Il caso
La crisi politica in Corea del sud si porta dietro tutti i problemi dei nostri alleati in Asia
L’Assemblea nazionale sudcoreana potrebbe votare l’impeachment già oggi. Un caos politico che rischia di trascinare le fragili istituzioni di Seul su un terreno complesso, soprattutto con una Corea del nord sempre più aggressiva e protetta dall'alleato di Mosca
Seul, dalla nostra inviata. Una legge marziale durata 150 minuti. Un “auto impeachment”. Il “mistero” della decisione del presidente Yoon Suk-yeol. Ieri i giornali sudcoreani parlavano in modo impietoso di quello che la sera precedente aveva fatto finire all’improvviso la Corea del sud al centro delle news internazionali, e non per qualcosa di positivo, ma per la storia di un “tentato golpe” un po’ maldestro, quasi grottesco. Yoon ha azzardato, più che un coup d’état, un ultimo coup de théâtre, probabilmente per non finire affossato dalle inchieste contro di lui. Eppure se l’allarme è rientrato in una notte, da Washington e Bruxelles la crisi politica che si apre adesso in uno dei più strategici alleati dell’Indo-Pacifico non è per nulla rassicurante. E ieri a Seul l’unico timore sussurrato fra i corridoi della politica era quello della potenziale reazione di Pyongyang: il caos politico in Corea del sud è un problema, soprattutto con una Corea del nord sempre più aggressiva sul 38° parallelo e politicamente protetta dall’alleato a Mosca, a cui fornisce uomini mezzi e armamenti da usare contro l’Ucraina.
“Le immagini dei blindati per strada ci hanno fatto vergognare”, racconta al Foglio la studentessa universitaria Eun-ji, volontaria di uno dei partiti dell’opposizione mentre torna dalla manifestazione di ieri mattina a piazza Gwanghwamun: “E tutto per via del temperamento del presidente. Ma abbiamo dimostrato che lo spirito democratico è dentro di noi”. A poche centinaia di metri e più o meno nelle stesse ore, come spesso succede a Seul, di fronte al municipio si erano radunati i sostenitori di Yoon, con i soliti veterani dell’esercito in mimetica, le bandiere americane e coreane, i sacchetti per il pranzo: “Il nostro paese è pieno di spie nordcoreane, dobbiamo fare qualcosa per salvare la democrazia!”, dice al Foglio il signor Lee, che ha 70 anni ed è un volto noto fra i sostenitori di Yoon, uno youtuber che non si perde una manifestazione. Due gruppi su due posizioni opposte che però hanno una cosa in comune: parlano di democrazia e di doveri democratici. Perché non c’è niente del golpe militare dei paesi dalle fragili istituzioni in Corea del sud, semmai l’ennesima dimostrazione che il populismo, la polarizzazione, l’interesse politico e le trame di potere hanno aperto la strada al secondo presidente in dieci anni che potrebbe essere già oggi in stato di accusa (per sapienza del destino, è stato Yoon Suk-yeol da procuratore generale a contribuire al processo e alla condanna dell’ex presidente Park Geun-hye nel 2016, anche lei ex leader dei conservatori).
L’Assemblea nazionale sudcoreana potrebbe votare l’impeachment già oggi. Il partito di Yoon, il People Power’s Party, ha fatto sapere che non voterà a favore della mozione delle opposizioni, ha la maggioranza assoluta ma basterebbero solo otto franchi tiratori per mettere in stato d’accusa il presidente. A quel punto si aprirebbe la vera crisi politica – anche internazionale: se si andasse oggi al voto, vincerebbe il centrosinistra, che in Corea del sud è caratterizzato, secondo diverse sfumature, da un profondo sentimento anti giapponese, anti americano e anti Nato, pro Cina e pro dialogo con la Corea del nord. Nei suoi due anni di governo Yoon ha invece firmato accordi di Difesa con Washington e Tokyo, ha sposato la causa di difesa dell’Ucraina, è stato uno degli alleati più strategici dell’Europa nell’Indo-Pacifico insieme al Giappone, che pure sta vivendo una crisi politica non trascurabile. Nelle ambasciate occidentali a Seul hanno già imparato una lezione: l’incertezza e il caos sono il terreno preferito delle autocrazie.
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