come vuoi morire
Nel Regno Unito il dibattito sulla morte assistita è umano e rispettoso, ma spacca i partiti e le coscienze
La decisione di non dare cure o di interromperle per una malattia è legale nel Regno Unito, ma aiutare qualcuno a morire non lo è. Ma ci sono alcuni problemi che riguardano la giustizia, la sanità e i cartelloni nella metro
Quando la star televisiva Esther Rantzen, una che ha animato la domenica sera degli inglesi per vent’anni, ha annunciato di avere un cancro incurabile, dall’alto dei suoi 84 anni si è messa a fare quello che ha sempre fatto: parlare dei grandi temi della vita come quando conduceva That’s Life! sulla Bbc e mettere tutto il suo potere ideologa domestica e testimonial potentissima a favore di una legge sulla morte assistita. Una causa matura, su cui l’opinione pubblica britannica appare piuttosto compatta: con tutte le dovute cautele, il 75 per cento circa ritiene che ai malati terminali vada data la possibilità di andarsene senza soffrire, con un aiuto medico. Tutti i sondaggi dicono la stessa cosa e anche tra i lettori del conservatore Times la maggioranza è schiacciante, solo che l’argomento, una volta trasformato in una proposta di legge dalla laburista Kim Leadbeater, sorella di Jo Cox, la deputata uccisa alla vigilia del referendum sulla Brexit, è finito al centro di un dibattito più politico che pubblico. Oggi, al momento del voto a Westminster, il suo stesso iter parlamentare è a rischio per via di un emendamento che boccia l’idea che vada in seconda lettura per via di una mancanza di tempo per dibatterlo e discuterlo.
Leadbeater, quarantanovenne dai toni fermi e rispettosi, ha presentato il Terminally Ill Adults (End of Life) Bill, il progetto di legge sugli adulti malati terminali (Fine vita), usando uno strumento particolare che permette ai deputati semplici, senza ruolo di governo, di avanzare proposte per cambiare una legge. La decisione di non dare cure o di interrompere le cure per una malattia è legale nel Regno Unito. Aiutare qualcuno a morire non lo è e si rischiano 14 anni di carcere. Di solito queste proposte non raggiungono l’obiettivo, ma hanno il vantaggio di aprire un dibattito e, di solito, avviare un avanzamento sul tema, anche se la loro debolezza principale è che non garantiscono molto tempo di discussione.
L’ultima eccezione ha quasi 60 anni e riguarda l’aborto, che al pari dell’assisted dying aveva già guadagnato terreno nell’opinione pubblica. Si favoleggia che la deputata abbia agito su istigazione del premier Keir Starmer, che da capo della procura della Corona si era già trovato a ragionare sull’argomento, quando aveva dovuto decidere se trascinare o meno in tribunale i genitori di un ragazzo andato in Svizzera a morire dopo un gravissimo incidente di rugby (non lo fece). Nel 2009 una donna con la sclerosi multipla chiese alla Camera dei Lord se suo marito sarebbe stato denunciato nel caso l’avesse accompagnata a Dignitas e a Starmer fu chiesto di “chiarire la sua posizione”. E lui pubblicò delle linee guida, in base alle quali perché un caso finisca in tribunale ci vogliono prove sufficienti e le autorità devono agire nell’interesse pubblico. Da quell’anno sono stati segnalati 187 casi di suicidio assistito: in 127 casi le accuse non hanno portato a nulla, in 36 sono state ritirate, mentre quattro casi sono stati oggetto di indagine. In passato il premier si è detto “personalmente a favore di una modifica della legge” e nel 2015, quando si è tenuto il voto più recente sull’argomento, si è espresso a favore della morte assistita. Mentre ora, oltre ad aver lasciato libertà di coscienza ai deputati del suo partito, ha scelto di non esporsi in anticipo, anche se Leadbeater, che non aveva mai fatto campagna sull’argomento, di cui la sorella era invece una grande sostenitrice, ha lasciato a più riprese trapelare un sostegno tacito del premier alla causa, che peraltro viene affrontata senza eccessi.
La proposta di legge, particolarmente articolata con le sue 59 pagine e 43 clausole, è misurata: Inghilterra e Galles – è un dossier da devolution, la Scozia sta prendendo la sua strada – seguirebbero l’esempio dell’Oregon, che permette ai malati terminali con un’aspettativa di vita inferiore ai sei mesi, se lucidi, di avere accesso alla morte assistita. Dal 1997 possono farsi dare un farmaco da un medico e somministrarselo da soli quando vogliono e finora così hanno scelto di anticipare la propria morte 4.274 persone. “Ho deciso che ci sarà una definizione molto rigida e che si applicherà solo ai malati terminali che hanno molto poco da vivere”, ha spiegato Leadbeater, che chiede che ci sia il parere di due medici e di un giudice affinché la procedura possa andare avanti, introducendo quelle che ha definito come le tutele più stringenti del mondo per rispondere alle esigenze delle centinaia di persone che in questi mesi le hanno raccontato le loro strazianti vicende personali e che non possono permettersi di andare in Svizzera. “L’ethos sembra esserci stato per un po’, ma in questi giorni la politica si è spaccata a sorpresa, stanno venendo fuori tante voci contrarie e non sono solo quelle religiose, bensì riguardano soprattutto lo stato del servizio sanitario e la condizione delle cure palliative, che sono molto carenti in questo paese”, osserva Sally Howard del British Medical Journal, che ha seguito l’argomento dall’inizio.
Non è solo una battaglia ideologica, insomma, ma la dimensione umana sta prendendo uno spazio che, in tempi di culture wars e barricate intellettuali, ha qualcosa di confortante nonostante la durezza dell’argomento: era da tempo che non si vedeva un dibattito così, in cui la gente, prima di esporre i propri argomenti, dichiara di avere un grande rispetto per le vedute della parte opposta. E non si può dire che la questione dell’assisted dying, concetto che comprende sia il suicidio assistito sia l’eutanasia volontaria, non sia al centro del discorso nazionale, ma quasi sempre con quell’elemento raro: la voglia di capire, di soppesare gli argomenti, di non sminuire il punto di vista dell’altro. Se Starmer ha scelto di tacere, gli ex premier si sono tutti espressi, per ultimo David Cameron, che ha dovuto affrontare l’indicibile dolore della perdita di un figlio, e che ha scritto di aver cambiato idea. “Non è una questione di finire la vita, ma di abbreviare la morte”, secondo lui, che ritiene che la legislazione porterà a una “considerevole riduzione della sofferenza umana”. Di visione opposta Gordon Brown, che ha detto che la sua tragedia, ossia l’aver perso la sua bambina Jennifer Jane a soli 11 giorni, “non lo ha convinto della necessità di una morte assistita, ma piuttosto del valore e dell’imperativo di una buona cura nel fine vita”. Rishi Sunak, Tony Blair e John Major non hanno detto niente, Boris Johnson, Theresa May e Liz Truss hanno detto di essere contrari, così come il rabbino capo, Sir Ephraim Mirvis. In molti sollevano il problema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che all’articolo 2 proibisce di sottrarre la vita e all’articolo 8 dà all’individuo il diritto di vivere la propria vita come vuole, e che potrebbe bloccare tutto, mentre il ministro della Salute Wes Streeting ha dato un duro colpo al governo dicendo che voterà contro, perché per lui è importante rafforzare gli hospices e fornire cure palliative dignitose. Shabana Mahmood, sottosegretario alla Giustizia, dice che è una china pericolosa, “morte on demand”, che può “condurre all’industrializzazione della morte assistita sponsorizzata dallo stato”.
La presa di posizione di Streeting mette in evidenza uno dei problemi fondamentali della proposta di legge, ossia che sia il servizio sanitario nazionale, pagato dai contribuenti e in gravissima crisi, a occuparsi di morte assistita, tenendo conto che gli hospice ricevono solo un terzo dei loro finanziamenti dal governo. Se lo stato finanzia l’Nhs per aiutare le persone a morire, perché non finanzia anche gli hospice? L’altro tema che turba gli oppositori riguarda la possibilità che un testo davvero moderato come quello di Leadbeater finisca per aprire la strada a misure più controverse, come in Canada, dove Maid esiste dal 2016, la somministrano i medici e gli infermieri, ha portato a numeri in aumento, ha esteso il suo mandato e dal 2027 includerà anche la malattia mentale. Molti esperti fanno notare come i vantaggi sistemici e finanziari di offrire la morte al posto delle cure in un sistema sanitario in crisi saranno difficili da contenere.
Il professor Charles Foster di Oxford, molto citato sul tema dopo un bellissimo profilo che gli ha dedicato il Financial Times, teme che una legge del genere possa “alterare l’atteggiamento delle persone verso le persone anziane, gravemente malate o disabili, anche se in modo solo subliminale, e ho anche paura che le professioni di cura perderebbero qualcosa di insostituibile, ossia la loro posizione esclusiva di curatori”. La British Medical Association non vuole che la categoria si senta obbligata a compiere questo passo e vorrebbe che avvenisse su base volontaria, anche per non stravolgere la relazione con il paziente. Nel 2020 solo il 36 per cento dei medici hanno detto che sarebbero pronti a dare i farmaci, mentre il 50 per cento si è detto favorevole al suicidio assistito se sono i malati a somministrarseli. Inoltre non pochi osservano come sia difficile valutare con esattezza se restano davvero sei mesi di vita e come le prognosi smentite dai fatti rappresentino un azzardo importante. La possibile pressione sugli anziani, sui malati e sui disabili affinché si facciano da parte e allevino le famiglie dai loro problemi è anch’essa in cima alle preoccupazioni, anche perché in Canada, tra le risposte che le persone hanno dato prima di scegliere una morte assistita, il 36 per cento nel 2022 ha citato “un fardello percepito sulle famiglie, gli amici e i caregiver”. Anche i problemi economici sono molto citati, pure se “l’idea che ci siano tutti questi pensionati pronti al sacrificio sembra un po’ eccessiva”, spiega Howard.
L’altro tema riguarda il ruolo dei tribunali: ci saranno udienze, ci vorranno avvocati? E se il giudice fosse un obiettore? E poi i tribunali britannici sono già pieni di lavoro. Kim Leadbeater non vuole che il loro sia solo un ruolo “burocratico”, ma a suo avviso se il testo dovesse passare in seconda lettura ci sarà tutto il tempo per definire questi aspetti. Però Esther Rantzen, che ha promosso una petizione nella primavera scorsa firmata da 200 mila persone, non si stanca di mettere in luce gli aspetti pratici e i desideri delle persone. “Hanno visto quello che succede quando la medicina allunga la vita senza la qualità della vita in modo che la gente debba soffrire più a lungo. Lo vediamo nelle nostre famiglie e con i nostri amici, e per questo l’atteggiamento del pubblico sta cambiando”, ha raccontato, osservando come dopo il caso di Harold Shipman, il medico che ha fatto fuori centinaia di anziane donne con la morfina dopo aver visto sua madre morire nel dolore quanto era piccolo, c’è stata una stretta e un maggiore controllo sui medici di famiglia e la loro capacità di intervenire quando la situazione si andava facendo disperata.
L’ultimo argomento, quello su cui i toni si sono fatti più accesi, riguarda le tendenze atrabiliari di una società che discute di morte con toni così normalizzanti. Nella metropolitana sono comparsi dei grandi cartelloni pubblicitari di Dignity in Dying che stanno tormentando tutti. “Il mio desiderio in punto di morte è che la mia famiglia non mi veda soffrire. E non dovrò farlo”, dice una giovane donna che balla in pigiama in cucina e di cui scopriamo che è una malata terminale. La Not Dead Yet Uk (Non ancora morti) ha definito i cartelloni “di assoluto cattivo gusto” visto quanto è delicata la faccenda. Alcuni poster sono stati coperti da altri dei Samaritans, quelli dell’assistenza contro il suicidio, altri vandalizzati, mentre la charity sottolinea la crudeltà di prendersela con chi sta morendo e ha deciso di esporsi per aiutare gli altri, visto che ogni anno 650 malati terminali si suicidano, spesso in modo solitario e traumatizzante, per porre fine alle proprie sofferenze. Ma forse non hanno del tutto torto quelli che dicono che ogni giorno c’è gente che si butta sotto la metro e che non c’è bisogno di porli davanti a temi così pesanti.
Il paese ne vuole parlare, e il tema è diventato così grande che il capo di gabinetto di Starmer, Morgan McSweeney, starebbe cercando di affossare la proposta di legge perché rischia di paralizzare il governo per un anno, di spaccarlo (e certo che tanto unito già non è). Perché per cercare di capire da che parte sia l’amore ci vuole davvero molto tempo.