Il presidente Yoon non può lasciare la Corea del sud

Giulia Pompili

Lo stallo istituzionale a Seul e le indagini su quello che è successo martedì scorso che entrano nel vivo. Da tempo si parlava di legge marziale. Il sospetto dei droni per provocare Pyongyang e il ruolo cruciale dell'ex ministro Kim Yong-hyun

Quasi una settimana dopo la spericolata imposizione della legge marziale, revocata poi in tempi record, il ministero della Giustizia sudcoreano ha imposto un divieto di viaggio per il presidente Yoon Suk-yeol. È la prima volta nella storia che avviene per un presidente sudcoreano in carica. La decisione è stata presa dopo aver ascoltato diverse agenzie che si stanno occupando di capire che cosa è successo nelle ore precedenti e successive al discorso pubblico di Yoon martedì 3 dicembre, durante il quale il presidente conservatore aveva detto di voler imporre la legge marziale per epurare le istituzioni dalle “infiltrazioni nordcoreane”. L’attuale presidente è indagato per insurrezione, ammutinamento e abuso di potere, anche se è riuscito a scampare al primo voto di impeachment di  sabato scorso. Yoon è ancora il comandante in capo delle Forze armate: da giorni anche rappresentanti eccellenti del partito di maggioranza, come il primo ministro Han Duck-soo e il presidente del People’s Power Party Han Dong-hoon, dicono che Yoon è un pericolo per le istituzioni, ma secondo diversi esperti legali il primo ministro non può “ordinare le dimissioni” di un presidente, e dunque lo stallo politico sembra destinato a durare ancora, almeno fino a quando Yoon – che per ora ha sospeso tutta la sua agenda – non si dimetterà, non verrà incriminato ufficialmente oppure non subirà un altro voto per la messa in stato d’accusa. 

  
Nel frattempo emergono nuovi dettagli sul piano ordito nelle ore precedenti all’imposizione della legge marziale. Uno dei personaggi chiave è Kim Yong-hyun, ex ministro della Difesa (si è dimesso giovedì scorso), attualmente in stato d’arresto, e considerato il vero ideologo della strategia della legge marziale – nelle prime ore di mercoledì scorso sembrava che Kim si fosse addirittura opposto alla dichiarazione  di Yoon. Secondo quanto emerso dagli interrogatori dei funzionari delle Forze armate, sarebbe lui l’autore del testo della legge.  Yoon ha nominato Kim Yong-hyun ministro della Difesa a metà agosto scorso, in un rimpasto di governo imprevisto dove tutte le caselle più strategiche della Sicurezza nazionale sono state assegnate alla cosiddetta “cricca del liceo Chungam”, la scuola superiore di Seul frequentata da Yoon. All’inizio di settembre, durante le audizioni all’Assemblea nazionale per la conferma del suo ruolo, un rappresentante dell’opposizione del Partito democratico aveva detto: “Il governo ha riempito il sistema di comando con le persone più fedeli a Yoon per prepararsi alla legge marziale?”. Se ne parlava, dunque, di una possibile dichiarazione d’emergenza da parte della presidenza, un’opzione che però sembrava lontana dal ventaglio di possibilità nelle mani dei pochi della cricca. Nel giro di poche settimane dopo la nomina, l’ex generale ed ex capo del Security service di Yoon, Kim Yong-hyun aveva ricevuto le attenzioni anche dell’occidente: aveva parlato esplicitamente di dotare la Corea del sud di armi nucleari con lo scopo di deterrenza strategica nei confronti del Nord, e aveva rafforzato i rapporti con la Nato e con la Polonia.

  
Ieri è arrivata una delle accuse più importanti nei confronti di Kim Yong-hyun, che rischia di complicare ancora di più la critica fase internazionale con la Corea del nord – che ancora non si è pronunciata sul caos politico al Sud – sempre più aggressiva sia sul confine, sia nel dispiegamento di forze con la Russia contro l’Ucraina. Una delle crisi più pericolose che si sono verificate in tempi recenti è avvenuta a metà ottobre, quando il regime di Pyongyang ha affermato di aver scoperto e presumibilmente abbattuto alcuni droni sudcoreani sulla capitale della Corea del nord, minacciando conseguenze se il sorvolo, considerato una “dichiarazione di guerra”, si fosse ripetuto. Non era mai successo che il Sud inviasse droni al Nord, e all’epoca più di qualcuno aveva pensato a una “false flag”, perché Seul non aveva mai confermato né smentito di aver inviato velivoli pilotati da remoto verso Pyongyang. Ieri il parlamentare del Partito democratico Park Beom-kye ha detto, citando fonti militari, che l’operazione con i droni è stata effettivamente portata avanti e orchestrata dal ministero della Difesa guidato da Kim Yong-hyun: “Sembra che sia stato fatto per creare un pretesto per imporre la legge marziale”, ha detto Park. Secondo l’opposizione, i membri militari della presidenza Yoon stavano cercando attivamente la provocazione con la Corea del nord per giustificare ufficialmente l’imposizione di misure d’emergenza come quelle imposte per poche ore martedì scorso: saranno gli investigatori a fare luce su questa eventualità, ma sembra ormai chiaro che il processo contro Kim sarà anche un processo contro le politiche di Seul con Pyongyang. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.