il personaggio

Musk, nessuno e centomila. Ritratto laterale dell'amico geniale di Trump

Michele Masneri

L’Assurdistan è qui, è tra noi, è il nuovo territorio politico-cultural-ideologico, dove Elon Musk è protagonista, sceneggiatore, tutto quanto. Ma intanto cosa non sappiamo ancora di lui?

“Musk contro Mattarella” o “Sandro Ruotolo dice no a Musk” già fanno ridere, son cose assurde, come quei film che andavano negli anni Sessanta e Settanta con titoli come “Totò contro Maciste” o “Ultimo tango a Zagarol”. Ma viviamo in tempi eccetera, e del resto se mettessimo in una sceneggiatura o romanzo un imprenditore americano pazzerello che critica un governo estero che sta costruendo villaggi mobili in un altro paese dove rimpatriare immigrati che poi vengono fatti tornare indietro per ordine dei giudici il produttore direbbe: no, dai, non ci crede nessuno (e poi troppi costi di produzione, pure con le navi da guerra, forse si potrebbe utilizzare il sistema “odimo”, cioè lo facciamo dire a degli attori senza metterlo in scena, così si risparmia. Chissà se Musk ha mai visto Boris).

 

Eppure l’Assurdistan è qui, è tra noi, è il nuovo territorio politico-cultural-ideologico, dove Elon Musk è protagonista, sceneggiatore, tutto quanto. Ed è un mondo che spaventa e anche un pochino affascina, di certo cozzando con quello vecchio: è fantastico il clash, per esempio leggendo anche “i retroscena” del Quirinale che normalmente fungono da messaggi in bottiglia per la politica italiana e illustrano i malumori del Colle, come se Musk la mattina sfogliasse i quotidiani di Roma in cerca di virgolettati (ma invece Salvini difende Musk e sul sito di Beppe Grillo si ricorda “il filo rosso che unisce Musk al movimento Cinquestelle”, e su Ruotolo che abbandona il social, ci saranno stravolgimenti tra Washington e Starlink?).  Non sono domande retoriche, tutto è possibile, e ormai abbiamo capito che dobbiamo abituarci ogni giorno a un livello di surrealtà sempre più spinto. Una surrealtà che abbatte le barriere, che frulla tutto insieme, con il Grande Twittatore che fa e disfa, risponde, come un Calenda coi codici nucleari e il ciuffo artificiale. 

 

Probabilmente quando questo pezzo andrà in stampa il presidente eletto dell’Assurdistan, Elon Musk, imprenditore come si suol dire “visionario”, ne avrà già combinate altre, nel fregolismo dell’epoca che viviamo e dei suoi protagonisti. Per ora la questione più interessante è che ha aggiunto alle sue cariche anche quella di capo del DOGE, titolo creato appositamente per lui, come capo di un “Department of Government Efficiency”, annunciato con un logo con sopra un cagnetto (ma ci torneremo in seguito, sul cagnetto). Musk insomma sarà una specie di braccio destro di Trump con delega alla semplificazione della burocrazia, un Brunetta per rimanere in tema di venezianità, coi superpoteri. Tanti già sperano in uno scontro di ego, insomma sempre Calenda, dove Trump sarebbe Renzi. Ma al GOP, il Grand Old Party, forse sono più furbi e non si scindono.

 

Ma intanto cosa non sappiamo ancora di lui? Se tutti ormai recitano a memoria che è nato in Sudafrica, con un papà cattivo, che si è trasferito prima in Canada, paese della madre, poi negli Stati Uniti, infine in California, per il dottorato di ricerca a Stanford, che ha lasciato per cominciare a fondare startup come PayPal, insieme a un altro soggettone siliconvallico, Peter Thiel. Che non può essere presidente perché nato appunto in Sudafrica (altrimenti sarebbe presidente da un pezzo).

 

Forse meglio gettarsi su questioni laterali che spiegano meglio il personaggio. Per esempio, il suo sogno di lungo periodo è colonizzare Marte, al momento è occupato a colonizzare il Texas, che per lui è la nuova California, lo stato dove le sue aziende sono fiorite, ma che adesso ha abbandonato, per trasferirsi nel confinante “stato della Stella solitaria”, che offre più libertà, meno tasse, meno “woke”, altra ossessione di Musk. Che sta così attualmente sviluppando un insediamento chiamato Snailbrook nella contea di Bastrop, vicino ad Austin, Texas. Questo progetto mira a creare una “città aziendale utopica” destinata ai dipendenti di The Boring Company e SpaceX, alcune delle sue imprese. Snailbrook è concepita per offrire alloggi a prezzi accessibili ai dipendenti, con l’obiettivo di creare una comunità integrata che favorisca sia la vita lavorativa che quella personale. Il progetto prevede la costruzione di abitazioni, strutture ricreative e altri servizi per migliorare la qualità della vita dei residenti, insomma una company town come le vecchie Crespi d’Adda o villaggio Marzotto, però coi razzi, e del resto il Texas è anche detto “Land of the Big Sky”, riferito ai vasti cieli aperti e al paesaggio infinito, e i cieli sappiamo quanto siano importanti per Musk.

Oltre a Snailbrook, Musk ha infatti manifestato interesse per lo sviluppo di un’altra comunità chiamata Starbase, situata vicino al sito di lancio di SpaceX a Boca Chica, sempreTexas. Starbase è pensata per supportare le operazioni spaziali dell’azienda e potrebbe includere strutture residenziali e commerciali per i dipendenti e le loro famiglie.  Questi progetti riflettono la visione di Musk di creare ambienti di lavoro e vita integrati, promuovendo l’innovazione e la collaborazione tra i dipendenti delle sue aziende. I locali non sono tanto contenti perché sta comprando terre a tutta callara facendo lievitare molto i costi, ma tant’è. Ha acquistato infatti una proprietà da 35 milioni di dollari ad Austin con l’intenzione di creare un complesso residenziale per i suoi figli e le loro madri. Famiglia molto allargata, altro che i Meloni all’Eur: i suoi 11 figli (quelli noti, ma qualcuno dice 12, da tre madri diverse tra cui la cantante Grimes) dovranno avere ampio spazio per giocare. I figli, come ha raccontato il New York Times, sono la sua ossessione. A partire dai suoi: uno l’ha chiamato X Æ A-Xii, per gli amici X, un altro è diventato un’altra, e il figlio transeunte è uno dei motivi per cui Musk si è buttato a destra. Oltre che trans, il figlio diventato figlia è pure comunista, qui Musk è proprio stravolto, tipo Mario Brega papà del fricchettone Verdone in “Un sacco bello”. Forse per rifarsi della figlia comunista, Musk è infatti molto concentrato sulla natalità e posta spesso robe su questo tema. Del resto c’è da capirlo, come se Ginevra Meloni-Giambruno diventasse Ginevro e militasse con Fratoianni.  

Spesso Musk cita l’Italia (certo siamo un paese di vecchi e certo sappiamo che è amicone di Meloni però il nostro paese, prima di Marte, è quello che lo interessa di più). Nel maggio 2022, ha dichiarato che, se le tendenze attuali persistono, l’Italia potrebbe non avere più popolazione in futuro. Nel marzo 2024, ha sottolineato che nel 2023 si sono registrate solo 379.000 nascite in Italia, il dato annuale più basso dall’unificazione del paese nel 1861.  Musk ha affrontato il tema della denatalità anche durante incontri con leader italiani. Nel giugno 2023, ha discusso con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sull’importanza di affrontare il problema della bassa natalità in Italia. Inoltre, nel dicembre sempre del 2023, durante un evento a Roma, ha ribadito la necessità di adottare misure intelligenti e fondamentali per contrastare il declino demografico, avvertendo che, con gli attuali tassi di natalità, la popolazione potrebbe ridursi drasticamente nel giro di 3-4 generazioni. Per fortuna a volte se la prende anche con altri paesi: ha anche espresso preoccupazione per il declino demografico di Corea del Sud e Hong Kong, evidenziando che il calo delle nascite potrebbe portare a un collasso della popolazione. 
 

A livello personale, Musk è padre appunto di 11 o 12 figli avuti con diverse partner e con diversi sistemi, anche con la maternità surrogata, cosa che lo renderebbe vagamente arrestabile appena mette piede sul suolo italiano; immaginiamo una Sigonella 2.0 con l’aereo privato di Musk fermato a Ciampino e circondato da un doppio cordone, anzi triplo, di Pro Vita, di Carabinieri e delle sue guardie del corpo che sono un esercito a parte. Negli anni, ha messo su infatti una specie di “secret service su misura” scriveva il New York Times, dove si intende quell’apparato di scorte che difende il presidente Usa, niente a che vedere con le spie. 

Secondo il Times, Elon Musk ha recentemente deciso di fare un upgrade massiccio alla sua scorta personale, al punto da crearsi un piccolo esercito privato. La causa? Una serie di attentati e minacce che gli hanno fatto capire che due guardie del corpo non bastano più per proteggere il “Re dei razzi”. A novembre, durante l’evento di lancio del Cybertruck ad Austin, Texas, un veicolo che sembra uscito da un film di 007 (l’auto del cattivo, ovviamente), un uomo è stato arrestato per comportamenti sospetti. Negli ultimi due anni, Musk ha dovuto affrontare ben otto “incidenti”, di cui due minacce dirette alla sua persona. Per non parlare di altri cinque episodi accaduti nella sede californiana di Tesla a Fremont.

Così ha messo su una piccola armata di quasi 40 guardie armate, coordinate da “Foundation Security”, una società creata appositamente da Musk e battezzata con il nome del famoso romanzo di Isaac Asimov, come vuole la sua tradizione nerd. Questo cambio di passo ha avuto un costo non indifferente: dai modesti 145.000 dollari all’anno per la sicurezza nel 2018, oggi Musk spende oltre 2 milioni per garantirsi la tranquillità.

Con questo, Musk entra nella Champions League della sicurezza personale. Per intenderci, Apple sborsa circa 820.000 dollari all’anno per proteggere Tim Cook, Amazon spende 1,6 milioni per Bezos, e Meta investe oltre 23 milioni per Zuckerberg e famiglia. Ma, come dice Musk, la sicurezza è una questione di numeri: “La probabilità che un matto cerchi di ucciderti è direttamente proporzionale al numero di matti che hanno sentito il tuo nome”. E il suo nome è un’eco continua. A volte, però, l’armata dei muskiani sembra esagerare. Prendiamo l’episodio dell’ingegnere che possedeva il dominio Tesla.com molto prima che Musk entrasse nel mondo delle auto elettriche. Non voleva venderlo. Poi, dopo qualche visita insistente dei “bravi muskiani”, pare che abbia cambiato idea.  

Ma tornando ai figli, è una fissazione che gli deriverebbe dal padre, Errol Musk, ingegnere oggi settantottenne con cui ha sempre avuto un tremendo rapporto, e  ne ha avuti sette da tre donne diverse, e ha idee molto pratiche sulla riproduzione; sostiene che è come “coi cavalli. Tu fai riprodurre i cavali, e gli umani sono la stessa cosa. Se hai un buon padre e una buona madre, avrai figli eccezionali. Se non avrai figli, mi dispiace molto per te”. Il figlio più celebre, invece, ritiene che sono solo le persone a bassa istruzione che procreano, ed è un peccato. “Non dico che solo gli intelligenti debbano riprodursi, ma che anche la gente brillante dovrebbe. Noto che un sacco di donne intelligenti hanno zero o un figlio”, riporta il New York Times. A volte perde un po’ la brocca, e pare, racconta sempre il quotidiano newyorchese, che ogni tanto Musk si offra come inseminatore on demand: avrebbe anche offerto il suo sperma alla miliardaria Nicole Shananah, ex candidata vicepresidente del nipote di JFK (il picchiatello anti-vax passato con Trump Robert F.  Kennedy jr, che dovrebbe essere il nuovo ministro designato alla Sanità famoso anche perché a un certo punto disse di avere i vermi nella testa) ed ex moglie del Sergey Brin fondatore di Google. Shanahan avrebbe opposto un cortese diniego.

Non contento, nel 2021 Musk ha donato 10 milioni di dollari all’università del Texas per studiare la fertilità e i trend demografici, e ha postato almeno 67 volte sul tema. “Faccio di tutto per incoraggiare le persone ad avere tre figli o più, cosicché l’umanità possa crescere”, ha postato in febbraio. E’ un attimo che la smania ingravidatoria diventi follia, e lo spinga tra quel drappello di miliardari che a un certo punto si son messi in testa di essere i Grandi Inseminatori Globali come quel Pavel Durov, fondatore della app di messaggistica Telegram, che sostiene di essere padre di almeno 100 figli biologici in giro per il mondo grazie alle sue donazioni di seme, o quel Jeffrey Epstein pedofilo e finanziere molto amico dei potenti globali compreso Trump, che sosteneva di voler “inseminare il mondo” trasmettendo il suo Dna al maggior numero possibile di donne, con piani precisi, anche qui che coinvolgevano l’urbanistica: Epstein puntava infatti a mettere incinte 20 donne a botta nel suo ranch “Zorro” del New Mexico, e le signore pare che le selezionasse in cene di networking, belle e con quozienti intellettivi altissimi (il QI è una mania anche dei nuovi Repubblicani, che cozza abbastanza con l’apparenza di leader ed elettori abbastanza scemotti, ma magari è solo apparenza. Poi è finita che s’è suicidato, Epstein, vabbè). 

Per adesso Musk sonda potenziali signore con pochissimo garbo; pare che a una cena abbia chiesto a una coppia se poteva donar loro un po’ del suo seme, la coppia gentilmente ha declinato come già Shanahan.

Ma rieccoci al DOGE: lasciamo da parte Venezia e torniamo nell’Assurdistan. Il nome del nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa ha un’origine precisa: “Doge” deriva da “dog” scritto male, ed era in origine un meme diventato famoso una decina di anni fa, che raffigura un cane di razza Shiba Inu, una specie di volpino di nome Kabosu (sì, l’abbiamo detto, siamo nell’Assurdistan) accompagnato da testi in inglese sgrammaticato e colorato. Questo meme, nato per essere simpaticamente assurdo, ha trovato una forte risonanza su internet, e Musk, noto per il suo senso dell’umorismo e la sua propensione per tutta ’sta roba, ne è diventato un fan. Con le conseguenze assurde del caso. A un certo punto è nata la criptovaluta Dogecoin, creata inizialmente come uno scherzo, un bitcoin canino, col codice di mercato DOGE, senza pretese di diventare una moneta importante. Poi però nella sbornia per le criptovalute degli anni scorsi è salita pure quella, e Musk l’ha adottata ironicamente, contribuendo a far aumentare il valore di Dogecoin grazie ai suoi numerosi tweet, spesso scherzosi, che ne lodavano le potenzialità “Dogecoin è la mia cripto preferita. E’ molto fica”, ha twittato o xato a un certo punto. E poi: “E’ la cripto del popolo”. Così la valuta criptocanina ha continuato a crescere fino ad aprile e ha raggiunto un massimo storico di 0,74 dollari a maggio 2021, quando Musk ha condotto per una sera il programma “Saturday Night Live” in cui allo stesso tempo ha promosso la valuta volpina e sostenuto che le criptovalute fossero una sorta di “raggiro”. Il prezzo di Dogecoin a quel punto è crollato significativamente, ha raccontato la rivista Rolling Stone. Nella stessa settimana, Musk ha annunciato che SpaceX, la sua azienda di viaggi stellari,  avrebbe finanziato una missione lunare interamente con Dogecoin (quel lancio è stato poi rimandato a data indefinita). Musk ha continuato a pubblicare su Twitter meme e post stravaganti legati a Dogecoin, anche contaminando la celebre  canzoncina “Baby Shark” con“Baby Doge, doo, doo, doo, doo, doo.” Ha inoltre indicato di aver acquistato alcuni DOGE per suo figlio piccolo, X Æ A-Xii, e ha suggerito che Tesla potrebbe iniziare ad accettare la valuta – cosa che alla fine è avvenuta, ma solo per l’oggettistica, e poi neanche più per quella.  


Qualcuno non ha gradito tutto il teatrino. Dopo che Dogecoin è crollato, scendendo a 7 centesimi a giugno 2022, Musk ha affrontato una causa da 258 miliardi di dollari da parte di investitori scocciati di tutto quel… come si può chiamare? Aggiotaggio canino? Insider trading gonzo? Boh. Comunque prima del crollo il Dogecoin era salito del trentaseimila per cento. Ma la denuncia non è servita a molto, perché Musk non resiste a non scherzare col cagnetto. Nell’aprile dell’anno scorso,  in qualità di nuovo proprietario di Twitter, ha temporaneamente sostituito il logo dell’uccellino con quello del volpino. 

Di nuovo, la moneta è salita del 30 per cento. Alla fine, i bravi giudici americani, che non sono come quelli italiani, ad agosto scorso hanno respinto la causa degli investitori, definendo il supporto di Musk alla moneta-meme come “aspirazionale” piuttosto che “fattuale.” Però la parabola del DOGE racconta un’altra parte interessante del mondo muskiano, il gusto molto nerd e surreale impregnato di ironia siliconvallica, che gli permette di cazzeggiare sui social come un ragazzino brufoloso, o come uno di noi boomer, che twittiamo o xiamo nel pomeriggio quando non abbiamo voglia di lavorare, solo che lui a parte che twitta più di Calenda (sì, sempre lui!), ed è il padrone di X, ma poi i suoi post determinano l’andamento delle Borse e delle prime pagine dei giornali del giorno dopo in tutto il mondo.  Per ora, in questa dimensione tra il reale e l’assurdo, il Dogecoin sta per toccare la cifra clamorosa di 10 dollari, in un’euforia complessiva di trionfo in scia alla elezione di Trump. Ma non solo per il cagnetto. Una delle varie sottonicchie di elettori di cui il Partito democratico evidentemente  non ha mai avuto contezza, o che ha scelto di non filarsi, è la comunità crypto, insomma il vasto mondo degli smanettoni che amano i bitcoin e i loro derivati. Proprio il Bitcoin infatti in questi giorni sta battendo qualunque record oltre gli 80 dollari, e racconta di un altro mondo contento di Trump.

Il sostegno del mondo crypto per Donald Trump può sembrare contraddittorio, perché lo stesso tycoon irsuto in passato si era espresso con scetticismo su Bitcoin e dintorni. Ma la sua amministrazione ha promosso una filosofia di deregolamentazione economica, vista favorevolmente dagli appassionati di crypto che sono contrarissimi alla regolamentazione e amano valori di libertà economica e decentralizzazione, e vedono in Trump un simbolo anti-establishment e favorevole a una minore supervisione governativa, rispetto ai Dem che paiono tutti dei pedanti maestri assetati di regole. 

Inoltre, il movimento crypto è nato in risposta alla sfiducia verso le banche centrali dopo la crisi dei mutui del 2008, e Trump sappiamo che ama bullizzare la Federal Reserve, accusandola di essere troppo potente e chiedendone politiche meno restrittive. Questa visione piace molto ai criptovalutari che considerano le banche centrali inutili baracconi. Le criptovalute come il Bitcoin sono state create infatti proprio per essere indipendenti da qualsiasi controllo governativo o autorità centrale. Le banche centrali, al contrario, regolano l’offerta di moneta e influenzano l’economia attraverso tassi di interesse e politiche monetarie. La comunità crypto schifa tutto questo vecchio mondo di pesi e contrappesi e preferisce un sistema dove l’emissione di moneta è decentralizzata e predeterminata, come nel caso del Bitcoin, dove la quantità massima è fissata a 21 milioni di unità.  

Sebbene Trump non abbia mai sostenuto apertamente le criptovalute come valuta, la sua incursione nel mercato degli NFT nel 2022 con le “Trump Digital Trading Cards” ha mostrato un’apertura alla tecnologia blockchain. Inoltre, le politiche fiscali di Trump, favorevoli agli investitori, sono state apprezzate dalla comunità crypto.  O forse è tutto più basilare, e  i crypto-adepti sarebbero altri “bro”, dopo i tech-bro, i finance bro, i complottari -bro, in quel  gigantesco referendum sulla mascolinità che sono state queste elezioni. Secondo una ricerca di Gemini (2021), infatti, circa il 74 per cento degli investitori in criptovalute sono uomini, e la maggioranza ha tra i 18 e i 34 anni.  Secondo varie analisi post-elettorali (prima, nessuno ci stava a capì un c***o, cit.) infatti Trump e Musk sono calamite per maschi di tutti i gradi e livelli che in qualche modo si son sentiti minacciati negli ultimi anni, o semplicemente apprezzano più il trumpismo del bidenismo. Soprattutto i giovani: il 56 per cento degli uomini tra il 18 e i 29 anni hanno supportato Trump, in crescita di 15 punti rispetto alle elezioni del 2020.

Ma tornando al DOGE burocratico, il presidente arancione eletto ha scritto in un comunicato di essere felice di annunciare che “il grande Elon Musk insieme al Patriota americano  Vivek Ramaswamy dirigeranno il Department of Government Efficiency per smantellare la burocrazia, le regole in eccesso, le spese inutili, e ristrutturare le Agenzie federali. Questo causerà onde d’urto nel Sistema, e colpirà chiunque sia coinvolto negli sprechi governativi, che sono molte persone. Il DOGE sarà il Manhattan Project dei nostri anni”, con riferimento al progetto che studiò la bomba atomica.
Poi è apparso il nuovo account del Doge su X, con un bel simbolo del dollarone dorato su fondo nero, e un annuncio di lavoro. “Siamo molto grati per tutte le migliaia di americani che hanno espresso interesse ad aiutarci col DOGE ma non abbiamo bisogno di portatori di idee part time. Abbiamo bisogno invece di “super high-IQ small-government revolutionaries willing to work 80+ hours per week on unglamorous cost-cutting”, ecco un’altra formula che forse definirà il Trump-governo, cioè statali rivoluzionari vogliosi di lavorare tantissimo e intelligentissimi, insomma una nuova razza di Masters of the Universe del cartellino, una specie di SuperFantozzi della burocrazia. “Elon & Vivek in persona leggeranno i migliori curricula arrivati”. A questo punto ci si aspetta una presa di posizione di Cgil e pubblico impiego italiano a favore degli statali americani con basso QI e che vogliono lavorare meno, lavorare tutti, per simmetria con l’ingerenza di Musk sulla magistratura italiana. 

Il Financial Times è scettico su questo mitologico disboscamento legislativo: non c’è mai riuscito nessuno. E poi, non è che a Musk verrà voglia di tagliare anche leggi che magari ostacolano i suoi business? Certo, la parola conflitto di interessi pare terribilmente fuori moda tra questi razzi che vanno su Marte, auto elettriche e nuovi leader svalvolati. Tipo Vivek: che è un altro personaggione della grande infornata di homines novi che Trump e Musk stanno nominando ai vertici delle istituzioni: un po’ cattivo di film di James Bond, un po’ cervellone, è un milionario del settore farmaceutico che si è fatto da sé. Ha origini indiane, è ovviamente complottaro (sostiene che gli Stati Uniti si siano fatti da soli l’attentato dell’11 settembre, che il cambiamento climatico sia una truffa, che le elezioni del 2020 furono vinte da Trump, insomma tutto il kit del candidato trumpiano in cui probabilmente non crede per niente ma che serve per gli elettori gonzi). Ha avuto una borsa di studio della famiglia Soros, i public enemy del destronismo globale, e ha brigato per nascondere il fatto ma non c’è riuscito. Si era presentato alle primarie del Partito repubblicano ma poi ha ceduto il passo al presidentissimo. Doppia laurea in Biologia a Harvard e in legge a Yale, a Harvard aveva un gruppo rap e suonava le cover di Eminem, mentre a Yale è diventato amico del futuro vicepresidente, J.D. Vance, e ha scritto un bestseller fondamentale per la nuova Destra Spectre americana, “Woke, Inc.: Inside Corporate America’s Social Justice Scam” (2021), dove critica le aziende americane che adottano politiche di giustizia sociale, sostenendo che spesso si tratta di strategie di marketing piuttosto che di autentico impegno sociale. Il moderno complesso industriale “woke”, sostiene Ramaswamy, “ci divide come popolo. Mescolando moralità e consumismo, le élite americane sfruttano le nostre insicurezze più profonde riguardo a chi siamo davvero. Ci vendono cause sociali superficiali e identità di facciata per placare la nostra fame di un obiettivo e la nostra ricerca di significato, in un momento in cui, come americani, manchiamo di entrambi”. 

Insomma, in un partito in cui il woke è il grande nemico, nemico però piuttosto fumoso e  impreciso, lui si è portato avanti e ha scritto le nuove tavole del vangelo. Il bello di Musk & soci è che non sono completamente pazzi né completamente geni. Sono un mistone di scemenza attuale, spirito del tempo e forse visione di un futuro che noi non si riesce a vedere, troppo schifati o schizzinosi, coi meme e coi social, e genialità provata dai successi nei loro campi e in rocambolesche avventure da vecchi robber barons. Forse l’America con questi soggettoni non sarà più la stessa o non sarà più e basta; magari invece diventerà ganzissima anche se un po’ inquietante, tipo nuova età dell’oro un po’ violenta ma freneticamente vitale. Staremo a vedere (ps. Nelle ultime ore Musk ha postato una foto di lui con una enorme chiave inglese, per dire quello che farà al DOGE, e ha ripostato il New York Post secondo cui le prime spese da tagliare saranno per “le scimmie trans” e altre voci di spesa strambe. Buonanotte e buona fortuna).
 

   

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).