prevenire il riarmo

Come fermare le rotte iraniane per dare le armi a Hezbollah

Micol Flammini

Israele conosce come si spostano i rifornimenti di Teheran verso il gruppo sciita via terra, ma non conosce cosa si muove in mare. Una storia misteriosa per prevenire che un altro accordo con il Libano diventi carta straccia

Nel giorno in cui Israele e gli Stati Uniti avrebbero dovuto parlare soltanto dell’unico accordo per un cessate il fuoco che si intravede in medio oriente, le conversazioni tra i funzionari si sono dovute concentrare invece sulla decisione della Corte penale internazionale di spiccare un mandato d’arresto per il primo ministro Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, i cui nomi sono stati messi accanto a quelli di chi ha iniziato la guerra contro Israele e quindi causato la risposta contro la Striscia di Gaza: Deif, Sinwar, Haniyeh, tutti  morti. Gli Stati Uniti non hanno avuto un attimo di esitazione, hanno detto che respingono la decisione della Corte, hanno iniziato a coordinarsi con Israele e altri alleati per decidere come agire e il portavoce della Casa Bianca ha messo in chiaro la posizione dell’Amministrazione Biden: “Restiamo profondamente preoccupati per gli errori di processo che hanno portato a questa decisione. Gli Stati Uniti sono stati chiari sul fatto che la Corte penale internazionale non ha giurisdizione su questa questione”.  


Ieri era in Israele l’inviato speciale per il medio oriente Amos Hochstein, era arrivato da Beirut per discutere con i funzionari israeliani del possibile accordo per fermare la guerra con Hezbollah. L’intesa sta prendendo forma, i primi dettagli diffusi sono i più scontati: ritiro del gruppo militare al di sopra del fiume Leonte; esercito libanese operativo nella fascia di territorio che arriva al confine con Israele; cittadini israeliani nelle condizioni di tornare ad abitare nel nord del paese. Rimangono alcune questioni da risolvere e non sono da poco: Israele vorrebbe avere la possibilità di compiere azioni mirate in Libano con l’obiettivo di non permettere a Hezbollah di tornare da dove ha scatenato la guerra, ma i funzionari libanesi, non soltanto membri del Partito di Dio, non sono d’accordo. L’altra è invece di natura internazionale e riguarda i paesi che dovranno traghettare il passaggio dal cessate il fuoco temporaneo di sessanta giorni alla pace addestrando  e istruendo l’esercito libanese. Tutti vogliono l’accordo. In Israele neppure i più estremisti si espongono per continuare lo scontro, avere oltre sessantamila cittadini rifugiati da più di  un anno crea uno scontento difficile da gestire e, nonostante l’alto numero di riservisti, anche dal punto di vista militare la guerra in Libano è sempre meno sostenibile. Il Libano vuole la pace, vuole finanziamenti che lo aiutino a ripartire, intende mettere a posto il suo sistema politico avvelenato da Hezbollah. Hezbollah invece  non intende essere distrutto, è al limite della sua capacità militare e punta a non disperdere il suo capitale politico che gli è sempre servito da copertura per preparare la guerra. L’Iran, il finanziatore di Hezbollah, vuole che il gruppo rimanga dov’è, recuperi il suo potere in Libano e ora cerca il tempo per poter ricominciare ad armarlo: la Guida suprema Ali Khamenei avrebbe detto a Hezbollah di accettare l’accordo e in questi giorni a Beirut ha mandato il suo consigliere Ali Larijani con in tasca il messaggio chiaro dell’approvazione da parte di Khamenei del cessate il fuoco e la promessa  di un aiuto iraniano per riprendersi dalla guerra. Per Teheran la ripresa non è soltanto finanziaria, ma anche armata perché il ruolo di Hezbollah in Libano deve continuare a essere quello che è sempre stato: un pericolo per Israele. 


Mentre negozia e accetta l’accordo, lo stato ebraico cerca di capire come prevenire il riarmo di Hezbollah e l’unico metodo è trovare tutte le vie di comunicazione, gli snodi per il passaggio delle armi. Lo stato ebraico sa già molto e sta già agendo, ma deve arrivare alle strade ancora sconosciute per evitare che il problema Hezbollah si ripresenti. Servono nuove informazioni che portano al mare e a  un racconto misterioso di  inizio novembre. In una notte libanese senza luna, un commando israeliano è arrivato nella città portuale di Batrun, in Libano, sbarcando silenziosamente per prendere un uomo poco famoso, ma per il quale valeva la pena compiere una spedizione notturna. L’obiettivo della missione era Imad Fadel Amhaz, ufficiale di trentotto anni della Marina libanese, che è stato portato via assieme alle sue dieci sim e ai suoi apparecchi elettronici. Hezbollah ha negato di conoscere Amhaz, i famigliari di Amhaz hanno negato che avesse qualsiasi rapporto con Hezbollah. Alcuni quotidiani hanno definito Amhaz una spia di Israele. Probabilmente lo stato ebraico era alla ricerca di qualcuno che desse informazioni pregiate sulle rotte marittime che i carichi di armi iraniani percorrono dal porto siriano di Latakia fino al Libano e gli serviva una persona come Amhaz, membro dell’unità navale più di Hezbollah che dell’esercito libanese. Israele bombarda i punti al confine tra la Siria e il Libano da cui passano le armi, effettua attacchi sempre più profondi dentro la Siria – l’ultimo potente a Palmira mercoledì scorso – per distruggere la rotta delle armi iraniane. Non blocca gli aerei che scaricano sempre in Siria e che un tempo arrivavano direttamente in Libano. Controlla la terra, ma ha ricevuto informazioni che finora il mare è sfuggito all’intelligence. La ricerca è partita da Batrun, con una missione segreta che serve anche ad aggiustare quello che l’accordo mediato da Hochstein non contempla. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)