Verso la Casa Bianca
Homan e Miller: chi sono i due uomini dietro al piano di rimpatrio di massa di Trump
Uno sarà "zar del confine", l'altro vice capo di gabinetto. Dal loro lavoro dipenderanno le deportazioni degli immigrati irregolari, tema chiave di questo ciclo elettorale
Washington. L’immigrazione è stato il tema chiave di questo ciclo elettorale, e da lì, come un polpo populista, sono partiti tutti gli altri tentacoli della propaganda trumpiana. L’immigrazione applicata alle culture wars – cambio di sesso gratis per gli immigrati! – ma anche gli immigrati come simbolo di un sistema marcio, perché “i democratici li fanno votare per vincere!”, e gli immigrati come importatori del crimine e della droga, i soldi spesi per mantenerli che potevano essere usati per le vittime degli uragani. I repubblicani hanno vinto nelle contee di frontiera, e questo dice molto. E così, a una settimana dalle elezioni che lo riporteranno alla Casa Bianca dopo la parentesi di Joe Biden, Donald Trump ha scelto l’uomo che porterà avanti la crociata delle deportazioni di massa promessa nei comizi. Thomas Homan è stato nominato “zar del confine” dal presidente eletto (nel gergo politico americano lo zar è colui che si dedica a un grosso problema e cerca di risolverlo con prontezza). “Non c’è nessuno meglio di Tom per controllare e sorvegliare i nostri confini”, ha scritto Trump su Truth Social, “e sarà al comando di tutte le deportazioni di immigrati illegali nel loro paese di origine”.
Ex poliziotto di frontiera, ex detective, Homan aveva già avuto un ruolo nella precedente Amministrazione Trump quando nel 2017 era stato a capo dell’Ice, l’agenzia per il controllo dell’immigrazione, per un breve periodo.
Ma il suo primo lavoro a Washington era stato con Barack Obama – quello che i messicani chiamano ancora oggi “deporter–in–chief”, il deportatore al comando – e già allora Homan si era dimostrato intransigente sugli arrivi, votato al difendere i confini a tutti i costi. Un articolo del Washington Post del 2015 diceva: “Thomas Homan deporta la gente, ed è molto bravo a farlo”. Poi, con gli anni bideniani in cui i democratici avevano provato, fallendo, ad avere un altro approccio sull’immigrazione, Homan era finito a fare il commentatore nella trumpiana Fox News. Ora è tornato. E già il mese scorso aveva parlato pubblicamente di raid della polizia che verranno organizzati nei luoghi dove lavorano gli immigrati irregolari – secondo il dipartimento di sicurezza interna negli Stati Uniti ci sono almeno 11 milioni di irregolari, e l’Amministrazione Trump vorrebbe liberarsene. “Ho un messaggio per i milioni di immigrati che con una violazione della legge federale Joe Biden ha rilasciato nel paese: iniziate subito a fare i bagagli, perché tra poco ve ne tornate a casa”, aveva detto quest’estate Homan alla Convention nazionale repubblicana.
Duro e rigoroso, Homan sarà il braccio armato della mente dietro al grande progetto di rimpatri e di chiusure dei confini di uno dei rasputin trumpiani, Stephen Miller, sempre al fianco di The Donald a sussurrargli all’orecchio i mali degli immigrati. E’ stato lui, Miller, ad avere il piano di grande rimpatrio di massa che ha portato Trump a promettere azioni risolutive con un tono paragonato a quello nazista da alcuni commentatori. Al comizio al Madison Square Garden, poco prima del voto, Trump aveva detto: “Il primo giorno della presidenza farò partire il più grande programma di deportazioni nella storia americana per mandare via i criminali”. Il 39enne Miller, vicino a posizioni alt-right, è stato nominato ieri vice capo di gabinetto.
Homan ha promesso che per portare avanti questo “piano necessario e ben organizzato” agirà in modo “umano”. Una precisazione fatta dopo che la scorsa Amministrazione Trump era stata pesantemente criticata per i metodi di detenzione al confine e per la separazione dei minori dalle proprie famiglie, di cui Homan era stato l’architetto. Chi ha lavorato con lui parla di un uomo molto dedicato alla sua missione. Homan ha anche partecipato alla stesura del Project 2025, il piano dell’Heritage Foundation per i prossimi quattro anni di potere Maga. La nomina dello “zar del confine” segue a quella di Susie Wiles, artefice della campagna elettorale, a capo di gabinetto, e quella di Elise Stefanik come ambasciatrice all’Onu – Stefanik si era fatta notare in Congresso per la durezza contro le presidenti universitarie accusate di gestire male l’antisemitismo nei campus.
L'editoriale dell'elefantino