nervi saldi

L'arma della paura di Putin

Il Pentagono aveva allertato gli alleati sul nuovo Oreshnik di Putin

Giulia Pompili

Non era un ICBM quello che ieri ha colpito Dnipro: la Russia non ha (ancora) lanciato un missile da linea rossa, ma vorrebbe farcelo credere. La propaganda contro la base americana Aegis in Polonia, che protegge i cieli della Nato

 Ieri la Russia ha lanciato l’ennesimo attacco missilistico nel sud della cittadina ucraina di Dnipro, ma per diverse ore è stato poco chiaro il tipo di arma utilizzata – in guerra, in tutte le guerre, il tipo di arma che si sceglie di usare in un determinato momento è anche un messaggio politico. Le autorità di Kyiv hanno inizialmente identificato il missile lanciato su Dnipro come un missile balistico intercontinentale, abbreviato in Icbm, cioè il missile balistico più potente mai realizzato, la cui tecnologia è a disposizione di pochi paesi al mondo e soprattutto che finora non è mai stato usato attivamente in un conflitto. Ieri sera una fonte del Pentagono sentita dal Foglio ha smentito l’uso di un Icbm, ma ha detto che la Russia ha colpito l’Ucraina con un “missile balistico sperimentale a raggio intermedio”.

 

In serata il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, in una dichiarazione televisiva ha confermato in qualche modo la versione americana: ha parlato di una nuova arma, “uno degli ultimi sistemi missilistici a medio raggio della Russia” dotato di una testata ipersonica non nucleare. L’hanno chiamato Oreshnik, e Putin ha detto che il suo primo utilizzo operativo “è stato un successo”. Come conseguenza del bombardamento – che ha coinvolto anche altre tipologie di missili già usati in precedenza dal Cremlino – almeno due persone sarebbero rimaste ferite, un’azienda industriale e un centro di riabilitazione del sud di Dnipro sarebbero stati danneggiati e sarebbero scoppiati almeno due incendi in città, ha riportato il Kyiv Independent. Secondo quanto risulta a questo giornale, l’intelligence americana nei giorni scorsi avrebbe informato i paesi alleati e i partner più stretti sul possibile uso di questa nuova arma da parte delle Forze armate russe, per aiutarli a prepararsi all’attacco di ieri ma anche a potenziali altri attacchi con la medesima arma “per cercare di intimidire l’Ucraina e i suoi sostenitori, o per generare attenzione nello spazio dell’informazione, ma questo non cambierà le sorti del conflitto”, dice la fonte. 

 


Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in un videomessaggio affidato ai suoi canali social in occasione della Giornata della dignità e della libertà dell’Ucraina, ha detto che “Putin sta usando l’Ucraina come terreno di prova”. Da giorni la comunità d’intelligence occidentale aspettava la risposta del Cremlino al via libera da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito all’Ucraina di colpire con armi a corto raggio più in profondità gli obiettivi militari dentro al territorio russo, e martedì scorso per la prima volta le Forze armate di Kyiv hanno usato un Atacms americano, un missile balistico a corto raggio che ha una gittata decisamente inferiore rispetto a un Icbm e soprattutto il cui uso non è regolato da diversi trattati internazionali di non proliferazione. Da due giorni diverse ambasciate a Kyiv sono state chiuse al pubblico come misura precauzionale in attesa di una risposta russa. Ieri Putin ha detto che il bombardamento di Dnipro è una diretta conseguenza di quella decisione dell’America e del Regno Unito – che l’Ucraina aspettava da mesi: “I test di combattimento del sistema missilistico Oreshnik sono condotti da noi in risposta alle azioni aggressive della Nato contro la Russia”. Poche ore prima la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, mentre era in conferenza stampa, aveva ricevuto una telefonata in cui qualcuno le ordinava di non commentare l’attacco missilistico a Dnipro, ma, non è chiaro quanto accidentalmente o no, rivelava l’obiettivo dei russi, ovvero la fabbrica Yuzhmash, di proprietà statale, che fa parte della rete dell’industria della Difesa e spaziale dell’Ucraina. 


“Pur prendendo sul serio tutte le minacce contro l’Ucraina”, dice la fonte del Pentagono al Foglio, “è importante tenere a mente alcuni fatti fondamentali: la Russia possiede probabilmente solo una manciata di questi missili sperimentali. L’Ucraina ha resistito a innumerevoli attacchi da parte della Russia, anche da parte di missili con testate molto più grandi di quest’arma”. Lo schema di Putin è chiaro, e pure l’obiettivo di alzare l’asticella della minaccia – la possibilità che fosse un Icbm, magari armato con una testata nucleare tattica, risponde alla necessità del Cremlino di continuare a generare terrore in Ucraina e nel resto d’Europa. Può farlo ora, durante il periodo di limbo della Casa Bianca, e cerca di capire se potrà farlo ancora, dopo l’arrivo di Trump. Nel frattempo, l’altro ieri il dipartimento della Difesa americano, come parte dell’aumento degli aiuti per la difesa ucraina voluto da Biden a fine settembre, ha dato il via libera alla settantesima tranche di equipaggiamenti da 275 milioni di dollari, tra cui munizioni per sistemi missilistici Himars.
 Ma c’è anche un altro obiettivo del terrorismo, per ora solo retorico,  del Cremlino, e  riguarda la base Aegis americana, il complesso di difesa aerea della Nato inaugurato la scorsa estate a Redzikowo, in Polonia e operativo da una settimana, in grado di intercettare missili balistici a corto e medio raggio. “E’ un obiettivo prioritario per una potenziale neutralizzazione”, ha detto Zakharova. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.