il caso

Che ci fa Seul con la legge marziale

Giulia Pompili

Elicotteri e tank per le strade della Corea del sud, come nel 1980. Il presidente Yoon accusa gli oppositori di essere pro Pyongyang, ma nel giro di poche ore la democrazia si riprende il suo posto. Lo choc degli alleati

Seul, dalla nostra inviata. Di legge marziale il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol aveva parlato anche in passato, ma nessuno gli aveva creduto. Sembrava una mossa troppo grossa perfino per lui, che è entrato come un maverik nella politica sudcoreana due anni fa, dopo essere stato per due anni procuratore generale, e che aveva poca dimestichezza con i palazzi del potere. E invece quando alle undici di sera, Yoon ha fatto una dichiarazione video a sorpresa, annunciando una legge marziale per “sradicare le forze anti istituzionali”, cioè l’opposizione “filo nordcoreana” che sta mettendo in pericolo “il libero ordine costituzionale”. Nelle redazioni dei giornali a Seul qualcuno ha addirittura pensato a un deep fake, un video modificato con l’intelligenza artificiale, tanto era estrema la decisione, e inaspettata. Nel giro di pochissimo la Corea del sud è entrata nel caos: il won, la moneta sudcoreana, è crollata in Borsa, l’Assemblea nazionale  è stata messa in lockdown, i militari in stato di allerta. Sugli stradoni di Seul si sono visti passare blindati e pullman della polizia,  e nel frattempo i cartelli e gli striscioni contro la presidenza di Yoon Suk-yeol lungo i viali che portano a piazza Gwanghwamun, la piazza del potere e delle proteste, sono stati fatti sparire, sostituiti dalle transenne nere e gialle della polizia: una presenza frequente su queste strade, soprattutto quando la situazione politica si fa più tesa, e Yoon da mesi era in grossi guai politici.

 

Le inchieste, non solo giornalistiche, lo tormentano da mesi (la più grossa è quella sul sondaggista che avrebbe pagato per diventare candidato dei conservatori) e forse era pericolosamente più vicina anche una possibile richiesta di impeachment. Ma per il resto del mondo occidentale e democratico, e soprattutto per l’Europa, in questo momento il governo di Seul era una certezza: la presenza delle truppe nordcoreane in Russia aveva di fatto rafforzato la cooperazione fra Corea del sud e Ucraina, e fra Corea del sud e America e Giappone nella sicurezza dell’Indo-Pacifico. Di infiltrazioni di “forze nordcoreane” nel gruppi democratici non v’è prova, al di là di  vari propagandisti e altri esponenti dell’approccio dialogante con Pyongyang. E ne è dimostrazione il fatto, facevano notare ieri i media sudcoreani, che da due anni Yoon sta rafforzando sempre di più  la Difesa contro la Corea del nord, che ha aumentato la sua aggressivitàsin dall’inizio della guerra in Ucraina.

 

Dopo il discorso alla nazione di Yoon, centinaia di persone, tra attivisti, sindacalisti e membri dell’opposizione al governo – quasi tutte forze riconoscibili in Corea del sud nel gruppo della sinistra – hanno sfidato il freddo record di queste notti e sono arrivate davanti all’ingresso dell’Assemblea nazionale: mentre la polizia tentava di tenere chi provava a entrare, a mezzanotte un elicottero delle forze speciali è arrivato nel compound per permettere ai soldati di far rispettare la legge marziale, ma 150 minuti dopo un altro colpo di scena: secondo la Costituzione, i parlamentari possono votare per la revoca della legge marziale dichiarata dal presidente, e in 190, in modi un po’ rocamboleschi, sono riusciti a entrare, convocare l’Assemblea e votare all’unanimità la revoca.

 

Solo a quel punto, poco più di due e mezzo ore dopo il discorso di Yoon, i soldati sono usciti dall’Assemblea nazionale. Nel frattempo però il capo di stato maggiore dell’Esercito sudcoreano Park An-su, nominato alla guida del comando della legge marziale d’emergenza e fedele a Yoon, aveva già emanato un decreto nel quale veniva proibita qualunque attività politica, “compresa quella relativa all’Assemblea nazionale, alle assemblee regionali, ai partiti politici, ai raduni e alle proteste”. La fazione vicina a Yoon, quella di cui farebbero parte gran parte dei militari e pure il ministro della Difesa Kim Yong-hyun, nominato poco più di due mesi fa (la chiamano la fazione “Chungam”, perché riguarda tutti quelli che si sono diplomati al liceo Chungam di Seul insieme a Yoon Suk-yeol), ha detto che l’Assemblea nazionale non ha potere, e quindi la legge marziale doveva restare in vigore.

 

Ma anche dentro ai partiti conservatori della maggioranza, la mossa di Yoon Suk-yeol sembrava qualcosa di molto vicino a un tentativo di colpo di stato. Un’espressione che a Seul ha un significato particolare. La Corea del sud è un paese dalla profonda partecipazione civica, con una fissazione per le procedure costituzionali e il diritto: la democrazia i sudcoreani se la sono conquistata dopo decenni di un uso disinvolto del potere da parte di presidenti autoritari, che usavano la legge marziale e il pericolo delle infiltrazioni nordcoreane come una clava per reprimere il dissenso.

 

Quel passato stasera è tornato prepotentemente nell’immaginario dei più adulti – quelli che ricordano il massacro di Guanju del 1980 che iniziò il processo di evoluzione del sistema democratico sudcoreano  – e intimorisce i più giovani: “La dichiarazione della legge marziale causerà qualche disagio ai buoni cittadini che hanno creduto e seguito i valori costituzionali del libera Repubblica di Corea, ma ci concentreremo sul ridurre al minimo tali inconvenienti”, ha detto  alla nazione Yoon nel passaggio del suo discorso più inquietante, salvo poi decidere, dopo poche ore concitate, di revocare la legge marziale. A essere incerto è il suo futuro politico e quello della Corea del sud, dopo la scorsa notte.

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.