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Il caso

Abc (cioè Disney) non solo patteggia con Trump, gli dà pure 15 milioni

Marco Arvati

Il tycoon ha dimostrato un intento vendicativo verso chi lo ha ostacolato. Sembra che l'emittente abbia deciso di pagare anticipatamente un risarcimento, per un caso che avrebbe avuto buone probabilità di vincere, per ingraziarsi un’Amministrazione con cui sarà complesso lavorare

Il processo per diffamazione, che vedeva contrapposti la rete televisiva Abc, proprietà del colosso dell’intrattenimento Disney, e il presidente eletto Donald Trump, si è chiuso a sorpresa con un patteggiamento: l’azienda ha acconsentito a risarcire il tycoon di 15 milioni di dollari. Durante un’intervista alla deputata repubblicana del South Carolina Nancy Mace avvenuta nel programma “This Week”, il giornalista George Stephanopoulos le aveva chiesto come si sentisse, da vittima di stupro, a sostenere Donald Trump, che una giuria di New York aveva ritenuto colpevole dello stesso reato. Il giornalista si riferiva al caso della scrittrice E. Jean Carroll, che ha affermato che Trump l’avrebbe stuprata negli anni ’90 e successivamente diffamata negando l’accaduto: nel 2023, un tribunale civile di New York ha condannato Trump a risarcire Carroll con 88,3 milioni di dollari, ritenendolo colpevole di diffamazione e aggressione sessuale.

 

Qui sta il nodo della vicenda: Trump ritiene di essere stato diffamato da Stephanopoulos, in quanto mai ritenuto colpevole di stupro dal tribunale. Il giudice distrettuale Lewis Kaplan, in un atto ufficiale del processo, ha però evidenziato che, per quanto concerne il significato comune che diamo alla parola, lo stupro è sostanzialmente avvenuto. Il codice penale di New York, al tempo dei fatti, indicava come stupro solo la penetrazione non consensuale, facendo ricadere ogni altro contatto di tipo sessuale sotto il termine-ombrello di “aggressione”: proprio questo caso ha convinto lo stato di New York a emanare una nuova legge, che amplia considerevolmente le casistiche riconducibili allo stupro.

 

La definizione del giudice, che evidenziava la differenza tra il senso comune che diamo alla parola e le motivazioni legali che non hanno permesso una condanna di quel tipo, era parte della difesa di Abc. Molti legali sostengono che la compagnia sarebbe potuta andare a processo, con considerevoli chance di vittoria: la legge americana sulla diffamazione, infatti, è favorevole a chi deve difendersi. Chi sporge denuncia deve dimostrare non solo che il querelato ha dato una notizia erronea, ma che lo abbia fatto con malizia, essendo a conoscenza della falsità dell’informazione. Trump non è nuovo a questo tipo di querela: negli anni ha avuto contenziosi per diffamazione con le principali aziende editoriali americane, dalla Cnn al New York Times, al Washington Post. Quasi tutti persi, ma comunque costosi e lunghi da affrontare per chi viene citato in giudizio. 

 

Se quella della diffamazione è una tattica utilizzata spesso da Trump, e questo caso non aveva nessuna evidenza concreta maggiore di altri già persi dal tycoon, perché Abc ha deciso per il risarcimento? L’idea che se ne sono fatti molti opinionisti americani, tra cui Bill Kristol, è che molte aziende stiano volontariamente capitolando alle richieste del presidente, per ingraziarselo e non avere problemi durante la sua Amministrazione. In campagna elettorale Trump ha dimostrato un intento vendicativo verso chi lo ha ostacolato: ha parlato di processi e incarcerazioni per gli avversari e ha alzato il livello dello scontro con la stampa. Dopo aver vinto le elezioni, sembra che le aziende che si erano in passato schierate apertamente contro il tycoon abbiano deciso di rivedere le loro posizioni. Tim Cook, Ceo di Apple, e Mark Zuckerberg, Ceo di Meta, sono stati a Mar-a-Lago, la residenza di Trump in Florida, e Jeff Bezos, proprietario di Amazon, ha donato un milione di dollari al presidente. 

 

Disney, che possiede Abc, ha già pagato lo scotto di scontrarsi apertamente con la politica: dopo essersi schierata contro la legge della Florida che bandiva nelle scuole la discussione su tematiche riguardanti l’orientamento sessuale, il governatore repubblicano Ron DeSantis ha revocato alla compagnia il governo autonomo dell’area del parco divertimenti di DisneyWorld, dando avvio a un lungo contenzioso legale. Sembra quindi che pagare anticipatamente un risarcimento, per un caso che avrebbe avuto buone probabilità di vincere, sia un modo di ingraziarsi un’Amministrazione con cui sarà complesso lavorare. Questa mossa non è, però, senza conseguenze: come scritto dallo storico americano Timoty Snyder, obbedire anticipatamente ai voleri di un politico che si comporta in senso autoritario non fa altro che rafforzarne le pretese. D’altronde, come ha detto il presidente eletto in conferenza stampa, “nel primo mandato mi combattevano, adesso vogliono essere tutti miei amici”.