il colloquio

L'accusa di sterminio è per Hamas non per Netanyahu e Gallant

Micol Flammini

Yael Vias Gvirsman, che rappresenta all'Aia alcune delle famiglie vittime del 7 ottobre e ha lavorato al mandato contro Deif, ci guida tra le carte e le parole della Corte penale internazionale

Yael Vias Gvirsman era nell’edificio della Corte penale internazionale quando  giovedì mattina sono stati spiccati i mandati d’arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant e  il terrorista palestinese  Mohammed Deif, in due comunicati separati. Gvirsman in quel palazzo è di casa, è l’avvocato che rappresenta oltre trecento famiglie che hanno subìto l’attacco di Hamas del 7 ottobre, “e l’attacco è ancora in corso – dice al Foglio appena atterrata a Tel Aviv – ci sono gli ostaggi dentro la Striscia di Gaza, ci sono i traumi, ci sono gli sfollati. Rappresento persone la cui vita è stata sconvolta dalla decisione di un’organizzazione terroristica”. All’Aia, ha lavorato sul mandato d’arresto contro Mohammed Deif, che Israele dice di aver ucciso a Khan Younis all’inizio di agosto.


 Se Deif è stato eliminato, il mandato d’arresto verrebbe quindi consegnato a un morto, senza processo postumo in una Corte che non giudica in contumacia. Gvirsman però quando ha visto la decisione ha avuto un fremito: “Ho lavorato sodo per questo mandato, l’importante è che la Corte abbia riconosciuto che il 7 ottobre delle famiglie innocenti sono state torturate, uccise, rapite, violentate. La Corte ha riconosciuto che il massacro è stato compiuto con una volontà di sterminio”. Per le famiglie che l’avvocato rappresenta è stato un passo importante, ma nello stesso momento veniva pubblicata anche l’altra decisione: “E’ scioccante per una nazione attaccata dal fondamentalismo islamico, che non ha scelto la guerra ma ci si è ritrovata e la sta combattendo per fermare il tentativo di essere sterminata. So che in pochi lo hanno fatto, ma le decisioni della Corte vanno lette con attenzione”. I mandati contro Netanyahu e Gallant sono per aver usato la fame come arma di guerra e per aver ostacolato l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza. Poi c’è tutta una serie di accuse mosse dal procuratore Karim Khan che è stata rifiutata: “La Corte ha rigettato le accuse secondo le quali la condotta dei due politici e dei soldati risponde a una volontà di sterminio della popolazione di Gaza. Insieme è stata rigettata l’accusa contro l’esercito israeliano di essere entrato a Gaza con l’intenzione di colpire i civili. Soltanto due casi saranno investigati e ogni israeliano vuole che l’indagine venga fatta”. Il dibattito che in Israele si accende ogni giorno è su come far finire la guerra, su come tirare fuori dalla Striscia gli ostaggi, vivi o morti che siano. C’è stanchezza, c’è risentimento anche nei confronti della politica, ma è raro trovare un cittadino israeliano che non sappia per cosa è iniziato tutto. “E’ una guerra imposta e combattiamo contro forze estremiste che vogliono lo sterminio di una nazione il cui diritto di esistere è sancito dalla legge internazionale. Hamas ha deciso che Israele deve sparire”. Il peso di una decisione su un terrorista presumibilmente morto e due politici di uno stato democratico è diverso e la pubblicazione delle due decisioni della Corte come se ne fossero una suona stridente. “Ma sono due – ribatte Gvirsman, che tiene molto a questo punto – Il 12 agosto siamo stati convocati all’Aia e abbiamo chiesto che i casi venissero trattati separatamente, non come aveva fatto il procuratore”. Unirli è stato il primo sfregio.

 

“Inutile ripeterlo, ma Israele è una democrazia che si difende. Le altre sono forze estremiste che hanno attaccato per sancire la fine del nostro stato. La Corte ci ha dato retta”, anche se in pochi lo hanno notato, le due decisioni sono state rese note separatamente: due diversi comunicati. Resta il fatto che per la prima volta nella storia, i leader di un paese democratico avranno delle limitazioni nella loro condotta, sono dei ricercati al pari dei peggiori criminali della storia, come il capo del Cremlino, Vladimir Putin. Gvirsman ha lavorato anche su casi legati all’Ucraina, è consapevole dell’equazione tra Putin e Netanyahu che spesso viene mossa dalle piazze e freddamente rintraccia soltanto una similitudine che regge tra i due: “Sono i rappresentanti in carica di un paese e con un mandato d’arresto. La Russia ha attaccato uno stato sovrano, Israele ha subìto un attacco da parte di un’organizzazione terrorista. La Russia non è una democrazia. Israele lo è. La Russia ha scelto la guerra. Israele no. L’ex ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore Valeri Gerasimov hanno un mandato d’arresto per aver organizzato attacchi contro i civili, per Israele, la Corte ha rigettato l’accusa”. Questo non salva Israele dall’isolamento, le motivazioni delle decisioni nessuno le leggerà “ed è un male, perché la Corte ha confermato quello che chi attacca Israele nega, ossia che il 7 ottobre Hamas ha ordinato di andare e uccidere quante più persone possibile: ha ordinato di sterminare”. I negazionisti del 7 ottobre che hanno gioito per il mandato d’arresto contro Netanyahu e Gallant non se ne sono accorti, “resterà soltanto che due politici e un terrorista che ha dedicato la sua vita a uccidere, fuori e dentro Gaza, sono accusati di crimini contro l’umanità”. Ci sono dubbi che il procuratore Karim Khan abbia agito in modo corretto, “sono legittimi, sappiamo che non è mai andato in Israele per finire le indagini ed è parte del suo compito”, la decisione della Corte è stata già vista come la vittoria di chi accusa Israele di genocidio, mentre lo sterminio è un’accusa contro Deif, non contro gli israeliani, con questi presupposti viene da chiedere a Gvirsman se lei, dopo una vita al servizio della giustizia internazionale ci creda ancora: “Continuo a crederci e Israele deve avere un ruolo di primo piano”. L’alternativa è solo una: che siano gli altri a dettare le regole e, secondo l’avvocato, questo non è ancora accaduto. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)