L'analisi
Ma quale patriarcato, la vittoria di Trump è stata la sconfitta del femminismo
Tutti pensavano che le donne avrebbero votato in massa Kamala. Invece il femminismo occidentale non solo dà evidenti segni di crisi e di disorientamento politico ma sta perdendo terreno perfino nel suo campo di battaglia fondamentale, quello dell’aborto. Un convegno
Non è stata una vittoria del patriarcato, come ha scritto Repubblica, quella di Trump, ma piuttosto una sconfitta del femminismo: tutti pensavano che le donne avrebbero votato in massa Kamala, favorevole all’aborto ed esempio lei stessa di emancipazione femminile e di correttezza gender. Invece bisogna ammetterlo: il femminismo occidentale non solo dà evidenti segni di crisi e di disorientamento politico, trascurando di difendere le iraniane ribelli e le israeliane stuprate da Hamas, ma sta perdendo terreno perfino nel suo campo di battaglia fondamentale, quello dell’aborto.
Mi ha dato la misura di cosa sta succedendo ascoltare gli interventi che si sono susseguiti al recente convegno “Femminismi”, organizzato dalla rivista Una città di Forlì, (della fondazione Alfred Lewin, uno dei pochi luoghi che hanno ancora il gusto della discussione libera e seria) dove si sono confrontate femministe vecchie e nuove, davanti a un pubblico vivace di tutte le età. Soprattutto, ho capito che la frattura fra vecchio e nuovo femminismo, anzi transfemminismo, è grave e non ci sono, almeno da parte delle generazioni più giovani, vere intenzioni di colmarla.
Sono venuta infatti a conoscenza di storie incredibili, come quella di Cristina Gramolini, che da trent’anni milita nel movimento lesbico, sperando nella “rivoluzione gentile” profetizzata da Franco Grillini, e che si è trovata bersaglio del movimento lgbt. Ha dovuto così vedere, durante una manifestazione bolognese, il suo viso, assieme a quello di altri “potenti del mondo”, Trump, Orbán, Meloni calpestato dalle femministe. Come è potuto succedere? Gramolini ha raccontato come il movimento di liberazione è diventato un movimento di liberalizzazione acritico, cioè la richiesta di qualsiasi cosa, dalla maternità surrogata al blocco della pubertà, al self-id spinto fino alla partecipazione alle gare sportive nel settore di genere al quale si dice di appartenere, e alla liberalizzazione del lavoro sessuale. Senza dare la possibilità di aprire un confronto vero su queste realtà, rivelandone gli aspetti di sopraffazione su figure deboli, come le donne povere o gli adolescenti. In sostanza, questa violenza rivela che sta prevalendo un discorso di odio nei confronti di tutto ciò che ostacola i loro desideri. E la sinistra li appoggia, aderendo alle loro proposte, trasformandole in diritti.
Capisco ancora meglio il disagio di Gramolini ascoltando le rappresentanti dei femminismi di oggi, cioè le esponenti di movimenti trans-femministi. Per loro la violenza sta solo nella società in cui viviamo, una società di estrema destra in cui, quasi come beffa, la minaccia viene da una donna, la Meloni. Il razzismo in questo paese è dilagante, dice Maria Paola Patuelli, proponendo una analisi politica che riconosce solo una violenza strutturale, quella del potere, a cui si aggiunge, molto meno pericolosa, quella di genere. Per questo Marie Moise arriva ad affermare che le violenze del 7 ottobre sulle donne israeliane non devono essere deplorate, perché si tratta pur sempre di donne “colonialiste” e poi nelle guerre le donne sono state sempre violentate. Non si tratta quindi di violenze strutturali. Così sono venuta a sapere che, secondo lei, il patriarcato del Magreb sarebbe derivato dal colonialismo occidentale. Se non vogliamo dire altro, prova di una grave ignoranza della storia.
Del resto, nel dibattito che vede il confronto fra le tre tradizioni religiose monoteiste e il loro rapporto con le donne, davanti a due relatrici – la storica israeliana Tamara Erzig e la sottoscritta – che sottopongono ebraismo e cristianesimo a un serrato esame critico, Sara Borrillo dipinge un islam tollerante e ricco di studiose (che vivono però in paesi non islamici) confermando così la benevolenza di questa tradizione nei confronti della libertà femminile, per arrivare a criticare le intellettuali occidentali che pensano che nei paesi islamici ci siano donne da difendere e da salvare. Colonialismo anche questo, secondo Borrillo.
Torniamo su un terreno meno minato con due uomini, Alberto Leiss e Edoardo Albinati, chiamati a discutere di violenza maschile sulle donne: qui per fortuna non sentiamo la solita solfa ideologica contro il patriarcato, ma una analisi storica. Entrambi interpretano questa violenza come recente recrudescenza, cioè come reazione all’emancipazione femminile. Ascolto anche gli interventi di femministe storiche, come Vicky Franzinetti, Alessandra Bocchetti e Adriana Cavarero, che ci riportano ad un altro livello intellettuale, ad un altro tempo e ad un altro mondo.
In particolare il dibattito finale fra Cavarero, Adriano Sofri, e Olivia Guaraldi in cui Sofri ricorda l’esistenza di una alleanza internazionale – che va da Putin ai partiti di destra e allo stesso papa – che difende la famiglia tradizionale e quindi l’oppressione delle donne, senza riflettere però sul fatto che se questa alleanza esiste ed è forte – vedi la vittoria di Trump – è anche per i gravi errori delle sinistre che hanno sostenuto posizioni ideologiche estreme senza rendersi conto che non potevano essere condivise dagli strati popolari.
E’ evidente infatti che le posizioni violente dei trans con cui si scontra Gramolini, l’ossessione del binarismo sessuale considerato il massimo dei mali, il nuovo linguaggio woke staccato dalla realtà, lo sfruttamento della capacità generativa delle donne con la Gpa, non sono obiettivi proponibili a persone normali, non ideologizzate e fedeli alla realtà. Lo ricorda con un brillante intervento Adriana Cavarero, che rivendica il suo punto di vista di sostenitrice della differenza femminile, che esiste e che quindi la conduce a ragionare con lucidità sulla realtà: solo il corpo femminile genera, e negarlo porta allo sfruttamento delle donne se non addirittura alla loro cancellazione come soggetto. Assisto a uno scontro fra generazioni, che si confrontano con difficoltà, generato soprattutto dal rifiuto del nuovo femminismo di imparare dal vecchio, e dalla sua incapacità di capire dove le sue visioni lo porteranno. Per ora, lo vediamo, alla vittoria di Trump.