Scholz avvia l'ultimo atto. L'Spd schiacciato sul passato 

Luigi Daniele

La fiducia quasi impossibile al Bundestag e le ragioni di un’implosione di leadership e di partito. Interviste

Lunedì il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, chiederà la fiducia al Bundestag, ed è praticamente certo che non la otterrà, certificando la fine della “coalizione semaforo” e avviando la Germania alle elezioni federali. Ma se pure un miracolo tenesse in piedi il governo, per l’Spd nessun problema sarebbe risolto. La crisi della socialdemocrazia tedesca, infatti, è esistenziale, e va ben oltre le difficoltà viste al governo o le previsioni dei sondaggi. 

 
“I conflitti interni al governo Scholz, in ultima analisi, erano conflitti sul modo di intendere il rapporto tra stato ed economia in una fase di crisi, tra liberismo classico e interventismo, con i due poli interpretati dai liberali di Christian Lindner e dai Verdi”, dice al Foglio Christian Krell, politologo all’Università di Scienze applicate per la pubblica amministrazione del Nord-Reno Vestfalia, e autore di numerosi studi e pubblicazioni sulla socialdemocrazia tedesca ed europea. Gli anni del cancellierato di Scholz hanno coinciso con l’invasione dell’Ucraina, e i suoi effetti hanno portato urgenze inattese. Il conflitto ha sancito il fallimento della Ostpolitik, con la Germania chiamata a trovare una nuova postura internazionale, mentre sul piano interno diventava urgente contrastare l’inflazione e fornire soluzioni alle imprese minacciate dai prezzi dell’energia. Le differenze nella maggioranza sono esplose. Mentre i Verdi premevano per aumentare la spesa pubblica per il welfare, per misure europee e per un sostegno maggiore all’Ucraina su ogni livello, i liberali dell’Fdp proponevano meno tasse per le imprese, avversavano ogni ipotesi di ulteriore integrazione a Bruxelles (e respingevano in blocco le proposte di Mario Draghi). In più, tramite il leader, Christian Lindner, ministro delle Finanze, tagliavano gli aiuti a Kyiv dal budget federale. “In questa situazione, la moderazione e la tendenza alla mediazione di Scholz – dice Krell – hanno fatto sì che subisse il protagonismo degli alleati. Di fronte a molte questioni l’elettorato sapeva cosa pensavano i liberali e i Verdi, ma non cosa pensavano i socialdemocratici”. 

 

In questo contesto, l’Spd non è riuscita a trovare un nuovo ruolo, tanto per sé stessa quanto per la Germania. Alle elezioni del 2021 Scholz sembrò a molti il candidato più simile ad Angela Merkel: placido, pragmatico, incline  al compromesso. Ma il merkelismo era reso possibile anche da un contesto che permetteva alla Germania di conciliare opposti: l’atlantismo con i rapporti commerciali con la Russia, l’economia di mercato con il welfare e la concertazione tedesca. Una situazione di cui beneficiava anche l’Spd, che poteva agire da polo progressista, ma al tempo stesso annoverarsi tra i garanti di quella stabilità. Nel suo memoir “Libertà”, Merkel afferma di aver sempre preferito soluzioni win-win contro per esempio Donald Trump “per il quale ci sono sempre vincitori e perdenti”: una buona sintesi del merkelismo, oltre che della linea cui ha cercato di attenersi Scholz nel dirimere i conflitti tra gli alleati. Quando la soluzione win-win non è possibile, però, bisogna fare scelte nette, ed è in quel momento che iniziano i problemi. 

 
Frank Decker, politologo dell’Università di Bonn che dedica la sua attività di ricerca all’evoluzione e alle sfide della democrazia tedesca, spiega che “con il tempo, l’Spd ha assunto posizioni centriste”, che nella fase di crisi sono diventate “difficili da mantenere in termini di equilibrio tra forze politiche, e spesso percepite come noiose”. Ma non siamo semplicemente di fronte a un conflitto tra un’ala sinistra e un’ala centrista, come spesso avviene nei partiti socialisti europei: più profondamente, la difficoltà dell’Spd è trovare un ruolo nel nuovo mondo. Emblematica di questa difficoltà è la Zeitenwende, la “svolta epocale” in materia di difesa annunciata da Scholz dopo l’invasione russa dell’Ucraina, che avrebbe potuto essere il grande lascito del suo governo, ma che è rimasta in larga parte lettera morta. “Molti settori del partito – racconta Decker – sono ancora legati all’eredità della distensione, e si rifiutano di vedere il carattere aggressivo di Vladimir Putin in tutta la sua portata”. Il problema è culturale: una classe dirigente troppo legata a vecchi schemi fatica a immaginare il mondo nuovo, sul piano interno quanto esterno: “Una vera svolta in materia di difesa richiederebbe molti più investimenti, ma questi rischierebbero di essere sottratti a misure ambientali o alle politiche sociali – temi ovviamente importanti per l’Spd”, spiega Decker. In questa prospettiva va letto anche l’antagonismo creatosi negli ultimi tempi tra Scholz e il compagno di partito Boris Pistorius, nominato ministro della Difesa a legislatura in corso e così apprezzato dagli elettori che una parte del partito ha proposto di candidare quest’ultimo al voto del prossimo anno. “Dubito che con Pistorius vedremmo sondaggi radicalmente diversi – dice Krell – ma è indubbio che molti elettori, socialdemocratici e non solo, hanno iniziato ad apprezzare Pistorius perché vedevano in lui la chiarezza e il decisionismo che avrebbero voluto vedere nel cancelliere”.

 
La socialdemocrazia tedesca è in piena paralisi: da una parte la Zeitenwende, dall’altra un partito ancora legato al ruolo di ponte tra Europa e Mosca; da una parte un’economia deve essere resa più competitiva, dall’altra la necessità di tutelare le categorie tradizionalmente vicine al partito. Anche sulla crisi industriale, infatti, si ripropone il dilemma: “L’industria è sempre stata la base del modello economico tedesco, e ora è sotto pressione – spiega Decker – La base tradizionale del partito si allontanerà ulteriormente se alcuni settori non saranno tutelati, per esempio tramite sussidi, ma questo ha senso solo se a quei settori si riuscirà a dare un futuro”. 

 

Per molti versi, la crisi dell’Spd somiglia a quella, identitaria, della Germania: un paese e un partito che devono trovare una nuova vocazione in un mondo cambiato troppo rapidamente rispetto ai sedici anni dell’èra Merkel. Più che un cancelliere in crisi, quindi, Olaf Scholz sembra personificare il residuo di una vecchia fase politica, oltre che di un partito che stenta a trovare una direzione e che, nel campo moderato, subisce il ritorno di molti elettori ai cristianodemocratici della Cdu, mentre a sinistra soffre la concorrenza dei Verdi e sconta lo scetticismo dell’elettorato per non essere riuscita a fermare il caro affitti e l’aumento del costo della vita. In questa situazione, anche rivendicare gli obiettivi raggiunti (come l’aumento del salario minimo) non ha alcun effetto reale in termini di consenso. “Del resto, come si può rappresentare un’alternativa convincente quando si è governato per ventiquattro degli ultimi ventotto anni?”, chiede Decker.

 

In campagna elettorale, secondo Krell, per l’Spd può essere utile “insistere sui temi in cui era percepita forte, come economia, inflazione, politiche sociali e abitativi”. Certo, sarebbe facile sollevare verso Scholz l’obiezione che negli ultimi tre anni ha governato proprio lui. “Ma almeno si rimarrebbe nel dualismo Spd-Cdu marginalizzando l’AfD che proverà a impostare tutto sull’immigrazione. La domanda, però, è se la Cdu asseconderebbe questa dinamic”.


Attualmente, i sondaggi mostrano l’Spd, in media, al 15 per cento, più che doppiata dalla Cdu (32 per cento) e superata dall’estrema destra di Alternative für Deutschland (18 per cento). Se i dati saranno confermati alle urne, il futuro del candidato più merkeliano delle scorse elezioni sarà quello di diventare partner di minoranza di un governo a guida Cdu con a capo Friedrich Merz: significativamente, un uomo che si è sempre definito anti merkeliano. 

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