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Dopo le elezioni

La bancarotta intellettuale d'occidente è evidente nei campus universitari

Pasquale Annicchino

Alcuni docenti dell’Università di Harvard, della Columbia e dell’Università della Pennsylvania hanno preferito cancellare le loro lezioni per far riprendere gli studenti dallo “stress emotivo” della vittoria di Donald Trump

L’Harvard Crimson, il quotidiano degli studenti dell’Università di Harvard, riporta una notizia che potrebbe apparire secondaria: il giorno dopo la vittoria di Donald Trump diverse lezioni sono state cancellate. In una mail agli studenti un docente scrive che il suo ufficio sarà uno spazio per “analizzare il risultato elettorale”. Non è stata solo l’Università di Harvard a cancellare alcune lezioni. Anche in altri atenei, come Columbia e l’Università della Pennsylvania, alcuni docenti hanno preferito cancellare le lezioni per far riprendere gli studenti dallo “stress emotivo” della vittoria di Donald Trump. Nei bollettini studenteschi la cronaca ci restituisce tutto l’impatto che il “pregiudizio scolastico” può giocare nelle nostre analisi.

 

Cerchiamo, spesso giustamente, di comprendere fenomeni complessi mediante analisi approfondite e teorie generali. Non di rado però è quanto potrebbe apparire secondario e superficiale, come la cronaca studentesca, a regalarci intuizioni profonde. Già nel 2016 le reazioni nei campus statunitensi alla vittoria di Donald Trump erano state in molti casi scomposte ed emotive e anticipavano i dibattiti degli anni successivi fino ad arrivare ai mesi terribili del post 7 ottobre, quando abbiamo assistito a palesi discriminazioni nei confronti degli studenti ebrei. La crisi che attanaglia l’occidente sembra essere sì di ordine geopolitico, ma la bancarotta intellettuale che emerge sempre più spesso segnala un problema forse più profondo. Tale questione si concentra su un nucleo principale e più importante: l’incapacità di gestire un sano e vibrante pluralismo sociale, cuore e nucleo imprescindibile di una robusta democrazia liberale. Così quanto avviene nei campus segnala e anticipa trend sociali più ampi, che poi tendono a ripetersi in altri ambiti della società. Una recente indagine avviata nel contesto del suicidio di uno studente dell’Università di Oxford ha rivelato che lo studente Alexander Rogers si è tolto la vita lanciandosi nel Tamigi perché sopraffatto da una “pervasiva cultura di ostracizzazione sociale” che, a causa della diffusione delle idee associate al movimento della cancel culture, ha egemonizzato anche alcuni campus anglosassoni.

 

Schermare gli studenti dalle idee che non condividono e dalla pluralità della vita fuori dai campus non li aiuta. Così come non li aiuta la narrazione che vede come necessario eliminare i momenti di “sofferenza”. Come ha scritto di recente Vito Mancuso: “Chi non ha sofferto non ha imparato; è per questo che la nostra società, che rifiuta sistematicamente la lezione della sofferenza, è una società profondamente ignorante, che premia e onora gli ignoranti. Ma chi ha provato e pensato il dolore ha acquisito la vera conoscenza, il cui nome è saggezza”. Dovremo forse riscoprire il valore delle scomodità e degli spazi educativi che preparano al pluralismo, alle difficoltà e alle contraddizioni della vita. Del resto, è stata la valorizzazione di questo pluralismo la base della grandezza dell’occidente.