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Chi è Marco Rubio, il probabile capo della diplomazia di Trump

“Le posizioni passate di Rubio lo rendono certamente sospetto per la folla Maga", dice Shapiro (Ecfr). "Collaborativo ed esperto", dice Carafano (Heritage)

Giulia Pompili

Da dove viene e che cosa vuole l'ex golden boy dei repubblicani neocon, figlio di immigrati cubani da sempre impegnato nella guerra ai regimi. Il presidente eletto non ha ancora confermato il suo ruolo, ma potrebbe essere il segretario di stato della prossima amministrazione americana 

C’è stato un tempo, quando si contendevano la candidatura dei repubblicani alla presidenza, poco più di otto anni fa, in cui Marco Rubio era particolarmente duro ed efficace contro Donald Trump. Adesso, secondo il New York Times, potrebbe essere proprio il senatore della Florida Marco Rubio, 53 anni, il volto della diplomazia della nuova Amministrazione Trump.

 

Tra il 2015 e il 2016, durante comizi e interviste tv, il giovane Rubio sottolineava spesso i fallimenti di Trump da uomo d’affari, il fatto che avesse come dipendenti delle sue proprietà diversi immigrati illegali e insomma il populismo della nuova corrente che voleva hackerare il Partito repubblicano. All’epoca Rubio era la grande speranza neocon per combattere i candidati anti establishment del Partito repubblicano, ma Trump l’aveva battuto pure in Florida, cioè a casa sua. E poi Rubio non aveva sfondato anche perché era considerato una fotocopia dell’altro moderato dell’epoca, Jeb Bush, il fratello minore di George W., che era stato governatore della Florida e anche lui si era candidato alle primarie repubblicane del 2016. Ma mentre Bush fratello dopo il ritiro dalla corsa aveva consegnato il suo endorsement all’evangelico del Tea Party Ted Cruz, Rubio decise di convertirsi al trumpismo, cercando di mettere a fuoco le sue posizioni neocon con il nuovo vento del movimento Maga.  

  

Che il senatore della Florida cercasse un posto di rilievo nel mondo trumpiano era chiaro già da mesi: all’inizio dell’estate, quando Trump doveva scegliere il candidato alla vicepresidenza, in molti avevano fatto il suo nome (poi aveva scelto il suo collega dell’Ohio J.D.Vance). Rubio negli ultimi anni si è allineato a tutte le decisioni per proteggere Trump: ha votato per l’assoluzione del tycoon nel suo secondo processo d’impeachment, ha votato contro l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente sui fatti del 6 gennaio, e a gennaio disse alla Abc che a chiunque fosse offerta la vicepresidenza in un’Amministrazione Trump dovrebbe “essere onorato dall’opportunità”, perché “questo paese e il mondo intero era un posto migliore durante la presidenza Trump”.

 

Jeremy Shapiro, direttore di ricerca del Consiglio europeo per le relazioni estere, dice al Foglio che “le posizioni passate di Rubio lo rendono certamente sospetto per la folla Maga. Ma negli ultimi anni è stato sufficientemente vile nella sua fedeltà a Trump che il presidente eletto sembra ora credere nella sua lealtà”. Secondo molti dei suoi ex sostenitori la trasformazione di Rubio è in qualche modo un tradimento dei valori conservatori tradizionali, anche per quel che riguarda i principali temi della sua politica: nato a Miami da immigrati cubani nel 1971, i suoi genitori erano scappati dalla dittatura di Fulgencio Batista. Nella sua autobiografia pubblicata nel 2012, “An American Son: A Memoir” il senatore della Florida racconta la vita dei suoi nonni e dei suoi genitori – nei primi anni in America, il padre faceva il barista, la madre la cameriera d’albergo e la magazziniera – e spiega quanto questa dedizione al lavoro per “una vita migliore”, in un paese che li aveva accolti mentre “cercavano la libertà”, l’avesse fatto diventare il politico che era. In una vecchia intervista del 2013 al Time, Rubio raccontò perfino che la madre, Oriales Garcia Rubio, gli aveva lasciato un messaggio in segreteria chiedendogli di “non scherzare con gli immigrati, figlio mio. Sono esseri umani proprio come noi, e sono venuti per le stesse ragioni per cui siamo venuti noi. Per lavorare. Per migliorare le loro vite”. Non si sa quanto Rubio abbia influito sul voto dei Latinos che hanno premiato Trump alle ultime elezioni.  

 

Ma è  questa missione contro i regimi autoritari che definisce la politica di Rubio e che in alcuni punti coincide sia con la missione di Trump sia con la storia del senatore della Florida ex neocon. Se davvero verrà confermato segretario di stato da Donald Trump – al momento in cui questo giornale va in stampa il presidente eletto non ha ancora confermato la sua nomina, e perfino il New York Times ha scritto che fino all’ultimo, con Trump, non si può mai sapere – Marco Rubio sarà il primo capo della diplomazia americana a essere sotto sanzioni da parte della Repubblica popolare cinese. Rubio si è sempre occupato molto di politica estera, negli ultimi anni è stato definito soprattutto per i suoi ruoli da presidente della commissione Intelligence del Senato e membro della commissione per le Relazioni estere. La sua priorità è  riequilibrare il rapporto con la Cina, cioè la stessa di Trump, ma in passato si è occupato molto anche di Iran, per esempio con il National Council of Resistance of Iran, organizzazione legata al partito antiteocratico dei Mojahedin del Popolo iraniano. Per Shapiro “il suo passato può essere in qualche modo confortante per gli alleati degli Stati Uniti, anche se il suo presente tranquillizza Trump”, dice l’esperto al Foglio. “Ma naturalmente, il segretario di stato in qualsiasi Amministrazione recente, ma in particolare in un’Amministrazione Trump, non fa politica estera, quindi Rubio sarà, nel migliore dei casi, il volto sorridente della diplomazia statunitense piuttosto che la sua salvezza. L’Amministrazione Trump può anche inviare Rubio all’estero per far sentire gli alleati più tranquilli, ma a Washington Trump e la sua cerchia ristretta continueranno a covare piani per abbandonare o ridurre gli impegni degli Stati Uniti nei confronti della sicurezza degli alleati e per minare la loro competitività economica”.

 

Secondo quanto risulta al Foglio e circolato nelle scorse ore sui media americani, Trump avrebbe preferito Rubio al suo ex segretario di stato Mike Pompeo per via dell’influenza molto più concreta che sta avendo nella scelta della sua Amministrazione Donald Trump Jr., primogenito del tycoon e di Ivana Trump. “La nomina del senatore Rubio riflette una squadra politica senior più forte, coerente e collaborativa ed esperta per il secondo mandato del presidente Trump”, dice al Foglio il vicepresidente del think tank conservatore Heritage Foundation James Carafano. Le priorità di Trump, dice Carafano “sono la Cina, in cui Rubio sarà una risorsa immediata essendo stato uno dei principali sostenitori di una posizione più dura, e l’immigrazione, la sicurezza delle frontiere e la politica dell’America latina, dove è molto competente ed esperto”. Anche sull’Europa sarà una risorsa? “Rubio è molto conosciuto in Europa e sarà un negoziatore efficace”, dice Carafano. E “i temi principali saranno probabilmente non solo l’Ucraina e la Cina, ma anche il sostegno negoziale alle iniziative statunitensi in medio oriente, in particolare per quanto riguarda l’Iran”. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.