le strategie della turchia
Il presidente turco Erdogan ha due richieste per Assad e un messaggio per Trump
Le milizie jihadiste anti Assad di Hayat Tahrir al Sham (Hts) non avrebbero potuto compiere la loro controffensiva rapida lungo rotte strategiche senza la tacita benedizione di Ankara
Non vi è alcuna possibilità che una milizia che non possiede aerei da guerra possa conquistare una grande conurbazione urbana come Aleppo senza il sostegno di uno stato. Le milizie jihadiste anti Assad di Hayat Tahrir al Sham (Hts) non avrebbero potuto compiere la loro controffensiva rapida lungo rotte strategiche senza la tacita benedizione di Ankara. L’attacco era già nell’aria da tempo; quella siriana è una guerra che non ha avuto mai sosta e che ha visto fino ai giorni che hanno preceduto l’offensiva ribelle, scontri feroci tra le milizie arabe-sunnite-turkmene e le forze di Damasco e quelle russo-iraniane. L’assalto ad Aleppo è stato preceduto da un massiccio bombardamento da parte di Assad che ha continuato a martellare Idlib, l’ultima enclave siriana ancora sotto il controllo per buona parte dei ribelli di Hayat Tahrir al Sham, spingendo migliaia di persone verso il confine turco.
La Turchia si sta sfregando le mani e sembra avere obiettivi molteplici. Per più di un anno, il presidente turco, sostenuto dal Cremlino, ha ripetutamente invitato Assad alla riconciliazione e alla normalizzazione delle loro relazioni, abbandonando l’obiettivo del rovesciamento del regime di Damasco dopo che aveva armato e sostenuto i gruppi ribelli, arabi-sunniti, che sin dal 2011 intendevano spodestarlo. Ora Ankara ha cambiato la sua politica siriana ed è disposta ad accettare che Assad rimanga al potere, ma a condizione della normalizzazione delle loro relazioni per raggiungere almeno due obiettivi fondamentali per la soddisfazione dei suoi irrinunciabili interessi in politica interna.
Ma il leader di Damasco gli ha risposto che fino a quando Ankara non avrà ritirato completamente le sue truppe dalla Siria, non vi sarà nulla di cui parlare. Sostenendo questa controffensiva ribelle, Erdogan sta ricordando al despota siriano quanto sia vulnerabile.
C’è un altro motivo di rifiuto da parte di Damasco alla proposta turca di riconciliazione, Assad non è assolutamente disposto ad accogliere la pressante richiesta turca di accettare il rientro di gran parte dei rifugiati siriani che la Turchia ospita dal 2013. E’ un punto molto critico tra i due paesi perché Assad teme che la stragrande maggioranza dei rifugiati siano oppositori del regime scappati nei primi anni del conflitto. Il leader siriano ha sottovalutato le richieste di Ankara, forse per presunzione e per calcoli errati. Non ha tenuto conto che la crisi dei rifugiati siriani in Turchia si era aggravata ed è costata a Erdogan una notevole perdita di consensi e che dunque un accordo che consentisse il graduale rientro di circa 2 milioni di rifugiati nel nord della Siria era ineludibile. Altro obiettivo del presidente, oltre a quello del ritorno dei rifugiati, è la soluzione della questione curda. Ankara non vuole la costituzione di una entità autonoma curda lungo i suoi confini meridionali e vuole trattare la sicurezza dei confini con Assad così come chiede lo Putin che più volte ha mostrato al leader siriano forte irritazione per la sua intransigenza. Ankara ha fretta perché teme che con l’imminente ritorno di Trump alla Casa Bianca e il possibile ritiro degli Stati Uniti dalla Siria, con il vuoto che si creerebbe nel nordest, le forze curde possano allearsi con Damasco, con l’Iran o con Israele in funzione anti turca.
Quello che non deve sfuggire per comprendere l’offensiva ribelle è la partita molto pragmatica che sta giocando Ankara anticipando la politica di Trump di “massima pressione contro l’Iran”. Erdogan vuole dimostrare a Washington che il ritiro della forza americane dal paese, corrispondente a 900 uomini, non provocherebbe alcun vuoto perché la Turchia sarebbe in grado di svolgere bene il compito del contenimento dell’Iran e anche della Russia. Erdogan vuole dunque mettersi in una posizione di forza in una Siria post-ritiro americano. Assad deve solo convincersi che se non vuole perdere altro territorio, se non addirittura il potere, deve accordarsi senza alcun dubbio con la Turchia.
Il pallino del gioco è ora nelle mani turche, soprattutto. Erdogan potrebbe porre fine a questa offensiva in un batter d’occhio: Hts non potrebbe sopravvivere economicamente se non fosse per l’accesso al commercio e alle forniture umanitarie che attraversano il confine turco.