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Nudi contro il potere. Da san Francesco a Lady Godiva, chi si è svestito per protestare
Le immagini di Ahoo Daryaei scuotono Teheran: le braccia conserte, l’andatura sicura e lo sguardo di sfida rendono la studentessa di Letteratura francese la nuova eroina delle libertà negate in Iran
La prima fu Lady Godiva: o forse Frine, ma è restata Lady Godiva l’icona massima della nuda protesta. Un fenomeno cui la Chiesa cattolica sembrerebbe stare agli antipodi, ma che di fatto ha addirittura santificato. L’ultimissima è ora Ahoo Daryaei: trentenne studentessa iraniana di Letteratura francese che un video pubblicato sui social il 2 novembre si mostra in biancheria intima in un campus universitario a Teheran, dopo essere stata molestata dagli agenti di sicurezza per avere indossato l’hijab in modo scorretto. Non è rimasta nuda in realtà, a differenza dei tanti illustri precedenti. Ma anche lei ha fatto il gesto di spogliarsi per esprimere un suo forte dissenso. E comunque sono bastati quel reggiseno colorato e quelle mutande a strisce per fare il giro del mondo, ripetuti in migliaia di video, foto, vignette e meme, dopo che già l’avevano acclamata le altre studentesse. Un’immagine particolarmente straordinaria la ritrae seduta a braccia conserte su un muretto nel campus della Scienza e della Ricerca dell’Università islamica Azad con addosso solo il due pezzi, le spalle coperte da una folta capigliatura nera, e intorno a lei gli agenti della polizia morale. Ha poi camminato attraverso il campus, scalza e con i capelli al vento, fino a quando non è stata avvicinata da un’autovettura della polizia, arrestata e trascinata in un ospedale psichiatrico. L’avrebbero picchiata, e si vedeva sangue sulla testa.
Secondo le notizie circolate attorno al video divenuto virale, la giovane avrebbe prima discusso con le guardie per il velo islamico obbligatorio, e poi avrebbe deciso di spogliarsi restando in intimo di fronte alle compagne in delirio che osservavano la scena dalla finestra. Va detto che forse, più che vero e proprio dissenso ideologico consapevole, un comportamento del genere indica piuttosto uno scoppio di insofferenza verso una burocrazia stupida. La sua immagine, in fattezze reali o in disegni amatoriali, ha comunque assunto un significato simbolico senza precedenti: le braccia conserte, l’andatura sicura e lo sguardo di sfida la rendono la nuova eroina delle libertà negate in Iran. In uno dei disegni che sono stati fatti la studentessa cammina in mezzo a donne piccole, tutte uguali nei loro burqa neri. In altre è grande come un grattacielo, spezza le catene del regime o distrugge un muro. Ma per le autorità iraniane e per l’ateneo non ci sono dubbi: Ahoo Daryaei “è affetta da disturbi mentali”. Di lei, dunque, da quando è circolato l’ultimo video, non si sa più nulla. Cosa poco rassicurante, se si pensa alle 600 vittime, alle 9 esecuzioni capitali e agli oltre 20.000 arresti che ha fatto la repressione della protesta a seguito della morte di Mahsa Amini: la studentessa curdo-iraniana, anche lei dell’Università di Teheran, morta mentre era in custodia della polizia morale nel settembre del 2022, anche in quel caso in seguito a una disputa sul modo di indossare il velo. “Il trasferimento dei cittadini nei manicomi è la tortura più grave. E’ la ripetizione dello stesso scenario: il manifestante ha un disturbo mentale. Dire che sono malati è un vecchio metodo del sistema di repressione”, denuncia l’attivista iraniana Shirin Ebadi, Nobel per la Pace del 2003.
Ma, appunto, non è la prima. E il simbolo stesso della protesta senza abiti è Lady Godiva: la nobildonna anglosassone che nell’XI secolo cavalcò vestita solo dei suoi capelli per le strade di Coventry, per protestare contro le troppe tasse imposte dal suo stesso marito il conte Leofrico. In effetti, per aiutare colei che voleva aiutarli, i cittadini d’accordo tra di loro chiusero le finestre, e si impegnarono a non guardare niente. “La dura condizione; ma che avrebbe liberato / La gente: perciò, poiché la amavano tanto, / Da allora fino a mezzogiorno nessun piede avrebbe camminato per la strada, / Nessun occhio avrebbe guardato giù, mentre passava; ma che tutti / Si sarebbero tenuti dentro, con la porta chiusa e la finestra sbarrata”, ricorda la poesia che nel 1840 le dedicò il Carducci inglese, Alfred Tennyson.
Il personaggio, in realtà, è esistito veramente. Godiva è la latinizzazione di un anglosassone Godgifu o Godgyfu, “regalo di Dio”. Nacque nel 990, e raggiunse una età per l’epoca ragguardevole, anche se varie fonti la stimano da un minimo di 76 a un massimo di 96 anni. Dal Domesday, libro del famoso censimento di Guglielmo il Conquistatore, sembra che sia stata tra i pochi anglosassoni e l’unica donna a rimanere importante proprietaria terriera anche dopo la conquista normanna. Secondo il Liber Eliensis, scritto alla fine del XII secolo da un monaco dell’Isola di Ely, era vedova quando Leofrico la sposò, lasciandola di nuovo vedova nel 1057. Entrambi erano generosi donatori al clero, nel 1043 Leofrico fondò un monastero benedettino a Coventry per ispirazione di lei, nel 1050 il nome di entrambi è menzionato su una concessione di terra fatta al monastero di Santa Maria di Worcester, e sono poi ricordati come benefattori di almeno altri quattro monasteri. Non ci sono però menzioni della cavalcata in costume evitico prima di due secoli dalla sua morte, per cui è probabile che sia solo una leggenda. Forse ispirata comunque alla sua generosità, e in cui sono confluite più antiche mitologie di dee pagane della fertilità. Forse anche da un mito più antico nasce la storia del sarto che fece un foro in una persiana per vedere, e rimase cieco. “Peeping Tom” fu ribattezzato: Tom che dà una sbirciatina. Il termine rimane in inglese per indicare i guardoni. Non si sa bene perché, ma nelle università anglosassoni Godiva è oggi considerata una sorta di patrona degli ingegneri.
Storica non solo per personaggio, ma anche per la nudità sembra invece essere la vicenda di Frine. Di 1300 anni più antica, visto che visse tra il 371 e il 315. In realtà si chiamava Mnesarete, ma un nome il cui senso è “Colei che fa ricordare la virtù” suonava troppo come presa per i fondelli per quella che divenne la escort più famosa nella Atene della sua epoca. O etera, come si diceva all’epoca. La ribattezzarono dunque Frine, cioè “Rospo”, per il colore bruno della sua carnagione: ma forse anche qui con un tocco di sarcasmo, visto che per quel “rospo” perdevano la testa tutti, e gli scultori la ritraevano come Afrodite. Finì comunque sotto processo, in una data stimata tra il 350 e il 335 sotto un’accusa di empietà in cui avevano stivato una quantità di cose: dagli atti osceni in luogo pubblico alla corruzione di minorenni e all’appropriazione indebita. Il famosissimo avvocato Iperide la difese con un’orazione che divenne tra le più famose dell’antichità, ma terminato di parlare andò verso l’assistita, le tolse di dosso la tunica di botto, e la espose nuda ai giurati, che assolsero al volo. Ma ci sono varianti, tra cui quella che si sarebbe messa lei a piangere e implorare, prima di spogliarsi. E negli ultimi anni si è poi iniziato a sottolineare sempre di più che in realtà era una nota simpatizzante del partito anti macedone, fino a offrire una parte dei suoi cospicui guadagni per far ricostruire quelle mura di Tebe che Alessandro Magno aveva fatto distruggere. Dunque, il processo sarebbe stato in realtà politico, e il denudamento un antecedente del gesto di Ahoo Daryaei.
Ma, appunto, ci fu anche un protestatario nudo che è stato fatto santo. Francesco d’Assisi, che si spogliò di tutte le sue vesti nel tribunale ecclesiastico davanti a cui il padre Bernardone lo aveva citato in giudizio per aver sottratto al negozio di famiglia le stoffe migliori e averle vendute a Foligno, insieme anche al mulo con cui le aveva trasportate, per raccogliere il denaro necessario per ricostruire la chiesetta di san Damiano. “Forza venite gente che in piazza si va / un grande spettacolo c’è. / Francesco al padre la roba ridà. / Figlio degenerato che sei!”, era la canzone che dava il titolo al famoso musical del 1981 di Mario Castellacci e Piero Castellacci, Piero Palumbo e Renato Biagioli. Il vescovo, presente nel suo ruolo di giudice, chiese a Francesco di restituire il denaro a suo padre e il giovane gli restituì, insieme al provento della vendita, anche tutte le vesti che indossava.
A proposito di musica, ci furono poi canzoni di protesta anti fiscale dell’Italia ottocentesca che evocavano immagini di contribuenti “cu l’occhi chini e la panza vacanti / ‘na manu darrèri, e l’autra davanti”. E Churchill l’intera protesta gandhiana per l’indipendenza indiana l’aveva bollata come la follia di “un nudo fachiro”. Ma l’inizio moderno del fenomeno si deve però soprattutto allo streaking: fenomeno statunitense di gente che si metteva all’improvviso a correre nuda nei posti più impensati. All’inizio come fenomeno di semplice controcultura; ma poi anche come protesta consapevole: per “chiedere la nuda verità sul Watergate”, e “contro la guerra in Vietnam, più oscena di una donna nuda”. Già nel 1974, quando Loredana Bertè intitolò “Streaking” un suo 33 giri con testi espliciti e corredato all’interno con foto sue ancora più esplicite, il movimento si era però ridotto al fenomeno goliardico che ancora oggi nel mondo anglosassone imperversa soprattutto in occasione dei grandi eventi sportivi.
Nei tardi anni 70, però, le marce nudi divennero una tecnica di protesta abituale dai giovani di estrema sinistra svizzeri, quando il clima lo permetteva. Nel 1980 venne fondato la Peta: “People for the Ethical Treatment of Animals”, organizzazione animalista con oltre 800.000 membri in tutto il mondo. Una delle sue tecniche di sensibilizzazione preferite è la foto di vip nude che dicono di preferire l’esibizione della pelle propria a quella di animali uccisi. La stessa tecnica fu adottata da altre organizzazioni come l’International Fund for Animal Welfare, e se in Italia la Peta schierò Elisabetta Canalis in una foto in cui le cose cruciali erano coperte, per Ifaw Marina Ripa di Meana contro le pelli di foca nel 1996 si mostrò in full frontal: le braccia incrociate e la scritta, all’altezza delle cosce. Proprio lei disse di sentirsi “come Lady Godiva Contessa di Coventry che attraversò quella città nuda, a cavallo, per difendere i sudditi dalle troppe tasse. Io offro la mia immagine nuda per difendere e proteggere tutti gli animali”. Le fotografie del nudo integrale apparvero su manifesti di sei metri per tre, sui muri di Milano e Roma. L’anno prima sempre Marina Ripa di Meana si era infilata in un ricevimento dell’ambasciata francese a Palazzo Farnese, e si era affacciata alla finestra con un cartello contro i test nucleari nel Pacifico. In teoria vestita; in pratica la posa seduta a gambe penzolanti dal davanzale fece sospettare una mancanza di intimo, da cui slogan della folla: “Mari’ facce vede’ a Greenpeace!”.
Ancora, a volo d’uccello, i Bare Witness si spogliano per protesta contro i cibi ogm. Quasi simili nel nome, i Bearing Witness formano invece con i loro corpi nudi slogan pacifisti. Imitati dai No Global che formarono invece slogan anti globalizzazione al vertice Wto di Cancún del 2003. Più recente ma ormai famoso in tutto il mondo è il gruppo ucraino Femen, fondato nel 2008 da studentesse universitarie tra i 18 e i 20 anni che iniziarono a usare il topless come arma di protesta contro il turismo sessuale e il sessismo. “L’unico modo per essere ascoltati in questo paese. Se avessimo manifestato con il solo ausilio di cartelloni le nostre richieste non sarebbero state nemmeno notate”. In seguito si sono mobilitate a livello continentale e su un ventaglio sempre più largo di temi, fino a Piazza San Pietro a Roma. Un mese fa hanno mostrato il seno davanti all’ambasciata dell’Iran a Kyiv contro le forniture di droni alla Russia. Da ricordare che le Femen avevano manifestato anche per protesta contro il processo alle Pussy Riot, che a loro volta nel 2008 erano divenute famose organizzando un’orgia di cinque coppie al Museo Timiryazev di Biologia di Mosca, il giorno prima dell’elezione di Medvedev a presidente. Tra loro la leader Natalia Sokol, quattro giorni prima di partorire.
Insomma, quello post sovietico è come un secondo filone, accanto a quello anglosassone. Se vogliamo, Ahoo Daryaei appartiene a un terzo filone del mondo islamico che già nel 2008 vide la tunisina Hanane Zemali posare nuda in segno di protesta contro il maschilismo: affidandosi a un fotografo piuttosto che al web, e non dalla sua patria ma dall’Italia, dove viveva. E nel 2011 c’era stata Aliaa Magda Elmahdy: la ventenne “laica, vegetariana, femminista, individualista ed egiziana”, studentessa di Comunicazione e Media alla American University del Cairo, che ha pubblicato sul suo blog tre foto in cui è vestita solo di calze autoreggenti e scarpette rosse. “Ho scattato io stessa la foto nella casa dei miei genitori”, ha detto. “Il mio è un grido contro la società della violenza, del razzismo, della molestia sessuale e dell’ipocrisia”. Dicendo di ispirarsi “ai modelli nudi che posavano all’Accademia di Belle Arti negli anni 70”, ha fatto subito 100.000 visitatori.
Ancora, spulciando nella cronaca. Nel 2005 quattro ragazze di un centro sociale si presentano vestite solo di passamontagna con i colori della pace, contro una sfilata militare a Reggio Emilia. Nel 2006, la reginetta di bellezza argentina Evangelina Carrozzo resta in biancheria intima davanti a un vertice di presidenti latino-americani per protesta contro una cartiera in territorio uruguayano accusata di inquinare oltreconfine. Nel 2009, 24 studenti filippini corrono nudi per le strade di Manila contro l’aumento dei costi d’iscrizione all’Università. Cinque donne vestite solo di cappucci protestano nel marzo del 2010 davanti al Congresso messicano contro la politica di “violenza di genere”. Nel dicembre 2010 la signora Tammy Banovac si mette in reggiseno e slip all’aeroporto di Oklahoma City, in polemica con i controlli cui stavano sottoponendo la sedia a rotelle su cui è costretta. Nel marzo 2011 la pornostar Milena Hot si presenta nuda davanti alla sede della Federcalcio argentina, contro le troppe sviste arbitrali ai danni della sua squadra del cuore. Pure nel 2011 protestano nudi indignados spagnoli e studenti colombiani. Lo scorso giugno a Londra mille ciclisti nudi hanno pedalato contro la cultura dell’automobile.
Svariate sono state in Italia le manifestazioni di radicali nudi: nel 1995 “perché nuda è la verità della disinformazione sui referendum”; nel 2012 per il rinnovo delle iscrizioni; nel 2018 per l’Europa; nel 2024 davanti alle mura del Centro di permanenza per i rimpatri di via Corelli di Milano. Nel 2011 c’è Sara Tommasi, laureata alla Bocconi ed ex protagonista del Bunga Bunga, che in un video in realtà sfocato si spoglia per attirare l’attenzione sul tema del signoraggio bancario e chiedere ai contribuenti di agire in giudizio per farsi restituire “i soldi che le banche vi hanno rubato”. E lo scorso aprile a Torino attivisti di Extinction Rebellion sono saliti nudi in strada sul tetto della facoltà di Biologia per protesta contro il G7.
Ma c’è pure il caso di Antanas Mockus: matematico e filosofo colombiano di origini lituane, leader verde, due volte sindaco di Bogotá, candidato alla presidenza della repubblica, che quando lo contestavano sia da rettore universitario che da sindaco non si spogliava per protestare, ma mostrava il sedere in risposta a chi protestava contro di lui. “De la narcodemocracia a la nalgodemocracia”, fu la battuta che venne, in un momento in cui in Colombia imperversavano i cartelli della droga. “Dalla narcodemocrazia alla chiappodemocrazia”.