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L'editoriale del direttore

L'intifada globale si alimenta anche con i silenzi su Hezbollah anti Unifil, le accuse di genocidio, l'Aia contro Bibi

Claudio Cerasa

L'escalation contro Israele assume dimensioni allarmanti. I tic da combattere (compresi quelli del governo italiano) e le lenti per correggere la miopia globale. Elogio di Bernard-Henri Lévy, del Telegraph e del Wall Street Journal

È successo tutto nel giro di due settimane. Prima, il pogrom ad Amsterdam, con i tifosi ebrei di una famosa squadra di calcio israeliana presi a calcio in strada perché colpevoli di essere ebrei. Poi, le accuse di genocidio arrivate nel giro di poche ore prima da una commissione delle Nazioni Unite e poi direttamente dal Santo Padre. Quindi, due giorni fa, la richiesta della Corte internazionale dell’Aia di arrestare il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, salutata con tono festante dal più ridicolo Alto rappresentante per la politica estera mai avuto dall’Unione europea, Josep Borrell. E infine, notizia di ieri, le reazioni incredibili della politica italiana alla notizia dei razzi di Hezbollah piovuti sulla base Unifil in  Libano dove si trovano gli italiani.

L’intifada globale combattuta contro Israele è alimentata da fonti diverse ma ha unico filo conduttore che a voler essere generosi potremmo provare a sintetizzare così: una miopia assoluta nel riuscire a mettere a fuoco le coordinate dell’escalation quotidiana portata avanti, in giro per il mondo, contro il popolo ebraico e una miopia assoluta nel riuscire a combattere tutti i tic culturali, politici e umanitari che stanno contribuendo a trasformare un paese vittima di un attacco genocida di una ferocia senza precedenti nel grande criminale globale. I tic sono molti, compreso quello che ieri ha investito il governo italiano, che piuttosto che rovesciare la propria rabbia contro i terroristi di Hezbollah che hanno ferito quattro soldati italiani in Libano ha denunciato l’accaduto in modo neutrale, arrivando a dire, come ha fatto il ministro Crosetto, che l’esercito israeliano deve smetterla di “utilizzare le basi dell’Onu come scudo”, come se il governo non sapesse quanti maledetti tunnel e quante maledette basi Hezbollah ha costruito accanto alle basi Unifil nell’indifferenza della stessa comunità internazionale. E per questo, in un oceano di loschi pregiudizi montanti contro il popolo ebraico, quando c’è qualcuno che prova a smontare quei tic, qualcuno che prova a mettere a nudo i pregiudizi anti israeliani, qualcuno che tenta di inforcare gli occhiali per correggere la miopia globale, quel qualcuno merita di essere elogiato.

Merita di essere elogiato, per esempio, Bernard-Henri Lévy, che sulle pagine del Point, ieri, ha scritto che piangere le vittime di Gaza è un dovere morale ma è anche un dovere morale non dimenticare  che quando si parla di genocidio di Israele si corre il rischio di “passare dal complotto giudeo-massonico, o giudeo-bolscevico, o giudeo-capitalista, al complotto giudeo-genocida di cui tutti gli ebrei del mondo sono più o meno complici”. Merita di essere elogiato il Telegraph, che ieri ha suggerito al governo inglese di non essere complice di un disgustoso tradimento di Israele, di dimostrare una vera leadership morale europea e dichiarare che questi mandati di cattura “sono una vuota presa in giro della giustizia e di prendere in considerazione l’idea di ritirarsi dalla Corte penale internazionale”. E merita di essere elogiato, infine, anche il Wall Street Journal che in un editoriale formidabile, ieri, ha ricordato, parlando della Corte penale, quanto sia assurda l’accusa di aver usato “la fame come metodo di guerra”, perché in questi mesi Israele ha facilitato il trasferimento di oltre 57 mila camion di aiuti e 1,1 milioni di tonnellate di aiuti, nonostante buona parte di questi aiuti siano stati oggetto di furti dilaganti di Hamas, traendone una conclusione interessante. Qui in ballo, dice il Wsj, non c’è solo il destino di Israele, ma con i mandati di arresti della Cpi in ballo c’è qualcosa di più grande: l’idea di iniziare a disarmare qualsiasi democrazia occidentale desiderosa di rispondere con la forza alle atrocità dei terroristi e degli stati canaglia. Contro l’intifada globale ci sono due tipi di scelte. Assecondare la miopia antisemita o inforcare gli occhiali per provare a ricordare che le libertà che Israele difende sono anche le nostre. Scegliere da che parte stare non dovrebbe essere così difficile.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.