L'Iran guarda a Trump

Cecilia Sala

Vale tutto. Anche l’ipotesi di un patto con l’arci nemico dopo aver tentato di ucciderlo. Le parole audaci di un ex ministro a Teheran e di un consigliere trumpiano su un possibile accordo

All’ex ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif non è sfuggito che Donald Trump ha preso un mucchio di voti tra i musulmani americani, e due giorni fa ha scritto su X: “Il popolo americano, compresa la maggior parte dei cittadini di religione islamica, si è espresso forte e chiaro e ha respinto un anno vergognoso di complicità degli Stati Uniti nel genocidio a Gaza”. Poi Zarif si è appellato al presidente eletto Trump con un’apertura che è stata letta come una velata proposta di collaborare e – da alcuni – come la prova di un attacco di panico a Teheran, perché in tempi più normali la Repubblica islamica considerava il prossimo presidente americano l’arci nemico. 

 

Lo ha inserito in una lista nera da quando, quattro anni fa, diede l’ordine di uccidere il generale Qassem Suleimani. Ieri gli Stati Uniti hanno messo sotto accusa un iraniano per il presunto complotto ordito dai pasdarn per assassinare Trump durante la campagna elettorale. Eppure l’apertura di Zarif c’è stata e nel suo messaggio l’ex ministro ha scelto di dimenticare che il presidente eletto è l’uomo che – dopo il bombardamento iraniano con quasi duecento missili balistici contro lo stato ebraico – ha detto per due volte “Israele dovrebbe colpire il programma atomico di Teheran subito”, mentre l’Amministrazione democratica ha chiesto a Benjamin Netanyahu di non farlo. E che pochi giorni dopo Trump ha aggiunto: nella guerra a Gaza, Joe Biden “ha trattenuto Netanyahu” quando avrebbe dovuto “fare il contrario”, perché il primo ministro d’Israele nella Striscia sta facendo “un grande lavoro”. Zarif finge anche di non aver letto il reportage da Gaza di Al Jazeera in cui si chiedeva ai palestinesi cosa pensassero delle elezioni americane, e gli intervistati rispondevano: tutto tranne Trump. E che i musulmani americani che hanno votato repubblicano lo hanno fatto perché sono contro l’aborto, la marijuana legale e le bandiere Lgbtq+ sugli edifici pubblici più che per i palestinesi. Il messaggio di Zarif proseguiva con toni inusitatamente concilianti rispetto ai messaggi tipici che arrivano dalla Repubblica islamica dell’Iran e sono rivolti ai leader degli Stati Uniti: “Speriamo che la nuova Amministrazione di Trump e J.D. Vance si opponga alla guerra come promesso e tenga conto della chiara lezione impartita dall’elettorato americano di porre fine ai conflitti e prevenirne di nuovi. L’Iran non si lascerà influenzare dalle minacce, ma sarà consapevole del rispetto”.

 

L’ex ministro Zarif non ricopre incarichi di peso, ma non è un nome qualunque della politica iraniana: da ministro del governo “moderato” di Hassan Rohani, Zarif fu l’architetto del Jcpoa, il patto sul nucleare iraniano firmato da Barack Obama nel 2015. A rovinare il lavoro di Zarif era stato Trump, che nel 2018 uscì unilateralmente dall’accordo e impose 1.500 nuove sanzioni contro Teheran. Quest’anno Zarif è stato anche il mentore del nuovo presidente riformista Masoud Pezeshkian in campagna elettorale, quando il candidato che poi ha vinto ripeteva a ogni comizio e ospitata televisiva: dobbiamo dialogare con l’occidente e trovare un accordo per alleggerire le sanzioni. A Teheran, i più bellicisti tra i generali pasdaran come Amir Ali Hajizadeh non sono d’accordo e ripetono: non possiamo evitare di combattere una guerra reale, che è già qui, nel tentativo di scongiurare una guerra immaginaria del futuro; ormai ogni ipotesi diplomatica è impensabile. Questi pasdaran considerano Zarif alla stregua di un nemico interno, la Guida suprema Ali Khamenei invece non lo ama ma lo tollera perché sa che ogni tanto uno come Zarif gli serve, e che grazie ai suoi contatti è un canale per parlare di nascosto con l’occidente. Trump in politica estera è già stato imprevedibile e schizofrenico durante il suo primo mandato, forse il leader supremo dell’Iran crede che se esiste una possibilità di salvarsi da un’escalation che le Forze armate iraniane non si possono permettere vada esplorata, e che si possa mandare avanti Zarif per poi dargli tutte le colpe se i tentativi fallissero, come fu anche per il fallimento del Jcpoa sei anni fa. Massad Boulos, il consigliere di Donald Trump di origini libanesi imparentato con il prossimo presidente degli Stati Uniti tramite il genero, ha detto al canale libanese Lbci che presto partirà per il Libano per discutere della guerra e che Trump sta preparando “un nuovo patto sul nucleare con la Repubblica islamica che sarà accettabile per gli iraniani, i paesi della regione e gli Stati Uniti”. Tra i paesi della regione c’è lo stato ebraico governato da Netanyahu, che fino a oggi ha sempre considerato inaccettabile qualsiasi ipotesi di accordo tra il suo migliore alleato e il suo peggiore nemico.
 

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