negli stati uniti
Il terrore dei Democratici adesso è la Corte suprema
Trump potrebbe nominare presto due giudici, uno scenario che consoliderebbe per decenni la maggioranza conservatrice alla Corte
Dalla Cnn il consiglio a urne appena chiuse: "La dem Sotomayor si dimetta subito, così Biden può rimpiazzarla". Lei non sembra pensarci e in ogni caso il piano è rischioso. Trump avrà intanto la possibilità di nominare un centinaio di giudici di grado inferiore. Non poco
Quando ancora nell’ovest si contavano le schede elettorali, in diretta sulla Cnn il commentatore politico Bakari Sellers lasciava perdere proiezioni sulle singole contee e ragionamenti sui distacchi inflitti da Trump all’avversaria e cambiava obiettivo: Sonia Sotomayor deve dimettersi subito dalla Corte suprema, così Joe Biden può sostituirla nei due mesi scarsi che restano prima che si insedi il nuovo Congresso. Chi sedeva attorno al suo stesso tavolo è rimasto in silenzio per qualche istante, vuoi perché non c’aveva pensato vuoi perché l’idea pare strampalata. Oppure, effettivamente, può essere una genialata che consentirebbe ai democratici un guizzo finale prima che The Donald entri con le fanfare alla Casa Bianca. Sellers il nome del nuovo giudice ce l’ha già e lo dice: Kamala Harris. In realtà il ragionamento non è nuovo, ma nei lunghi corridoi di Capitol Hill e nei ristoranti più esclusivi di Washington se ne parla da tempo. Sonia Sotomayor ha settant’anni, è stata il primo giudice nominato alla Corte suprema da Barack Obama ed è la prima latina a entrare nel club più esclusivo che ci sia, quello dei nove justice nominati a vita. Salvo rinunce. E infatti è su questo punto che preme chi vorrebbe il passo indietro di Sotomayor. E’ relativamente giovane ma da decenni malata di diabete di tipo 1, che in passato l’ha debilitata anche mentre era in servizio. Lo spettro fatto aleggiare, in modo forse anche esagerato, è di una “nuova Ginsburg”, dove per Ginsburg si intende il mito Ruth Bader (RBG), la campionessa dei diritti, seconda donna entrata alla Corte su nomina di Bill Clinton, highlander sopravvissuta ad almeno tre tumori nonostante il fisico minuto e la fragilità visibile. Liberal fino ai guanti di pizzo che era solita indossare ma non per questo reticente al confronto con l’altro fronte, quello degli Antonin Scalia con cui cenava spesso e compiva viaggi in ogni parte del mondo (celebre la foto di loro due sul dorso di un elefante in India). I democratici avevano chiesto più volte a RBG di ritirarsi durante il secondo mandato di Obama, per evitare che la scelta del successore in caso di “problemi” toccasse ai repubblicani. Ma lei, sdegnata, respinse proposte e argomentazioni, anche perché in cuor suo era convinta che alle presidenziali del 2016 avrebbe vinto Hillary Clinton. E invece. Tirò avanti il più possibile, fra assenze dai lavori diventate sempre più frequenti, fino alla morte nel settembre del 2020, a due mesi dalle elezioni e a 87 anni compiuti. I repubblicani, che quattro anni prima non avevano neppure fatto parlare in Senato Merrick Garland, il giudice scelto da Obama per rimpiazzare Scalia (morto a febbraio), stavolta accelerarono le procedure e a tempo di record confermarono la nomina di Amy Coney Barrett. Unica voce dissenziente, Susan Collins del Maine: non tanto per una valutazione sulle qualità della prescelta, quanto per coerenza rispetto al precedente del 2016, fece sapere la senatrice repubblicana moderata.
Ora i tempi sembrano ancora più stretti, il nuovo Senato a maggioranza Gop s’insedierà a inizio gennaio, ben prima dell’inaugurazione del mandato trumpiano. Bisognerebbe che Sotomayor si convincesse in pochi giorni – ma dal Wall Street Journal alla Abc si fa sapere che non ne ha alcuna intenzione –, quindi che Biden fosse della stessa opinione dello stato maggiore del Partito che l’ha messo alla porta tre mesi fa (e non è scontato, considerata la proverbiale cocciutaggine del presidente uscente), che si trovasse un candidato solido e che poi il Senato procedesse alle audizioni e quindi al voto. Un solo inceppamento a questo programma e il rischio più concreto sarebbe di consegnare sul vassoio d’argento a Trump la nomina di un nuovo giudice conservatore al posto di un democratico. Anche perché è vero che il Senato ora è per un soffio democratico (51-49), ma nessuno può garantire che ad esempio Joe Manchin della West Virginia, democratico conservatore che non s’è neppure ripresentato alle elezioni del 5 novembre, voti un giudice liberal. A maggior ragione se la scelta dovesse cadere su Kamala, che lui ha pubblicamente schernito nei cento giorni di campagna elettorale. E che farà la ex democratica Kyrsten Sinema dell’Arizona, che da un paio d’anni si è schierata fra gli indipendenti e che neppure lei si è ripresentata al voto? Troppe variabili per assicurare che il piano vada in porto. “Uno scenario irrealistico”, dice Alex Aronson, liberal che lavorò in passato alle “liste” di giudici democratici da nominare e da far approvare dal Senato.
Le parole di Sellers, però, fanno capire qual è il vero cruccio dem, ora che il ritorno di Trump alla Casa Bianca è acclarato: la Corte suprema. Già solidamente conservatrice (sei giudici contro tre), potrebbe restare tale ancora per decenni. Con il Senato che diverrà repubblicano almeno per i prossimi due anni, si moltiplicano le voci che vorrebbero il ritiro di uno o addirittura due giudici conservatori: Clarence Thomas, alla Corte dal 1991 e settantaseienne, e Samuel Alito, nominato da Bush Jr nel 2005 (74 anni). Trump potrebbe sostituirli con giudici molto più giovani in grado di garantire una solida maggioranza per chissà quante generazioni. Un incubo per i liberal, che nell’ultimo ventennio sono riusciti a nominare solo Sotomayor, Kagan e Jackson, peraltro sostituendo giudici con orientamento progressista. Nei vari commenti seguiti alla vittoria repubblicana alle presidenziali, fra le priorità del prossimo Congresso emergeva con insistenza quella riguardante la giustizia: nominare giudici, più che si può. “Da gennaio dovremo essere pronti a confermare i suoi candidati (di Trump, ndr)”, ha detto John Cornyn, senatore texano in lizza per diventare il nuovo leader di maggioranza della Camera alta. Posizione che è identica a quell’altro potenziale leader, John Thune, dal cui staff si fa sapere che la conferma dei giudici sarà “una priorità”. John G. Malcolm, legale della Heritage Foundation che nel 2016 stilò una lista di candidati conservatori per la Corte suprema poi consegnata da Trump, è sicuro che presto “ci sarà un posto vacante, molto probabilmente due”, alla Corte.
C’è chi punta sull’uscita anticipata di Alito anziché su quella di Thomas, ma sono dettagli: gli orientamenti di entrambi sulle questioni che contano sono gli stessi. Thomas è da sempre considerato il membro più a destra, ma è Alito ad aver scritto la posizione di maggioranza della sentenza che ha rovesciato Roe vs Wade sull’aborto. In ogni caso, se a Trump toccassero altre due nomine, sarebbe il primo dai tempi di Franklin Delano Roosevelt a designare più della metà dei giudici supremi. Mike Davis, già consigliere dei repubblicani per le nomine dell’ordinamento giudiziario, è certo che stavolta cambieranno i criteri delle scelte, con un presidente che sarà più spavaldo e meno attento a quel che scriveranno i giornali liberal e ai moti di protesta che potrebbero occupare gli studi televisivi: “Il presidente Trump farà scelte ancora più audaci e senza paura”. Poi certo, c’è sempre il Senato, dove qualche senatore repubblicano in scadenza di mandato e magari in territori “ostili” potrebbe opporsi a decisioni dirompenti. E’ il caso, di nuovo, di Susan Collins, che tra due anni affronterà una difficile campagna per la rielezione nel Maine. Anche se l’ultima tornata elettorale ha portato in Senato diversi campioni Maga pronti a tutto per il commander in chief.
Nel suo primo mandato, Trump ha nominato 234 giudici federali. Fra questi, 174 giudici distrettuali e 54 giudici di Corte d’appello, molti dei quali legati alla Federalist Society, baluardo conservatore in campo giuridico. Biden, nel suo quadriennio, non ha fatto di meno: 210 giudici distrettuali e 44 d’appello, con un occhio particolare per personalità con una storia nel campo dei diritti civili. I posti vacanti sono 47, tra cui 13 in Corte d’appello. Numeri che in realtà sono ipotetici, perché ci sarebbero dozzine di giudici conservatori – 87, secondo le stime di Russell Wheeler della Brookings Institution – che hanno ritardato la pensione per essere sicuri che il loro posto sarà preso da qualcuno del medesimo orientamento politico. Occasione che i repubblicani non si faranno scappare.
l'editoriale dell'elefantino