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Fedelissimi alla Casa bianca

Competizione e convergenze tra i due centri studi che sfornano progetti e persone per Trump

Marco Arvati

Le recenti nomine di esponenti di spicco dell’Afpi, tra cui Pam Bondi e Linda McMahon, segnano un nuovo capitolo per la politica trumpiana. Un confronto con la Heritage Foundation

Le nomine di Pam Bondi alla Giustizia, Linda McMahon all’Istruzione, Brooke Rollins all’Agricoltura e Keith Kellogg come inviato speciale in Russia e Ucraina hanno una cosa in comune: tutti hanno posizioni apicali dentro America First Policy Institute (Afpi), uno dei think tank conservatori più importanti a Washington al momento. Kash Patel, appena indicato come prossimo capo dell’Fbi, ha iniziato recentemente a collaborare con l’Afpi.

 

                  


Questo centro studi è nato soltanto nel 2021, quando Rollins e McMahon hanno contattato Tim Dunn, miliardario texano nel board della Texas Public Policy Foundation, che ha contribuito a rendere la destra religiosa sempre più influente nella politica texana, per costruire un’organizzazione nazionale che promuovesse le politiche trumpiane. Fin dalla fondazione l’organizzazione si è distinta per essere economicamente florida, capace di assicurare soldi e voti alle persone che vi gravitavano attorno, e per questo è entrata in competizione con la Heritage Foundation, il più importante think tank conservatore a Washington, i cui membri hanno scritto il discusso programma per una futura amministrazione conservatrice Project 2025. “Heritage è stato il primo centro studi a combinare l’analisi politica accademica con un marketing aggressivo”, dice al Foglio Donald Abelson, professore di scienze politiche alla McMaster University, “e ha plasmato la politica conservatrice per decenni, fin dall’Amministrazione Reagan”. L’Heritage mantiene da anni la sua influenza attraverso una forte attenzione mediatica, che si traduce in donazioni e capacità di porre i suoi temi all’interno del dibattito conservatore: i suoi programmi per le future amministrazioni sono discussi in modo esteso sui media. Così è stato anche per il Project 2025, un progetto nato come sostegno a una futura Amministrazione Trump (che ci sarà), che durante la campagna elettorale ha generato però molti problemi al candidato repubblicano. Il tycoon ha dovuto dissociarsi pubblicamente da alcune posizioni radicali contenute nel piano, definendole in un post su Truth, il suo social network, “ridicole e terribili”: non appena ha vinto le elezioni, però, ha nominato tre degli artefici del programma nella sua amministrazione.


Mentre l’esistenza del Project 2025 diventava uno temi preferiti di Kamala Harris per convincere il pubblico americano dell’estremismo repubblicano, le posizioni dell’ Afpi non sono mai state citate in campagna elettorale. “A differenza dell’Heritage, l’Afpi opera in maniera opposta – dice Abelson – Evita le attenzioni e preferisce appoggiarsi ai propri network privati per influenzare il potere politico, senza clamore mediatico”. Non che i programmi dell'Afpi siano meno radicali: nella sua “America first agenda”, un documento più snello rispetto alle 900 pagine di Project 2025, si citano espressamente forti dazi, restrizioni all’aborto con taglio dei fondi federali per le associazioni che si occupano di diritti riproduttivi, revoca dei fondi alle scuole che insegnano “storia revisionista”, citando come tale il “Progetto 1619” del New York Times, che aveva l’obiettivo di riconsiderare alcune figure storiche degli Stati Uniti per via del loro rapporto con la schiavitù. Per quanto concerne la politica estera, Kellogg, in un paper scritto per l’Afpi nella primavera scorsa, ha proposto che l’Ucraina avrebbe potuto continuare a ricevere armi dagli Stati Uniti solo in caso di partecipazione a colloqui di pace con Mosca. “La principale differenza nei due piani sta nell’obiettivo –  prosegue Abelson - L’Afpi, formato da ex esponenti della prima Amministrazione trumpiana, vuole un’America da subito più isolazionista e protezionista. L’obiettivo dell’ Heritage, invece, è quello di cambiare il panorama politico e istituzionale in senso conservatore nel lungo periodo”.


Entrambi gli istituti condividono l’obiettivo di incrementare il potere esecutivo a scapito degli altri; in entrambi i programmi si parla di uno smantellamento dello stato amministrativo, con la scelta per nomina presidenziale della maggior parte dei funzionari delle agenzie federali (oggi, su 2 milioni di impiegati nella pubblica amministrazione, soltanto quattromila di questi hanno una nomina politica). Trump ritiene che il suo primo governo sia stato sostanzialmente bloccato da uno stato amministrativo – che chiama deep state – che gli ha impedito di portare a termine tutti i suoi piani. La nomina diretta garantirebbe invece la lealtà totale dei suoi funzionari. Trump, che non si fidava dei think tank durante la sua prima amministrazione, ora li blandisce e dà ai loro membri posizioni di peso. Questo perché la fedeltà all’esecutivo è centrale in entrambi i programmi proposti dai due centri studi, ed è centrale anche per poter essere nominati nella prossima squadra di Trump alla guida dell’America.