Abu Muhammad al Julani a Damasco (foto LaPresse)

chi parla con julani

I russi trattano per le basi in Siria, ma a Latakia si preparano al ritiro

Luca Gambardella

Mosca prova a trattare con Hts, mentre Biden prende tempo e valuta di togliere il gruppo dalla lista dei terroristi. Tanti dubbi e lo spettro di un’altra Kabul a Damasco

Riconoscerli o no? Negli Stati Uniti si è aperto il dibattito su cosa fare con gli islamisti a Damasco, consapevoli che nel frattempo la Russia si sta muovendo diplomaticamente, come al solito con molti meno scrupoli di Washington. Nonostante la sconfitta subita con la cacciata dell’alleato Bashar el Assad, il Cremlino conta di riuscire a rientrare in Siria dalla finestra e di farlo semplicemente sedendosi a un tavolo con Ahmed al Sharaa, aka Abu Muhammad al Julani.  

  

   

Il comandante di Hayat Tahrir al Sham (Hts), il gruppo terroristico che ha guidato l’avanzata dei ribelli fino alla sconfitta del regime, ha già detto di essere disponibile ad ascoltare chiunque, senza preclusioni. Giovedì, alla tv di stato russa, il presidente della commissione Difesa della Duma, Andrei Kartapolov, ha illustrato quali potrebbero essere i termini della trattativa da intavolare con Hts per ottenere in cambio garanzie sul mantenimento in Siria della base navale a Tartus e di quella aerea a Latakia, entrambe conquistate dai ribelli: “Loro non hanno una Marina,  un’aviazione,  difese antiaeree. Le nostre basi potrebbero assolvere questi compiti. Questa gente dovrebbe capirlo chiaramente: voi non avete i mezzi, venite da noi e vi daremo aiuto, così come abbiamo aiutato il vostro predecessore”. La sorte della flotta e della base aerea dei russi in Siria resta un mistero. Ieri testimoni locali hanno riferito di un afflusso insolito di mezzi militari russi verso l’aeroporto di Hmeymim, vicino Latakia, da dove sarebbero iniziate le operazioni per lasciare il paese.  

 

A ogni modo, la strategia spregiudicata di Mosca dell’uno vale l’altro mette sotto pressione gli Stati Uniti, che vogliono scongiurare il rischio di essere nuovamente scalzati dalla Siria. Joe Biden non vuole fare mosse azzardate: “E’ un momento di rischio e incertezza”, ha detto, augurandosi che le promesse di Sharaa per una Siria unita e inclusiva si traducano in fatti. “Sarebbe interessante se i russi dovessero riconoscere Hts mentre gli Stati Uniti lo lasciassero nella lista dei gruppi terroristici”, ha commentato il capo dei corrispondenti esteri del Wall Street Journal, Yaroslav Trofimov. Lo spettro che Biden vede all’orizzonte è di avere a Damasco un’altra Kabul, e non solo per l’orientamento estremista dei nuovi governatori, ma anche per la loro relazione speciale con la Russia. 

  

 

Il delisting dall’elenco delle Organizzazioni terroristiche straniere  spetta al presidente o al segretario di stato, dopo avere avviato un confronto fra gli organi competenti per la sicurezza nazionale. Secondo Politico, che per primo ha riferito delle riflessioni avviate a Washington in proposito, le resistenze a “normalizzare” le relazioni con i terroristi sarebbero quelle dei repubblicani. L’incognita è Donald Trump e cosa deciderà di fare a gennaio.

 

A Damasco intanto si studiano vie alternative per accreditarsi agli occhi dell’occidente.  Sharaa ha detto di essere pronto a sciogliere Hts per dare un segnale forte  della propria conversione su posizioni meno massimaliste. Per i ribelli sarebbe il modo per evitare le sanzioni americane. Bill Roggio, esperto di gruppi terroristici alla Foundation for Defence of Democracies che è un think tank americano neoconservatore, ha fatto notare come le cose siano un po’ più complesse di così e che non basterebbe un “rebranding” di Hts per ripulirne il curriculum. Attorno al gruppo ruota una serie di altre milizie legate all’estremismo islamico – il Partito islamico del Turkistan, Imam Bukhari Jamaat, Katibat al Tawhid wal Jihad, l’Unione islamica del Jihad, Liwa al Muhajireen wal Ansar, Ansar al Islam – che resterebbero attive e con un’immutata natura jihadista. Molti esperti negli Stati Uniti ritengono che la guerra dichiarata da Sharaa ai suoi vecchi alleati di al Qaida e Stato islamico sia stata solo strumentale per servire i propri interessi non si può definire come un vero pentimento. “Stiamo solo facendo finta che Hts sia un gruppo moderato, proprio come hanno fatto in molti con i talebani”, ha scritto Roggio su X. 

  

 

Da Hts non sono arrivate altre comunicazioni sull’ipotesi del suo scioglimento. Sharaa è impegnato a bilanciare le diverse anime della coalizione di milizie di cui si è posto alla guida. Su Telegram, alcuni combattenti hanno protestato per gli inviti rivolti dal loro comandante a non farsi giustizia da soli nei confronti degli ex militari del regime catturati. C’è chi, fra i più estremisti.  si è lamentato perché gesti tanto caritatevoli sarebbero un tradimento delle vittime del regime e incompatibili con la sharia. Alcuni hanno persino accusato Sharaa di essere un debole che si è arreso alle richieste dell’occidente. E’ la stessa accusa avanzata dalle frange più estreme quando Sharaa si chiamava ancora Julani e Hts si limitava a governare Idlib. Finì con un repulisti dei detrattori ordinato proprio da Julani – il numero tre del gruppo, Abu Ahmad Zakour, fu allontanato perché l’aveva accusato di collaborare con i servizi occidentali, mentre l’ideologo Abu Maria al Qahtani è stato ucciso l’anno scorso. Damasco non è Idlib, ma le resistenze interne alla svolta dialogante di Hts non sembrano sopite. 

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.