Una foto dell'operation room diffusa dai ribelli 

Crepe nell'“area Putin-Erdogan”

In Siria i ribelli islamisti avanzano su Aleppo e mettono in fuga anche i russi

Luca Gambardella

L'offensiva di Hayat Tahrir al Sham arriva a pochi chilometri dalla città muovendo un fronte che sembrava immobile. La battaglia del jihadista Julani contro tutti: Assad, i russi, gli iraniani ed Erdogan

Il fronte siriano ad Aleppo torna a muoversi dopo quattro anni in cui sembrava ormai congelato e la città del nord-ovest della Siria, controllata dal regime di Bashar el Assad, è tornata nel mirino dei ribelli che hanno lanciato un’offensiva molto rapida ed efficace. Nella serata di mercoledì, gli uomini di Hayat Tahrir al Sham (Hts), il gruppo armato nato dalle scorie dei jihadisti di al Qaida, sono arrivati ad appena sei chilometri dalla periferia ovest di Aleppo, a Khan al Asal e Anadan. In decine di villaggi gli uffici governativi sono stati occupati dai ribelli, le effigi di Assad strappate dai muri, gettate a terra e calpestate. Mentre Hezbollah è stato costretto alla tregua in Libano, debilitato e indebolito, ora il regime siriano, l’“anello principale dell’Asse della resistenza”, come l’aveva definito un leader iraniano solo pochi giorni fa, è sempre più in difficoltà. 

    

 

    

Le informazioni attendibili che arrivano dal fronte sono frammentate e descrivono una realtà complessa che potrebbe evolversi cambiando l’equilibrio delle forze nell’area. Nel giro di poche ore, Hts e le milizie alleate confluite sotto l’ombrello denominato Fathul Mubeen hanno conquistato oltre una decina di villaggi che da anni erano sotto il controllo del regime, sostenuto da russi e iraniani, hanno ucciso decine di soldati di Assad e sequestrato molti mezzi blindati. I video pubblicati sui canali telegram mostrano le armi di fabbricazione russa sequestrate ai militari di Assad, costretti a ripiegare verso Aleppo. In altri filmati compare un carro armato russo sequestrato, la fuga di soldati russi e iraniani da un gruppo di case bersagliate dai ribelli e alcuni militari del regime fatti prigionieri.

  

   

L’avanzata di Hts è stata talmente efficace da avere conquistato anche una postazione controllata dai russi – che avrebbero  subìto alcune perdite  – costringendo al ripiegamento il 46esimo reggimento delle forze del regime. In serata, giunti ad appena 4 chilometri da Aleppo, i ribelli avrebbero puntato  anche il 111esimo reggimento, quello di stanza nella città. I russi sono presenti in massa nell’area – i ribelli la chiamano spesso “area Putin-Erdogan” perché è grazie ai loro taciti accordi che fino a oggi  il regime ha tenuto questo settore sotto controllo. La reazione di Mosca è arrivata in serata, con bombardamenti lanciati contro le postazioni ribelli con i jet decollati dalla base aerea di Hmeimim, poco lontana dalla zona dell’offensiva. La ritorsione  si preannuncia molto violenta, come sempre sono gli interventi dei Sukhoi russi, che in questi anni hanno preso di mira scuole e ospedali in modo indiscriminato.

L’avanzata di Hts sorprende per la sua efficacia, meno per la tempistica. Da settimane si registravano nel nord-ovest della Siria degli spostamenti di truppe e armi sia fra i ribelli sia tra le forze del regime. Fino a due giorni fa però erano state queste ultime, sostenute dall’aviazione russa, ad avere condotto le offensive più violente contro civili e milizie ribelli a Idlib e dintorni. I ribelli hanno chiamato l’operazione “Deterrenza contro l’aggressione” perché il loro obiettivo è di punire il regime siriano, i russi e gli iraniani per i loro attacchi efferati contro i civili. La mente dell’avanzata è Abu Muhammad al Julani, il leader di Hts che si è fatto ritrarre prontamente in quella che è definita l’operation room dell’operazione militare, mentre osserva con attenzione gli schermi che trasmettono le immagini sul campo di battaglia riprese dai droni. Julani è riuscito a mettere in piedi uno stato nello stato a Idlib, controllando le vie di accesso degli aiuti umanitari che hanno innescato un fiorente business soprattutto dopo il terremoto del 2023 e capace di alimentare le casse dei ribelli assieme al traffico di droga. Per quanto appartenga al mondo delle milizie islamiste salafite, Julani ha sempre aspirato a essere riconosciuto anche all’estero come un interlocutore dal volto più moderato, capace di governare Idlib con un sistema amministrativo, economico e giudiziario autonomo. In questi anni si è dimostrato anche un abile politico. Non è casuale che nel comunicato che rivendica l’operazione militare si parli genericamente di “forze” dell’opposizione e non di “mujaheddin” (i combattenti del jihad) o “rivoluzionari”. Il suo intento potrebbe essere quello di allargare il fronte dei ribelli compattandoli contro il regime. Julani è diventato il leader del principale  gruppo jihadista siriano riuscendo a smarcarsi ciclicamente dagli altri ribelli islamisti – in passato è stato  tra i fondatori di Jabat al Nusra e ha intrattenuto rapporti altalenanti anche con la versione embrionale dello Stato islamico di  Abu Bakr al Baghdadi – sia dalla galassia delle milizie filoturche che si contendono la regione. E’ presumibile che oltre al regime di Damasco, ai pasdaran e ai russi, anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan abbia accolto con disappunto la controffensiva di Julani. Il congelamento del fronte a ridosso della frontiera garantiva quantomeno la stabilità, impedendo nuove grandi ondate di profughi in Turchia. Ora, l’esito incerto dell’attacco dei ribelli potrebbe innescare una reazione di grandi dimensioni da parte dei russi e alimentare una crisi umanitaria ancora più grave di quella attuale.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.