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Il telefono senza fili tra Trump e Putin

Micol Flammini

Il presidente eletto negozierà con il capo del Cremlino, ma senza trattamenti di favore. Tre ostacoli insormontabili, le foto osé di Melania, il lavoro di Peskov

Domenica scorsa Donald Trump sembrava  a un passo dal mettere fine alla guerra in Ucraina. Ieri la conversazione attraverso la quale il prossimo presidente degli Stati Uniti aveva cercato di accordarsi con il capo del Cremlino non era mai avvenuta. Il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov, ha negato che i due leader abbiano mai parlato al telefono: “E’ inventato, non c’è stata nessuna conversazione”, ha detto ai giornalisti che  gli chiedevano  del contenuto di un articolo apparso sul Washington Post su una telefonata in cui Trump e Putin avrebbero esplorato le possibilità di negoziato.  Peskov ne ha approfittato per esprimere il suo giudizio sul giornalismo occidentale: “La vicenda offre uno spunto di riflessione sulla qualità di certa stampa. A volte anche testate rispettate sono piene di informazioni non vere”. Secondo il giornale americano, la telefonata  si sarebbe tenuta la scorsa settimana e gli ucraini non soltanto non erano all’oscuro, ma non avevano nulla in contrario con l’iniziativa del presidente  rieletto. La prima smentita è arrivata proprio da Kyiv: Volodymyr Zelensky non sapeva nulla della telefonata. “Quando Peskov parla bisogna sempre avere dubbi e sospetti, mai fidarsi, il suo lavoro è mentire”, dice al Foglio Sergey Radchenko, storico della Guerra fredda, professore del Kissinger Center e della Johns Hopkins University. Sulla telefonata però qualche dubbio era venuto ancora prima della smentita del Cremlino: pochi dettagli, la strana compiacenza di Kyiv, la tempistica. “Rimango scettico su ogni parola che Peskov pronuncia, ma mi rendo conto che per Mosca la notizia di una telefonata con Trump sarebbe un successo. Dimostrerebbe che il prossimo presidente ha accelerato i tempi per parlare con Putin. Non ci sono molte ragioni da parte del Cremlino per coprire una telefonata con il futuro presidente degli Stati Uniti. Certo, ci sono molte cose che non sappiamo, tutto è possibile”. Si tende a vedere il rapporto fra Trump e Putin come frutto di una relazione privilegiata: il repubblicano ha una passione per gli uomini forti, il capo del Cremlino per quelli utili, ma queste due categorie hanno dei limiti. 


Trump ha promesso di risolvere il conflitto, sappiamo bene che le promesse sono una cosa e i fatti postelettorali un’altra, ma non c’è dubbio che il prossimo capo della Casa Bianca cercherà di passare alla storia come l’uomo decisivo – racconta Radchenko – La domanda che tutti ci facciamo è: come si accorderà  con Putin?”. Il capo del Cremlino ha messo paletti invalicabili, Zelensky  ha bisogno di rassicurazioni serie prima di far finire la guerra, mentre Trump non può permettersi di essere ricordato come il presidente americano che ha venduto Kyiv a Mosca con il rischio di un’ulteriore invasione ai danni, magari, di paesi dell’Alleanza atlantica. Ci sono almeno tre punti che sembrano ostacoli insormontabili: “Il primo riguarda proprio la Nato. Putin non cede sul tema della neutralità dell’Ucraina, non è negoziabile. L’ingresso di Kyiv nell’Alleanza invece è una promessa che  gli alleati hanno messo sul tavolo  ed è il primo punto del Piano della vittoria con cui Zelensky ha, di fatto, posto le sue basi di negoziato. Il secondo punto insormontabile è territoriale: Putin vuole le regioni che ha annesso illegalmente, se Trump costringerà l’Ucraina a cederle, aprirà a un precedente pericoloso anche per gli Stati Uniti,  sdoganando l’invasione e il referendum illegittimo come metodi. Terzo punto: l’esercito. Mosca pretende che l’esercito di Kyiv venga ridotto, stiamo parlando di uno dei più potenti del mondo. Senza Nato e con un quinto dei soldati, il futuro dell’Ucraina è scritto”, e l’epilogo sarebbe una tragedia avvenuta sotto gli occhi degli Stati Uniti. Il presidente rieletto conosce questi ostacoli, ma farà vedere la sua iperattività, deve mostrare che si sta muovendo, anche se non ha molte possibilità in più rispetto a Joe Biden di farsi ascoltare da Putin: “Trump non tollera la frustrazione. Vuole risultati svelti, soluzioni immediate. Non rimane concentrato a lungo su un argomento, non è un negoziatore, non sa cosa sia il lavoro paziente con gli ucraini e la pressione costante con la Russia. Se l’accordo non viene all’istante, delega e molla”. Putin invece vede in Trump un’opportunità per rimodellare il mondo, per espandere la zona di influenza russa. Il futuro capo della Casa Bianca ha fatto voto di una politica concentrata sull’agenda interna e al Cremlino è arrivato il messaggio: “Al massimo si occuperà di Cina, un motivo in più per non occuparsi  di Russia”.  

 

Mentre si diffondevano le voci sulla chiamata tra i due, Olga Skabeeva, presentatrice del Primo canale della televisione russa, mandava in onda un servizio su Melania Trump, prossima first lady, mostrando le sue foto seminuda. Skabeeva rideva di Melania,  in quel momento  esibita come  il simbolo ridicolo di un’America decadente e indegna. Sono gli uomini del Cremlino a decidere cosa viene trasmesso dalla televisione del regime e l’intenzione non era fare una cortesia a Trump né mettere sotto una luce favorevole la sua futura presidenza. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)