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Lo scambio polacco

Meloni salva Ecr dalla rottura incoronando Morawiecki che nicchia sulla linea pro Ursula

Pietro Guastamacchia

La premier chiude con successo una trattativa faticosa per evitare spaccature in FdI e salvaguardare l'operazione Fitto, ma i conservatori europei restano divisi sull’atteggiamento da assumere a Bruxelles. E il rischio di crepe sui voti chiave è dietro l'angolo

Bruxelles. Giorgia Meloni lascia la guida del partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) e spiana la strada all’arrivo dell’ex premier polacco Mateusz Morawiecki. Un passo di lato per placare i tumulti degli alleati polacchi contro la sua svolta “eurogovernista”, ma soprattutto per liberarsi di un ruolo che ostacolava i suoi rapporti con il Ppe.

  
La mossa è il punto di arrivo di una trattativa iniziata a giugno, quando l’Ecr sembrava sul punto di spaccarsi in due. “Siamo tentati in entrambe le direzioni, direi che la probabilità della nostra permanenza nel gruppo è al 50 per cento”, spiegava infatti a Politico lo stesso Morawiecki il 27 giugno scorso, mentre un riassetto di tutte le forze conservatrici dell’est Europa e le sirene del nascente gruppo dei Patrioti cercavano di sedurre la formazione polacca a lasciare il gruppo da loro creato per tentare una formazione su modello Visegrad o un super progetto della destra sovranista guidato da Orbán e Le Pen.


Una spaccatura che Fratelli d’Italia ha però voluto evitare a tutti i costi, non solo perché avrebbe lasciato Meloni praticamente senza una “famiglia” politica in Ue in un momento chiave, ma anche perché avrebbe polarizzato sui sovranisti tutto il nuovo spazio di manovra a destra creato dal voto di giugno.


Una trattativa però che è stata tutt’altro che semplice. Da un lato, Fratelli d’Italia spingeva per una linea “governista” a Bruxelles e già preparava il piano per portare Raffaele Fitto nella nuova commissione von der Leyen. Dall’altro però i polacchi del PiS inauguravano una stagione di confronto intransigente in patria contro il nuovo governo di Donald Tusk e a Bruxelles contro la Commissione von der Leyen.


Perno del problema tra i due principali partiti di Ecr era, e rimane, il rapporto con il Ppe, che per Meloni si traduce in casa nel rapporto con l’alleato Tajani, mentre per i polacchi del PiS rappresenta lo scontro con il loro principale avversario, Donald Tusk. E proprio per evitare che il fuoco incrociato tra Tusk e Morawiecki mettesse a rischio l’operazione Fitto, si è reso necessario offrire una garanzia ai polacchi per evitare l’imboscata, una garanzia individuata proprio nella successione alla presidenza del partito, un ruolo, per altro, che si stava rivelando sempre più ingombrante per Meloni.


Conclusa la partita sulla nuova Commissione e assicurato l’arrivo di Raffaele Fitto alla vicepresidenza dell’Ue, il momento per il passaggio di consegne alla guida dell’Ecr è maturato, anche in vista delle elezioni presidenziali polacche previste per la primavera del 2025. La sfida per la successione al conservatore Andrzej Duda si preannuncia infatti agguerrita, e gli uomini del leader del PiS, Kaczyński, sperano di infliggere un primo sgambetto a Donald Tusk. Secondo fonti del Ppe, infatti, lo stesso Tusk avrebbe fatto sapere al capogruppo dei popolari, Manfred Weber, di non avere alcuna intenzione di mostrarsi dialogante con chi siede alla guida della famiglia politica europea dei suoi avversari.


Tattiche e poltrone a parte però, il gruppo Ecr rimane profondamente diviso sull’atteggiamento da assumere a Bruxelles, una divisione che rischia di riaffacciarsi sui voti chiave della legislatura europea in corso. Ma a favore dell’unità politica dei cristiano-riformisti potrebbe intervenire il cambio di amministrazione alla Casa Bianca. Ecr è, infatti, strutturalmente il partito partner europeo dei Repubblicani americani e sia Morawiecki che Meloni intendono spingere affinché diventi una piattaforma di dialogo con gli uomini dell’amministrazione del prossimo presidente degli Stati Uniti. Un’operazione necessaria anche per arginare la concorrenza di seria di Viktor Orbán, che si propone già come ambasciatore di Trump in Europa, e semiseria di Salvini, impegnato per ora principalmente a copiare le cravatte del tycoon americano.