L'editoriale dell'elefantino
Il costo dell'esaurimento di Macron
Il presidente giovane e pieno di idee (Merkel) ha disegnato per la Francia e l’Europa un futuro che illude, spaventa e non si lascia costruire. La sua caduta sarà un altro accumulo di ritardo storico
Emmanuel Macron è il perfetto esemplare di un futuro che non si fa costruire, che illude, che incanta e poi spaventa, minaccia, ossessiona. Il suo esaurimento politico, anche se sopravvivesse a sé stesso fino alla scadenza del secondo mandato all’Eliseo, è una brutta notizia e una peggiore prospettiva per la Francia e per l’Europa. I saputelli che ora si affollano al capezzale del macronismo dicono che lo scioglimento del Parlamento dopo le elezioni europee che avevano premiato Marine Le Pen è stato un atto di narcisismo, diagnosi inclemente e sbagliata: poteva vivacchiare senza un chiarimento, con l’Assemblea nazionale priva già di una maggioranza assoluta (legislative del 2022) e sotto il pungolo di una destra arrembante e sguaiata come il dirimpettaio di sinistra mélenchonista? No, evidentemente. Fatto sta che il risultato della scommessa è stato un depotenziamento della pretesa di governare dei lepenisti ma con la consegna a un bipolarismo delle estreme della V Repubblica, denudata e resa ingovernabile nel suo onnivoro e impotente (semi)presidenzialismo ormai di minoranza. Macron nasce con l’eliminazione di gollisti (eredità Sarkozy) e socialisti (eredità Hollande), si ritrova con un cartello elettorale frontista obsoleto e un movimento populista legittimato che stringono d’assedio un centrosinistra fantasma al quale la Francia non vuole decidersi perché non ama né un presente né un futuro di liberalismo, riforme e modernizzazione politica e sociale.
Macron è colto e brillante. Come diceva la realista Merkel, per schernirlo con bonaria ironia, è un giovane pieno di idee, di risorse e di progetti. Non voleva un’Europa pietrificata nell’attesa di non si sa che. E’ arrivato subito dopo la Brexit e Trump, con Putin in corsa per la nuova avventura neoimperialista. Ha cercato di definire una prospettiva interessante fondata su un ricambio generazionale, sull’avventura della tecnologia capitalistica globalizzata, sulla responsabilità delle élite nella amministrazione politica democratica, sul rinnovamento dell’asse franco-tedesco, sull’unificazione espansiva di cultura e difesa, su una ristrutturazione del welfare in scia alle teorie blairiane della terza via, e oltre, per cambiare il lavoro gravato da regole ottocentesche e il bilancio pensionistico e i servizi pubblici costosissimi e incompatibili con lo sviluppo, ha pagato un tributo notevole alla filosofia dei diritti e della transizione verde, al wokismo di importazione americana. Ha commesso molti errori, è stato aggredito con veemenza dalla vecchia e douce France d’un tempo, una nazione dall’identità canterina e rivoluzionaria indefessa, rimpannucciata intorno allo slogan del presidente dei ricchi, menzogna incantatoria, ma non è stato solo una sequela di magnifici discorsi (anche Sarko con l’aiuto di Henri Guaino diceva cose affascinanti): Macron ha fatto le riforme del lavoro e delle pensioni, osteggiate con furia selvaggia au nom du peuple malgrado abbiano disancorato il paese dalla cronica sottoccupazione e disoccupazione, e non si conoscono riflessioni e azioni di maggior spessore delle sue su Nato e Unione europea. Succede che la politica della forza e della propaganda, innestata su equivoci della cultura e del senso di sé di una nazione, conferisca poteri e ritiri l’aureola di popolarità e di agibilità politica che li giustifica.
Il suo paese lo ha eletto due volte e lo ha tradito due volte, preferendo un identitarismo di destra e di sinistra, spesso mummificato e rivoltoso a vanvera, a un percorso riformista adulto. Col senno di poi è facile sostenere che non erano maturi i tempi per una ristrutturazione così radicale del sistema politico e dell’ideologia dominante, e mettere in burla un percorso promettente che era apparso senza vere alternative. Ma sono cose che non hanno senso e che sarà il sistema rigido della V Repubblica, una volta gioiello istituzionale ineguagliato in Europa, a pagare con un costo alto e con l’accumulazione di un nuovo ritardo storico.
Isteria migratoria