Due combattenti di Hts ad Aleppo (Getty)

sotto una sola bandiera

Per una Siria unita serve un esercito, dice Julani. Il “modello Idlib”

Luca Gambardella

Aperti i centri di reclutamento, mentre gli ex militari di Assad si arrendono in modo (quasi) pacifico. Ma i confini restano sguarniti e integrare i curdi in una Forza armata araba non sarà semplice

La creazione di un esercito nazionale potrebbe essere il passaggio cruciale con cui Abu Muhammad al Julani, che ora si fa chiamare Ahmed al Sharaa, intende ricomporre i pezzi della nuova Siria. Ieri era stato il ministro della Difesa del governo transitorio a ripetere quanto aveva già annunciato la settimana precedente: “Le milizie, a Dio piacendo, saranno sciolte per formare un unico esercito siriano”, ha detto Abu Hassan al Hamawi, nome di battaglia di Murhaf Abu Qasra, già comandante dell’offensiva lanciata dalla milizia islamista Hayat Tahrir al Sham (Hts) che ha sconfitto la dittatura della famiglia Assad. “In ogni stato, tutte le unità militari devono essere integrate sotto le insegne della stessa istituzione”. Lo stesso Sharaa ha aggiunto che “ogni milizia confluirà sotto il ministero della Difesa” e ha collegato il tema all’unità nazionale e all’integrazione delle minoranze, spiegando che “non esiste alcuna esclusività che porterà a separazioni”. 

Se è vero che governare la Siria intera non è la stessa cosa che governarne una sola città – come aveva ammesso lo stesso Sharaa – molti nei ranghi di Hts ritengono che il “modello Idlib” sia un faro che il governo di transizione di Damasco dovrebbe seguire. Vale per la gestione della giustizia, per l’amministrazione locale e  per l’economia, ma ancora di più per la difesa. Hts ha aperto diversi centri di reclutamento per nuovi combattenti proprio nella provincia di Idlib. Prima ancora dell’avanzata su Damasco, Hts ha dimostrato di essere all’altezza nella costruzione di un gruppo ben armato e soprattutto ben addestrato. Qasra in persona ha supervisionato sia  l’addestramento dei miliziani di Hts, sia  la messa a punto dei droni “made in Idlib” Shaheen. 

L’urgenza è di avere abbastanza uomini, formati e disciplinati a sufficienza  per garantire la sicurezza nelle aree liberate, dove gli atti di sciacallaggio sono all’ordine del giorno, e soprattutto per riprendere il controllo dei confini. A oggi, la sorveglianza ai valichi di frontiera verso il Libano e la Giordania sono quasi nulli, mentre a est, sul versante iracheno, i confini restano chiusi. A sud, a ridosso del Golan, la situazione resta fluida e ieri il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che l’Idf manterrà il controllo della zona demilitarizzata fino alla fine del prossimo anno. Lo stato ebraico ha ammassato molti uomini a Jabal al Shaykh, una montagna che gli israeliani invece chiamano Hermon e attorno alla quale sorgono diversi villaggi siriani. Qui molti residenti chiedono un intervento di Hts, che ancora non si è spinta così a sud, per aiutarli a fronteggiare quella che definiscono un’invasione da parte delle Forze armate israeliane. 

In un futuro che resta ancora del tutto ipotetico, vista la tensione nel nord-est con le milizie filoturche, andrà anche stabilito cosa fare delle Forze democratiche siriane (Sdf). Queste hanno tra le loro file una forte predominanza di curdi – ma includono anche arabi e assiri – e hanno contribuito a cacciare gli assadisti dalle regioni orientali della Siria, a Deir Ezzor. L’Sdf ha cambiato bandiera adottando quella della rivoluzione bianca nera e  verde e si è detta pronta ad aderire al governo nazionale di Damasco rinunciando a ogni idea di federalismo. “La Siria è una”, ha convenuto ieri Qasra, ma le tribù arabe dell’est non sembrano dello stesso avviso. Nel giro di pochi giorni a Deir Ezzor, conclusi i festeggiamenti per la sconfitta di Assad, i residenti sono scesi in strada per dire ai curdi che era arrivato il momento di andarsene. Solo l’arrivo degli uomini di Hts ha placato gli animi.

Mentre l’inclusione dei curdi nelle Forze armate della Siria che verrà resta una chimera, il governo di transizione si sta occupando di smantellare in modo ordinato ciò che resta dell’esercito del regime. A Jableh, Deir Ezzor e Daraa sono stati aperti dei centri dove gli ex soldati e ufficiali del regime possono consegnare le armi ricevendo in cambio un documento di identità provvisorio. L’amnistia sembra procedere con successo, sebbene non siano mancati episodi di giustizia sommaria da parte degli uomini di Hts, desiderosi di vendicarsi contro i militari di Assad. Lo stesso Qasra aveva detto la settimana scorsa all’Economist che un trattamento molto meno comprensivo sarebbe stato riservato a quei membri del regime che si erano macchiati di crimini particolarmente efferati, come le torture e le uccisioni di massa nelle carceri di sicurezza.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.