Il presidente russo Vladimir Putin e il vice primo ministro serbo Aleksandar Vulin (Kristina Kormilitsyna, Sputnik via AP) 

Tra Mosca e Pechino

In Serbia, assieme ai favori cinesi, arriva la “legge russa”. La preoccupazione dell'Ue

Davide Cancarini

Intese segrete con Pechino e una nuova legge per creare un registro degli "agenti stranieri", che ricalca quella russa per colpire le ong, i media e gli attivisti, mette a rischio il processo di adesione all'Ue da parte di Belgrado

A metà strada fra est e ovest a livello geografico, la Serbia è sempre più a est anche dal punto di vista politico. Pochi giorni fa ha preso avvio a Belgrado il dibattito parlamentare su una legge che mira a creare un registro degli “agenti stranieri”: una normativa che, secondo  le voci critiche e l’opposizione serba, rischia di ricalcare la legge ideata in Russia per colpire le organizzazioni non governative, i media e gli attivisti finanziati da paesi esteri e non graditi dal Cremlino. La proposta di legge è stata presentata dal Movimento dei Socialisti, un partito di sinistra nazionalista e filorusso fondato dall’attuale vice primo ministro Aleksandar Vulin, molto vicino a Mosca. Sanzionato dagli Stati Uniti nel luglio del 2023 per le sue attività pro russe, Vulin ha affermato di voler difendere la trasparenza e di essersi rifatto a una norma americana. Eppure proprio mentre  iniziava il dibattito, nella capitale serba si è tenuto un incontro fra le delegazioni parlamentari di Serbia e Russia, a conferma di una relazione bilaterale particolarmente attiva. 

  
L’Unione europea non ha mancato di far sentire la propria voce in merito: Bruxelles si è espressa  a chiare lettere criticando la proposta e sottolineando che, qualora venisse approvata, la nuova normativa metterebbe seriamente a rischio il processo di adesione da parte di Belgrado. A spingere i funzionari europei a reagire con questa determinazione sono due fattori: da un lato, il timore che la Serbia possa conoscere le stesse tensioni interne sperimentate nei mesi scorsi in Georgia, il che  porterebbe ulteriore instabilità nel cuore di una regione già particolarmente turbolenta. Basti dire che, secondo un report pubblicato ieri da Amnesty International, il governo serbo avrebbe messo in piedi un sistema di controllo illegale di giornalisti e ambientalisti attraverso uno spyware installato nei loro smartphone. Dall’altro, il rischio concreto è che il paese balcanico scivoli sempre più nella sfera di influenza russa. Un sondaggio appena reso pubblico e realizzato dalla multinazionale delle ricerche di mercato, Ipsos, mostra che quasi la metà dei serbi voterebbe a favore dell’adesione all’Ue ma che, allo stesso tempo, la Russia e la Cina godono nel paese di grande favore.

     
Sulla base di un legame molto più recente e pragmatico di quello che lega Belgrado e Mosca, la Cina è l’altro attore che negli ultimi anni ha scalato più posizioni nella classifica dei partner privilegiati dal paese balcanico, perlomeno dalla salita al potere dell’attuale presidente della Repubblica di Serbia, Aleksandar Vucic. Come riportato da Radio Free Europe/Radio Liberty, la Serbia sta lavorando alla ratifica di un accordo di estradizione con la Cina che amplierebbe notevolmente la cooperazione tra i due paesi. Fortemente criticata da parte delle associazioni per i diritti umani, l’intesa è stata siglata durante la visita del leader cinese Xi Jinping a Belgrado dello scorso maggio, durante la quale sono stati conclusi decine e decine di accordi in vari ambiti. Stando all’Organizzazione del turismo della Serbia, nei primi nove mesi del 2024 si è registrato l’arrivo di circa 150 mila turisti cinesi nel paese, segnando un aumento del 71 per cento  rispetto al 2023. Il paese balcanico ha anche appena firmato un accordo da 720 milioni di euro con il gigante cinese PowerChina per costruire la prima parte della metropolitana di Belgrado, un’opera attesa da decenni. Questo nonostante Pechino sia stata di recente oggetto di gravi accuse, dopo il crollo del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad, che il primo novembre scorso ha causato la morte di 15 persone. Nei giorni seguenti il disastro è emerso che, tra le altre, due imprese cinesi sono state coinvolte nei lavori di ristrutturazione della stazione: a causare le ingenti manifestazioni che hanno interessato la città è stata anche la decisione delle autorità serbe di non rendere pubblici i termini dei contratti con le società afferenti a Pechino, a causa delle disposizioni di segretezza contenute negli accordi. 

 
Un colpo pesante ma che con grande probabilità non farà desistere l’attuale governo serbo dal portare avanti la sua strategia: Belgrado strizza sempre più l’occhio  a Mosca e a Pechino, definendo una politica estera che rischia di causare scossoni nei Balcani e nell’Europa nel suo complesso.

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