel futuro prossimo della Germania l’instabilità sarà più presente: a differenza di quanto succede in altri paesi europei come la Francia, l’Austria o l’Italia, la destra in Germania è ancora estrema. “In Francia si è passati da Jean-Marie Le Pen, un estremista radicale, a Marine Le Pen” per arrivare a Jordan Bardella “mentre qui AfD si gingilla ancora con il passato nazista”. Finché i voti di AfD non saranno sbloccati, e per Trebbe ci vorranno almeno dieci anni, i partiti tedeschi saranno obbligati a unirsi in coalizioni “innaturali” e di conseguenza più litigiose.