e ora con trattiamo?
Così è saltata la normalizzazione di Assad. Il futuro delle sanzioni
L'avanzata dei ribelli in Siria ha fatto saltare la strategia di Europa e Stati Uniti con Damasco
Nel giro di una settimana, i ribelli in Siria non hanno ridotto in macerie solamente le linee difensive di Bashar el Assad ad Aleppo e Hama, ma hanno pure fatto carta straccia della strategia della comunità internazionale nei confronti del regime. A confermare il fallimento di ogni tentativo di normalizzazione di Assad è stato lo stesso comandante di Hayat Tahrir al Sham (Hts), il gruppo che guida la coalizione anti assadista. Nell’intervista esclusiva rilasciata ieri alla Cnn, Muhammad al Julani ha detto che alcuni paesi arabi, nel favorire il ritorno di Damasco nel consesso internazionale e nella Lega araba “hanno tentato di separare il regime siriano dal progetto dell’Iran. Ciò è impossibile. Se anche il regime volesse, non potrebbe farlo. L’Iran può rinunciare ad Assad, ma Assad non può rinunciare all’Iran”.
Negli ultimi anni diversi paesi arabi – Emirati Arabi Uniti in testa – hanno cercato di convincere gli Stati Uniti a trattare con il dittatore siriano in cambio di una sua presa di distanze dall’Iran. Da tempo si sospettava che con i duri colpi inferti a Hezbollah, l’Amministrazione Biden stesse tentando di dare il suo “contributo” diplomatico per indebolire anche la costola siriana dell’Asse della resistenza iraniano. Fonti sentite da Reuters dicono che questi colloqui tra emiratini e americani si sarebbero intensificati negli ultimi giorni. Sul tavolo c’è un alleggerimento delle sanzioni americane nei confronti di Assad in cambio della promessa di un suo allontanamento da Teheran. Tra pochi giorni, il 20 dicembre, scadrà il termine per il rinnovo del Caesar Act, che prende il nome da un reporter siriano che documentò fotografandoli i crimini commessi dal regime contro i civili durante la guerra. Si tratta del pacchetto di sanzioni più dure ed efficaci nei confronti di Assad e una sua rimozione sarebbe un gesto di enorme sollievo per le casse dell’entourage settario del presidente siriano. Sebbene Joe Biden si sia sempre presentato come grande sostenitore del Caesar Act – voluto nel 2020 da Donald Trump – negli ultimi tempi ha tenuto una posizione meno netta. Il Congresso, cui spetta l’ultima parola, è in maggior parte favorevole al rinnovo, ma è un fatto che la Casa Bianca non si sia più espressa in merito.
Prima che i ribelli avanzassero alle porte di Homs, non solo gli Emirati Arabi Uniti, ma anche molti paesi europei hanno fatto il tifo affinché gli Stati Uniti non rinnovassero il Caesar Act. La prospettiva di un allineamento di Washington sulla strada della normalizzazione con Assad, secondo fonti diplomatiche occidentali sentite dal Foglio, era inimmaginabile prima della debacle di Hezbollah. La scorsa estate, l’Italia si è messa alla guida di un drappello di stati dell’Ue – Austria, Grecia, Cipro, Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia e Croazia – per chiedere alla Commissione europea di rinnegare la strategia della mano ferma nei confronti di Assad. L’obiettivo, oltre a quello di intensificare i canali di dialogo con il regime, era quello di discutere un’estensione delle esenzioni alle sanzioni. Secondo Joseph Daher, professore all’European University Institute di Firenze e autore di diverse pubblicazioni in merito, le resistenze a livello europeo non sono mancate. “La Francia è tra i meno convinti e inoltre, nonostante le pressioni italiane, la Siria non rientra attualmente fra le priorità dell’Unione europea”. A certificarlo è stata la lentezza con cui Bruxelles ha commentato gli eventi in Siria – sei giorni per diffondere un comunicato di tre righe con cui ha fatto un appello generico alla “de-escalation”. L’Italia ha accolto non senza un certo disappunto la freddezza europea e dall’inizio dell’avanzata dei ribelli ha organizzato alcune riunioni fra i diversi rappresentanti e chargé d’affaires europei presenti a Damasco. Fonti del Foglio riferiscono che Roma sta studiando una riunione a più alto livello per affrontare il tema, ma dovrebbe trattarsi solo di un summit limitato fra pochi paesi, non di un Consiglio ad hoc che racchiuda tutti gli stati membri. Ieri, si è tenuta una riunione preparatoria a livello di ambasciatori con l’intento che a Bruxelles si cominci a parlare seriamente di cosa fare in Siria.