in medio oriente

Israele non ha alleati in Siria, soltanto opportunità rischiose

Micol Flammini

Lo stato ebraico non accetta più le regole mediorientali di Teheran scritte sulla “spina dorsale” di Assad. Come le riscrive

Hassan Nasrallah, capo trentennale di Hezbollah, fiutava ogni possibilità di rischio per la sua stessa sopravvivenza e per quella del Partito di Dio. Era bravo nell’arringare, nel motivare, nel tessere una rete molto più grande del Libano. Era abile nel prevenire le minacce e infatti aveva capito che la Siria per Hezbollah poteva rivelarsi un posto in cui fare esperienza militare, ma pure un rischio. Nel 2015, durante  un discorso registrato in  uno dei suoi tanti nascondigli sotterranei, aveva detto: “Se la Siria cade, Hezbollah sarà assediato, i suoi successi saranno persi”. Secondo questo principio, controvoglia, mosse i suoi miliziani in aiuto del dittatore Bashar el Assad, come richiesto dalla Repubblica islamica dell’Iran.

 

Gli uomini di Nasrallah impararono a combattere al fianco dei soldati russi e anche dei mercenari della Wagner. Mentre combattevano, Israele li ha osservati per anni, li ha seguiti, ha tracciato la catena di comando: in Siria Hezbollah è diventato un libro aperto per Israele. Nasrallah nel 2015 non poteva sapere che sarebbe successo il contrario, non sapeva che lui sarebbe stato eliminato a Beirut in un pomeriggio di fine settembre e che proprio la caduta di Hezbollah sarebbe stata tra gli elementi determinanti del regime di Assad in Siria. 

 

Negli ultimi giorni Tsahal ha rafforzato la sua presenza lungo il confine con la Siria, mentre l’avanzata dei ribelli guidati dal gruppo Hayat Tahrir al Sham si spinge verso sud e si avvicina alla frontiera con Israele. Contemporaneamente i soldati israeliani e l’intelligence devono tenere sotto osservazione i jihadisti, che stanno sbaragliando l’esercito di Assad, e Teheran, che da sempre è un alleato prezioso del regime siriano e insieme a Mosca ha contribuito alla fortificazione del dittatore mandando i suoi uomini a fare guerra per mantenerlo al potere. Non ci sono alleati per Israele in questo stravolgimento siriano, c’è una situazione da osservare, ci sono opportunità da cogliere con cautela. Se Teheran ha aiutato Assad a sopravvivere, Assad ha dato a Teheran la possibilità di utilizzare la Siria come un crocevia per rifornire le sue milizie, per armare Hezbollah, renderla sempre più numerosa e dotata di un arsenale potente quanto quello di un esercito regolare. Nel 2015, tuonando nel suo discorso, Nasrallah aveva definito la Siria la “spina dorsale” delle milizie iraniane: intendeva Hezbollah in primo luogo, ma poi dal Libano le armi e il denaro di Teheran si spostavano altrove.

   

L’occhio di Israele sulla Siria è sempre stato presente per contenere Teheran e anche adesso, nel caso doppio di un regime che cade sotto i colpi di gruppi che non saranno mai alleati, lo stato ebraico osserva due variabili:  fino a che punto i ribelli jihadisti possono essere una minaccia e quanto la Repubblica islamica intende aiutare Assad a sopravvivere e utilizzare il momento per introdurre uomini e armi, da utilizzare poi contro Israele. Alcune fonti vicine a Teheran hanno raccontato del ritorno in Siria di Javad Ghaffari, comandante delle brigate al Quds, conosciuto come tanti con l’appellativo di “macellaio di Aleppo”, la prima città presa dai ribelli nella loro avanzata è stata distrutta da russi e iraniani con attacchi in aree residenziali prive di interesse militare, il titolo onorifico di “macellaio” è stato diviso da molti generali fra Mosca e Teheran. Ghaffari però non è stato soltanto ad Aleppo, ha combattuto in molte parti della Siria, è uno di campo, e nel 2021 venne richiamato: soltanto alcune fonti israeliane diedero una spiegazione per il suo ritorno a Teheran e dissero che il regime siriano era contrario ad alcune sue azioni contro soldati americani e ne comandò l’espulsione. Ghaffari è un generale incauto, vorace, pronto a tutto, il suo ritorno rappresenta una mossa disperata tanto per Teheran quanto per il regime di Assad e a Israele non è sfuggita. 

 

La Siria è stata un campo di addestramento per le guerre dei russi e degli iraniani, per Israele è stato un campo di osservazione per studiare il combattimento dei nemici, per seguirne i movimenti e per bloccare i crocevia delle armi che Teheran mandava a Hezbollah proprio attraverso la Siria. Dopo il 7 ottobre, Israele ha fatto una valutazione diversa riguardo alla propria sicurezza: l’Iran ha mosso attorno a Israele una strategia di accerchiamento che contava sul Libano, controllato da Hezbollah, come elemento di maggior prestigio;  sulla Striscia di Gaza come punto di destabilizzazione; sulla Siria come punto di rifornimento per il passaggio degli interessi del regime e poi sugli houthi nello Yemen e le milizie sciite in Iraq. Per bloccare Hezbollah e non permettere a Teheran di ricostituire in tutta la sua potenza l’anello di fuoco, Israele ha scelto di togliere le certezze del regime iraniano, ha iniziato a colpire la Siria sempre più in profondità, bloccando le autostrade più usate per il trasporto delle armi, ha minacciato Assad, e in questo contesto si sono inseriti i ribelli, che da tempo preparavano l’avanzata. Non ci sono alleati per Israele in Siria, ma se crolla Assad, Teheran perde la sua “spina dorsale”. Dovrà ricostruire tutta la sua infrastruttura contro Israele. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)