Josep Borrell (foto Epa, via Ansa)

In Ue il “whatever it takes” per Kyiv vacilla. L'ultima dimostrazione: i droni russi nello Xinjiang

David Carretta

A mille giorni dall’inizio della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, l’Unione europea si è accorta della sua indecisione: perché l'Europa non è in grado di fare ciò che è necessario sul fronte militare

Bruxelles. “Non puoi pretendere di essere una potenza geopolitica se ci metti giorni, settimane e mesi per raggiungere accordi per agire. Il mio ultimo appello ai miei colleghi è di essere più uniti e prendere decisioni più rapidamente. Gli eventi non ti aspettano”, ha detto ieri l’Alto rappresentante, Josep Borrell, prima di presiedere la sua ultima riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione europea. A mille giorni dall’inizio della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, l’Ue si è accorta della sua indecisione. Nonostante la promessa di sostegno “incrollabile”, i ventisette stati membri non sono riusciti a fare tutto quanto necessario per mettere il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in una posizione di forza per negoziare la pace. Ritardi sulle forniture di armi, impegni non mantenuti sulle munizioni e la difesa aerea, restrizioni sui missili a lunga gittata, veti dell’Ungheria di Viktor Orbán, paura dell’escalation e divisioni interne, hanno smentito la narrazione della “whatever it takes” fino alla vittoria dell’Ucraina. Fino alla telefonata di venerdì di Olaf Scholz a Vladimir Putin, che ha provocato una dura reazione da parte di alcuni suoi omologhi europei. “Nessuno fermerà Putin con le telefonate”, ha detto il premier polacco, Donald Tusk. L’attacco massiccio di missili e droni contro le infrastrutture energetiche ucraine del fine settimana “ha dimostrato che la diplomazia telefonica non può sostituire il vero sostegno di tutto l’occidente all’Ucraina”. Tusk sta cercando di organizzare una coalizione di volenterosi europei per cercare, almeno in parte, di compensare il disimpegno degli Stati Uniti dall’Ucraina quando Donald Trump tornerà alla Casa Bianca il 20 gennaio 2025.

 

L’ultimo esempio delle esitazioni europee sull’Ucraina era in mostra ieri. Ai ministri degli Esteri sono state presentate prove concludenti del fatto che la Russia sta producendo droni militari nello Xinjiang, la regione occidentale della Cina più controllata dal regime di Pechino per l’indipendentismo uiguro. La tedesca Annalena Baerbock ha avvertito che “devono esserci e ci saranno conseguenze”. Secondo la finlandese Elina Valtonen, con la Cina “non può essere business as usual” perché il sostegno militare alla Russia compromette “la sicurezza e l’architettura di sicurezza europea”. Una linea rossa fissata dall’Ue è stata superata. Ma un gruppo di paesi vuole aspettare per chiedere chiarimenti a Pechino e verificare se i droni militari prodotti in Cina sono stati effettivamente trasferiti in Russia. Lo stesso Borrell si è mostrato molto prudente. “Come in molti casi, non sappiamo cosa fare e abbiamo paura di quale potrebbe essere la reazione della Cina”, ha ammesso il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis.

   

Un’altra eterna esitazione europea riguarda l’uso di missili forniti dagli occidentali per colpire in profondità la Russia. “Gli ucraini dovrebbero essere in grado di usare le armi che forniamo non solo per fermare le frecce, ma anche per colpire gli arcieri”, ha detto Borrell dopo la decisione del presidente americano, Joe Biden, di togliere alcune restrizioni sugli Atacms. Francia e Regno Unito faranno lo stesso sugli Scalp e gli Storm Shadow. Anche l’Italia fornisce i missili Scalp, ma “la nostra posizione sull’uso delle armi da parte dell’Ucraina non cambia. Si possono usare solo all’interno del territorio ucraino”, ha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. In Germania nonostante una crescente pressione interna – compresa dai Verdi – il cancelliere Scholz continua a rifiutare di fornire i missili a lungo raggio Taurus, che potrebbero infliggere alla Russia gravi danni a ponti e bunker. “Non c’è ragione per prendere una decisione diversa”, ha detto il ministro tedesco della Difesa, Boris Pistorius.

   

Borrell ieri ha ricordato che l’escalation di Putin c’è stata ogni volta che non c’è stata reazione da parte degli occidentali. Con Trump “è tempo per l’Europa di incrementare” il sostegno all’Ucraina: finanziario, militare e con le sanzioni contro la Russia. In gioco c’è la sicurezza della stessa Ue. Ma per alcuni leader, con le sue indecisioni, divisioni e tentazioni di capitolare, l’Ue non è in grado di fare ciò che è necessario sul fronte militare. Oggi a Varsavia ci sarà una prima riunione dei ministri degli Esteri di Polonia, Francia, Regno Unito, Germania, Italia e Spagna. Tusk ha preso l’iniziativa di creare un gruppo di paesi volenterosi con Emmanuel Macron, Keir Starmer e i leader dei paesi nordici e baltici. Il premier polacco ha dubbi sulla reale determinazione di Berlino, Roma e Madrid.

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