C'è l'accordo per il cessate il fuoco in Libano

Micol Flammini

Servono le ultime approvazioni, ma l'intesa tra Israele e Hezbollah è sul tavolo dei leader per l'approvazione. Per farla durare però servono garanzie e, con gli Stati Uniti, lo stato ebraico studia i piani dell'Iran tra uccisioni, nucleare e armi chimiche 

Una tregua fra Israele e il gruppo libanese Hezbollah porta con sé la consapevolezza che il periodo di pace potrebbe durare poco, perché è un cessate il fuoco di sopravvivenza per  Hezbollah, accettato con il benestare della Repubblica islamica dell’Iran, che tutto vuole fuorché la scomparsa del suo gruppo armato più pregiato. Non soltanto Israele è consapevole di quanto questo cessate il fuoco rischi di essere una parentesi, ma lo sono anche i suoi alleati, primi fra tutti gli Stati Uniti che durante i negoziati hanno garantito  allo stato ebraico il sostegno militare contro il ripristino della forza di Hezbollah vicino al confine. Era già successo nel 2006, che un accordo per impedire il ritorno delle milizie filoiraniane non  venisse rispettato, così questa volta per stabilire i termini dell’intesa, americani e israeliani hanno ragionato tenendo presente che la guerra non è finita e il confine con il Libano è soltanto un fronte.  Teheran cercherà in ogni modo di ridare potenza di fuoco a Hezbollah, per rifornirlo userà  la Siria come crocevia principale. Nel frattempo, starà al gruppo libanese e al suo leader che non ha i tratti del condottiero, Naim Qassem, riprendersi il potere politico dentro al Libano, rimettere piedi la sua struttura. L’accordo, per Israele e gli Stati Uniti, è cosa fatta, è il suo mantenimento che è da preservare e il modo migliore per farlo, secondo gli alleati, è di non perdere di vista da dove tutto è cominciato: Teheran. Le minacce iraniane sono  una lista molto lunga, il regime non è pericoloso soltanto per il suo programma nucleare, sempre più avanzato, ma anche perché ha ampliato il suo potere e il suo campo di azione tramite sabotaggi, uccisioni, armando bande criminali e dedicando uno spazio sempre più proficuo della sua ricerca militare anche al campo delle armi chimiche. 


Nel novembre del 2022 migliaia di studentesse di alcune  università  iraniane iniziarono a riportare problemi  neurologici che vennero ricondotti a un possibile avvelenamento. Il regime parlò di fenomeni di “isteria femminile”, fonti di intelligence occidentali hanno invece supposto che Teheran avesse testato su soggetti umani armi chimiche prodotte tramite l’industria farmaceutica. Il Pentagono ha pubblicato un rapporto dal titolo “Strategia per contrastare le armi di distruzione di massa”, in cui si affermava che l’Iran stesse cercando di ottenere agenti chimici che agiscono sul sistema nervoso centrale per scopi offensivi. Il rapporto del Pentagono uscì nel 2023 e nello stesso anno, due gruppi di hacker iraniani descrissero le attività di un’università militare per sviluppare una granata imbevuta di sostanze chimiche e di un progetto per l’utilizzo della Medetomidina, un anestetico utilizzato soprattutto in ambito veterinario, per fini militari. La collaborazione di Teheran con il regime siriano offre una strada per capire quanto può essere intensa la ricerca nel campo delle armi chimiche e il giornalista israeliano Yossi Melman in un articolo pubblicato sul quotidiano Haaretz ha spiegato che il legame tra l’industria farmaceutica iraniana e lo sviluppo di armi chimiche è la strada più semplice ed efficace per eludere la supervisione delle Nazioni Unite. 


Dopo l’omicidio del rabbino Zvi Kogan ad Abu Dhabi, il regime iraniano  è tornato a parlare di un attacco contro Israele, in risposta al bombardamento mirato condotto da Tsahal a fine ottobre. Teheran sposta sempre più avanti le sue linee rosse, proprio come fa Vladimir Putin in Ucraina. Un attacco diretto al territorio israeliano non è più un tabù, il regime non ha rinunciato alla guerra, il suo sostegno al cessate il fuoco in Libano è una pausa per rinvigorire i suoi alleati. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)