l'editoriale del direttore
Così il collasso siriano mostra un mondo che l'occidente non vuole vedere
L’improvviso indebolimento di Bashar el Assad è una finestra perfetta per provare a osservare da vicino l'intreccio tossico fra i principali azionisti del nuovo asse del male, a cui si oppongono le resistenze di Ucraina e Israele
Un filo c’è, a volerlo vedere. Non si può essere contro Putin e contro Israele. Non si può essere con Israele e contro l’Ucraina. Non si può essere con l’Ucraina e con gli amici dell’Iran. Non si può essere con l’occidente in un quadrante e contro l’occidente nell’altro. Tutto si tiene, tutto torna. Provare a orientarsi nell’incredibile pantano siriano è un’operazione decisamente spericolata, non priva di rischi, ma se si ha la pazienza di mettere insieme alcuni puntini importanti si capirà facilmente che l’improvviso indebolimento del dittatore siriano Bashar el Assad è una finestra perfetta per provare a osservare da vicino un intreccio tossico fra i principali azionisti del nuovo asse del male che molti osservatori spesso si rifiutano di riconoscere.
In quel mondo, in quell’universo, tutto è intrecciato. E mettere in luce i fili che tengono insieme alcuni stati canaglia può aiutare a comprendere meglio un punto importante: quanto il conflitto in Ucraina e quello in medio oriente siano collegati l’uno con l’altro e quanto di conseguenza la difesa delle democrazie passi anche dalla capacità di saper riconoscere senza ipocrisie chi sono gli alleati dell’occidente libero e chi sono i loro nemici giurati. Nel caso specifico della Siria, le buone notizie che arrivano per l’occidente non riguardano il profilo dei ribelli jihadisti pronti a dare una spallata ad Assad ma riguardano le ragioni che hanno portato all’indebolimento di Assad, che sono ragioni che ci dicono con chiarezza che la resistenza eroica portata avanti dall’Ucraina contro la Russia ha costretto Putin a lasciare sguarniti alcuni fronti e che le vittorie di Israele a Gaza e in Libano hanno specularmente indebolito l’Iran a tal punto da aver ridotto la capacità di reazione del regime degli ayatollah nel difendere un suo grande alleato. L’intreccio tra gli stati canaglia, tra Iran e Russia, tra Ucraina e medio oriente, è lì sotto i nostri occhi, è fin troppo evidente, ma un piccolo ripasso forse può aiutare ad aprire ulteriormente i nostri occhi. Nel 2015, dopo aver firmato gli Accordi di Minsk, la Russia ha lanciato un intervento militare in Siria per aiutare uno dei pupilli degli ayatollah iraniani, Bashar el Assad, a riconquistare Aleppo, assediata dai ribelli jihadisti. Da quel giorno, la Siria è diventato uno dei punti di intersezione più evidenti tra il regime russo e quello iraniano (a difesa di Assad, l’Iran, dal 2012 in poi, ha scelto di inviare i terroristi di Hezbollah). L’intervento del 2015 è stato pubblicizzato dalla Russia come un grande trionfo geopolitico, anche nell’ottica di riempimento dei vuoti di potere lasciati dagli Stati Uniti in medio oriente. Nel 2016, la Russia ottiene a Tartus, città siriana sul Mediterraneo, l’utilizzo gratuito del porto da parte delle Forze armate russe per 49 anni. In quel porto oggi ci sono due fregate di classe Gorshkov, una fregata di classe Grigorovich, due navi da appoggio e un sottomarino di classe Improved-Kilo e proprio in queste ore da quel porto, a causa della destabilizzazione della Siria, Putin sta pensando di ritirarsi. Assad, che nel 2016 fu tra i primi a riconoscere l’annessione illegittima della Crimea da parte della Russia, dal 2022, con il benestare dell’Iran, ha dato un contributo all’aggressione russa contro l’Ucraina, schierando mercenari per combattere le forze di sicurezza e di difesa ucraine.
La presenza in Siria della Russia, poi, è importante anche per altre ragioni che riguardano la guerra combattuta da Putin in Ucraina, spiegate nell’ottobre del 2016 dall’ex generale russo Leonid Ivashov, secondo cui l’impegno di Mosca nel conflitto siriano era “fondamentale per impedire la costruzione del gasdotto Qatar-Turkey, che sarebbe catastrofico per Gazprom”, la cui costruzione renderebbe ancora più debole di oggi il potere di ricatto che ha in Europa Gazprom con i suoi gasdotti. Come se non bastasse, poi, in Ucraina, il principale alleato di Assad, l’Iran degli ayatollah, rifornisce la Russia di droni iraniani Shahed Uav, che Putin utilizza per colpire i civili ucraini (secondo alcuni funzionari statunitensi, sentiti dal Washington Post, l’Iran avrebbe costruito una fabbrica di droni in Russia). A sua volta, l’Iran, per contenere la minaccia israeliana, ha chiesto recentemente alla Russia un sostegno militare, che secondo la rivista di aviazione tedesca Flug Revue si è tradotto in due jet da combattimento Su-35 ricevuti dalla Russia lo scorso 18 novembre. Aver impegnato la Russia sul fronte ucraino, ha indebolito l’asse del terrore, come testimoniato dalla fragilità del regime di Assad. Aver colpito al cuore la piovra del terrore alimentata dall’Iran, ha indebolito gli alleati degli ayatollah, come testimoniato dall’incapacità dell’Iran di difendere Assad. In medio oriente, come ha ricordato ieri il Wall Street Journal, la tesi del “nemico del mio nemico è mio amico” non vale sempre, e non c’è dubbio che i jihadisti pronti a dare una spallata ad Assad siano pericolosi. Ma il gran pantano siriano è lì a dimostrare, a destra e a sinistra, che l’asse del male è vulnerabile e che se vuoi indebolire Putin in Ucraina, devi indebolirlo anche in medio oriente e che se vuoi indebolire l’Iran in medio oriente devi indebolirlo anche in Ucraina. Un filo c’è, a volerlo vedere, ed è un filo che ci ricorda ogni giorno perché difendere Israele e l’Ucraina significa difendere non solo i confini di due paesi aggrediti ma anche i confini delle nostre democrazie.