l'asse con gaza

Hamas cerca un nuovo marchio a Damasco

Micol Flammini

Nella crisi siriana, il gruppo di Gaza cerca legami e un’occasione per rilanciarsi dando le spalle all’Iran. Israele ha distrutto quasi tutta la capacità dell’esercito di Assad prima che possano metterci mano i ribelli

Hamas è rimasto in silenzio anche perché non sa ancora con quale voce parlare, ma lunedì, per la prima volta, ha rilasciato un comunicato per congratularsi con i gruppi ribelli della Siria per aver “realizzato le aspirazioni di libertà e giustizia”. Il gruppo della Striscia di Gaza i cui leader vivono  tra il Qatar e la Turchia hanno mandato un comunicato pomposo ai ribelli per tracciare un legame tra la loro lotta contro Israele e quella dei siriani contro il dittatore Bashar el Assad.  


Hanno scritto: “Siamo fermamente al fianco del grande popolo siriano… ne rispettiamo la volontà e l’indipendenza e le scelte politiche”. E ancora: speriamo che la Siria prosegua “il suo ruolo storico nel sostenere il popolo palestinese”. Quando Hamas parla, non si sa più con che voce lo faccia. Ha ancora vari leader, è un’organizzazione che si basa sul consenso di un gruppo vasto, ma dopo la morte di Yahya Sinwar, il terrorista ucciso a ottobre nella Striscia che aveva accentrato nelle sue mani tutto il potere del gruppo, è alla ricerca di un nuovo marchio e lo fruga  nell’avanzata siriana dei gruppi ribelli, nella cacciata di Assad e nelle operazioni di Israele al confine con la Siria. 

 

Damasco è il palco delle contraddizioni del gruppo della Striscia, e si legano tutte a Sinwar, che aveva avuto l’intuizione devastante di rendere la battaglia di Hamas regionale entrando nell’Asse della resistenza tessuto dall’Iran e che aveva come punto nodale la Siria. Nei primi anni delle proteste e dalla repressione in Siria, Hamas era dalla parte dei ribelli, molti dei quali sunniti, contro Bashar el Assad. Poi c’è stata la svolta di Sinwar, l’amico più scomodo che l’Asse della resistenza potesse desiderare. Per circondare Israele, incrementare la ricchezza di Hamas, rendere più sostanziosi i piani contro lo stato ebraico, Sinwar ha deciso di iniziare a pianificare il suo futuro al fianco  dell’Iran che in Siria era, assieme alla Russia, il più grande sostenitore e sostentatore di Assad. Già fra Hamas e Teheran l’alleanza era innaturale, tra il gruppo della Striscia e Assad non lo era  meno, ma in un discorso a Gaza  davanti alla popolazione, Sinwar era salito sul palco per urlare la sua stima all’esercito di Assad, il cui scarso valore era risaputo in tutto l’Asse della resistenza. Degli alleati non si sparla, negli alleati bisogna crederci, così Hamas aveva rapidamente dimenticato ogni legame, similitudine, analogia con la lotta dei siriani e smise di sostenerla a parole. 

 

Dopo la morte di Sinwar, Hamas non ha ancora dichiarato il nome del suo nuovo leader, parla meno ma ha preso la parola per cercare un punto di unione con i ribelli, cercando di cancellare l’amicizia con Assad e le buone parole   spese da Sinwar nei confronti del dittatore siriano. L’amicizia con l’Iran serve sempre meno, i personaggi più in vista del gruppo, come Khaled Meshal,  sono più vicini al Qatar che a Teheran, inoltre anche la Repubblica islamica si è ritrovata ridotta con la sconfitta dei suoi alleati a Gaza, in Libano e anche Siria: non è più l’alleato d’oro dei tempi del generale Qassem Suleimani, è una potenza rotta che nel territorio siriano si è fatta cacciare da gruppi di ribelli molto agguerriti e ben armati, pronti a tutto pur di veder crollare il dittatore siriano. Da parte loro, anche i ribelli hanno dimostrato una loro vicinanza a Hamas: alcuni lo hanno esplicitato nelle prime dichiarazioni dopo la presa di Damasco. Israele ha sempre usato la Siria come un campo di osservazione per studiare i suoi nemici.

 

Dentro ai confini siriani ha visto addestrarsi e combattere Hezbollah, raccogliendo informazioni preziose per contenere il gruppo sciita che ha sconfitto durante la guerra in Libano; ha visto anche come l’esercito siriano continuava ad ammassare armi pericolose. Il patto tacito, che era mediato dalla Russia secondo alcuni documenti ritrovati la cui validità ancora non è stata stabilita, era che se l’esercito di Assad avesse impedito il traffico di armi che da Teheran passava a Hezbollah, allora Israele avrebbe evitato di colpire direttamente i soldati e le armi di Assad. Il patto non è mai stato rispettato dai siriani e Israele ha condotto centinaia di attacchi contro le infrastrutture militari di Damasco. Da quando il regime è caduto, Tsahal non soltanto è entrato nella zona cuscinetto che divide Israele dalla Siria, ma ha distrutto completamente tutto quello che era in dotazione all’esercito di Assad: depositi di armi chimiche, missili, lanciamissili, aerei, aeroporti militari, ora Damasco non ha più neanche una marina. L’esercito siriano non esiste più, i suoi uomini sono stati messi in fuga, le sue proprietà sono state completamente distrutte dagli israeliani in due giorni nel timore che i beni di un esercito incapace finissero nelle mani di ribelli motivati che inneggiano all’eliminazione dello stato ebraico.  

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)