Stati uniti
Violenta eppure faro del mondo. Il paradosso dell'America armata
Il tratto che distingue maggiormente gli americani non è tanto il gran numero di episodi di violenza, ma la straordinaria capacità di convincersi di comunque essere il popolo che si comporta meglio e segue le leggi migliori. Ciò non rende gli Stati Uniti un mostro mutante diverso dalle altre nazioni del mondo, ma un membro a pieno titolo della confraternita della fragilità umana
Pubblichiamo un estratto de “La Repubblica dei fucili. L’America come cultura delle armi e altri saggi”, di Richard Hofstadter. L’autore (1916-1970), per due volte vincitore del premio Pulitzer, è considerato uno dei maggiori storici statunitensi di tutti i tempi. Il volume (192 pp., 17 euro) è edito da Luiss University Press.
Dobbiamo chiederci se, al confronto con le altre nazioni avanzate, il nostro non sia un popolo straordinariamente violento. Qualunque americano abbia vissuto per un po’ in Inghilterra, per esempio, si sarà accorto di quanto quel popolo apprezzi la gentilezza e ripudi la violenza, e avrà fatto il confronto con le inclinazioni dei propri cittadini. Anche gli americani che disprezzano e temono la violenza non ne rimangono turbati come gli inglesi. Come noto, la nostra industria dell’intrattenimento e la nostra narrativa sono pervase dalla violenza; è una caratteristica endemica della nostra storia. Gli americani la considerano parte del flusso della vita, e di norma non fanno fronte comune per avversarla o cercare di controllarla tramite metodi legali. E’ incredibile come non vogliano accettare un fatto inoppugnabile come la morte, ma riescano a sopportare la violenza come parte della natura delle cose, uno di quei mali che è normale aspettarsi dalla vita.
Come si commisura il livello di violenza interno degli Stati Uniti a quello del resto del mondo? E’ importante non soccombere al consueto e stucchevole antiamericanismo della nostra epoca, o a un’autoflagellazione da provinciali. La violenza, nel bene e nel male, è stata un fattore di cambiamento quasi ovunque; nei momenti decisivi, si manifesta perfino nella storia di nazioni che hanno potuto godere di lunghi periodi di cambiamenti graduali e pacifici. Per quanto la violenza possa sembrarci qualcosa da evitare, dobbiamo ammettere che non è innaturale. Gli Stati Uniti, pur con la loro considerevole storia di violenza, non sono un mostro mutante diverso da tutte le altre nazioni del mondo, ma un membro a pieno titolo, per quanto turbolento, della confraternita della fragilità umana.
Il tratto che distingue maggiormente gli americani non è tanto il gran numero di episodi di violenza, ma la straordinaria capacità di convincersi, malgrado tutto, di essere il popolo che si comporta meglio e segue le leggi migliori. Gli americani non sono né i migliori né i peggiori. Ci sono cose peggiori delle nostre rivolte violente e spontanee. Dopotutto, non c’è assassino più grande ed efficiente dello stato nazionale, nei conflitti internazionali come in quelli domestici. Niente della storia degli Stati Uniti o di qualunque altro stato democratico è paragonabile alla violenza a tutto campo che un regime totalitario sa infliggere al proprio popolo. Ogni sorta di violenza commessa sul territorio americano dall’epoca dei primi insediamenti fino ai recenti scontri tra polizia e manifestanti è nel complesso ben poca cosa rispetto alle vittime del terrore staliniano, che si reputa siano state circa venti milioni, o rispetto ai sei milioni di ebrei sterminati dalla follia genocida dei nazisti.
Basta solo non essere animati da un antiamericanismo provinciale per rendersi conto che la violenza su larga scala è storicamente così diffusa che il caso americano, in una prospettiva globale, non spicca poi così tanto. Quello che colpisce chi studia gli eventi violenti in America è la grande frequenza con la quale si ripropongono, la loro persistenza anche in tempi molto recenti e il loro netto contrasto con la pretesa di essere una nazione virtuosa come nessun’altra. Va sottolineato che in America gli eventi violenti hanno in genere carattere circoscritto e si svolgono su piccola scala. Gli Stati Uniti sono stati teatro di una grande guerra civile dai costi enormi. Di norma, però, rivolte, massacri e altre esplosioni spontanee di ferocia non hanno avuto grande portata, soprattutto se contestualizzati storicamente.
Gli Stati Uniti sono stati in grado di sopportare una quantità enorme di violenze senza sviluppare una tradizione rivoluzionaria, potendo anzi vantare una storia di grande stabilità politica. Con l’importante eccezione della Guerra civile, ci siamo sviluppati politicamente per più di 175 anni in condizioni di relativa libertà, con una costituzione stabile, libere elezioni (anche se non sempre prive di scossoni o brogli), partiti politici efficienti e ordinati e un parlamento funzionante. Abbiamo riunito quasi un intero continente sotto un governo libero e abbiamo accolto con una politica comune persone provenienti da diverse parti del mondo. La coesistenza di stabilità e violenza genera un paradosso: pensiamo che nella maggior parte dei paesi che riteniamo molto violenti regnino costantemente il disordine e l’instabilità politica. Ma non negli Stati Uniti, che da tempo mostrano una stabilità politica che supera quella dell’Inghilterra o delle miti società scandinave, eppure hanno un livello di violenza interna che ricorda quella di alcune nazioni dell’America latina o dei nuovi e instabili paesi asiatici o africani.
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