Soldi e presenza

Musk, l'oligarca di Trump

Paola Peduzzi

"Il grande Elon Musk” e “il patriota americano” Vivek Ramaswamy guideranno il “dipartimento per l’Efficienza” che vuole tagliare burocrazia e costi eccessivi dell’apparato statale americano. La classifica delle spese idiote, l'abolizione del ministero dell'Istruzione e magari anche della Fed, e il mondo del business che è pronto a tutto per ingraziarsi il "supergenio". Gli scambi con Trump e l'obiettivo principale

"Il grande Elon Musk” e “il patriota americano” Vivek Ramaswamy guideranno il “dipartimento per l’Efficienza” che vuole tagliare burocrazia e costi eccessivi dell’apparato statale americano: non è un ministero, dovrà ricevere il mandato ufficiale dal Congresso (molti dicono che il Congresso è scettico, ma se c’è una cosa che evapora quando c’entra Musk è la voglia di metterselo contro) ma già nel suo acronimo –  Doge – si ritrova la propensione del presidente eletto Donald Trump a coccolare il suo potentissimo consigliere-finanziatore: la criptovaluta preferita da Musk si chiama Dogecoin, ed  essendo uno fissato con i nomi, per lui questi dettagli contano. Del dipartimento si sa soltanto quel che è stato detto negli ultimi mesi da Trump e da Musk (Ramaswamy è una comparsa premiata per fedeltà e soldi), cioè che questo nuovo progetto “lancerà una scossa al sistema e a chiunque è coinvolto negli sprechi, cioè un sacco di gente” (ci sono molte emoji di fiamme), che sarà all’insegna della trasparenza, che ci sarà una classifica delle spese più idiote, che “sarà allo stesso tempo tragico e divertente”  e che, dice Trump al solito rassicurante, è il “Manhattan Project” di quest’epoca, quello di allora  portò alla bomba atomica. Soprattutto questo dipartimento è il sigillo di un’alleanza che vuole torcere le regole del sistema.

 Vuole combattere una guerra politica, di potere e culturale: è il “drenare lo stagno” del primo Trump, ma questa volta con un metodo che si chiama Musk. Prima che l’alleanza diventasse esplicita, Musk guidava sei aziende – Tesla, SpaceX, xAI, X, Neuralink, Boring Co.  – poi è arrivato l’America Pac, che ha speso circa 200 milioni per far vincere Trump quasi interamente in porta a porta e “operazioni sul campo”, che è partito con la stessa burrasca che investì il neoacquisito Twitter, cioè pagamenti in ritardo ai dipendenti, licenziamenti immotivati e via dicendo, e che ha goduto della dedizione costante dello stesso Musk, che ha riempito auditori negli stati in bilico (soprattutto la Pennsylvania) e che ha utilizzato X e il suo algoritmo ideologizzato come un altoparlante sempre acceso. E’ così, con soldi e presenza, che Musk è diventato Musk, rompendo gli argini retorici, disseminando bugie, barzellette, meme, annunci  – per restare in termini di efficienza: ha detto di voler licenziare fino all’80 per cento dei dipendenti pubblici, abolire il ministero dell’Istruzione, dichiarare incostituzionale la Federal Reserve  – e riuscendo così ad attrarre elettori e riacciuffare gli investitori che in questi anni di operazioni abrasive si erano allontanati da lui. Il titolo di Tesla è in crescita a ritmi inusuali da quando Trump ha vinto (e sì che le auto elettriche al presidente eletto non piacevano affatto, e sì che il tipico acquirente di Tesla è un progressista ricco attento all’ambiente, cioè il nemico), c’è una promessa presidenziale di spazzare la concorrenza dei produttori di robotaxi, anche se il robotaxi di Musk non esiste ancora, e di fare nuovi contratti con SpaceX per le esplorazioni spaziali, e tutti quelli che avevano preso le distanze, politici e imprenditori, tornano mansueti dal “supergenio” incendiario. I ricavi di X erano crollati da quando Musk aveva comprato il social due anni fa – gli analisti dicevano che il valore fosse sceso a 10 miliardi di dollari (ne erano serviti 44 per comprarlo) – perché anche a causa dell’assenza di moderazione dei contenuti aziende come Disney, Ibm e Apple avevano deciso di lasciare la piattaforma,  Musk li aveva mandati a “farsi fottere”, e ora ride sprezzante dicendo che “il boicottaggio è finito”: il Financial Times ha raccontato che  vale tutto pur di ingraziarsi Musk. A guardare i dati si tratta ancora di una piccola percentuale di aziende tornate, e fanno più rumore i disiscritti come il Guardian, ma la tendenza è questa.

Musk approfitta di questo potere ottenendo quel che desiderava di più: l’accesso, non soltanto a Trump (anche se sembra enorme, per esempio: la sua presenza non era prevista durante la conversazione con Volodymyr Zelensky, ma Musk è arrivato nella stanza e Trump gli ha passato il telefono) ma agli apparati della sicurezza e della difesa, militari ed economici. E’ questa la merce di scambio per Musk, che ora ha mandato di sburocratizzare lo stato ma che ha l’ambizione di sostituirsi allo stato, di fare quello che lo stato non fa e farlo meglio, smantellando le istituzioni con la scusa dell’efficienza (bisogna rileggere Ayn Rand per decifrare il rapporto che Musk ha con lo stato, e come vuole trasformarlo). Intanto smantella le consuetudini, suggerisce di cambiare i media che hanno accesso, di nuovo, alle conferenze stampa alla Casa Bianca, per dare una posizione ai new media che hanno trainato il voto per Trump. Bloomberg scrive che una definizione esatta del ruolo di Musk c’è: è un oligarca.
 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi