Gli ultimi colpi di Biden contro la Cina su hacker e sicurezza

Giulia Pompili

L'ultimo mese alla Casa Bianca tra minacce informatiche e divieti tecnologici per proteggere la sicurezza americana mentre Trump si prepara (forse) a un possibile cambio di strategia. Il caso Volt Typhoon e quello dei TP-Link, con un occhio a TikTok

L’Amministrazione Biden in questo suo ultimo mese sta prendendo decisioni  contro la Repubblica popolare cinese e la minaccia di hackeraggi estesi sul territorio americano prima che si insedi alla Casa Bianca Donald Trump. Secondo le informazioni raccolte dal Foglio, in questo momento la preoccupazione è che Trump, nonostante le passate dichiarazioni molto dure contro la leadership cinese, possa passare a un approccio meno securitario, e con politiche aggressive solo sul piano commerciale. La scorsa settimana il Dipartimento del commercio ha stabilito in via preliminare che la China Telecom Americas, principale sussidiaria americana del colosso statale China Telecom Corporation, pone rischi per la sicurezza nazionale e ha dato all’azienda 30 giorni per rispondere ai dubbi.

 

La minaccia di un divieto arriva dopo quello che è stato definito “il più massiccio attacco alle infrastrutture delle telecomunicazioni della storia americana”, di cui si è parlato poco sui media europei ma la cui conferma è arrivata poco prima delle elezioni americane di novembre. Secondo gli investigatori, il complesso attacco informatico, che sarebbe iniziato nel 2022, è stato condotto da un gruppo di hacker cinesi chiamato Salt Typhoon, ha compromesso dispositivi come router e switch gestiti da colossi americani come AT&T e Verizon e avrebbe permesso all’intelligence di Pechino di ottenere registrazioni di conversazioni telefoniche e messaggistica con una compromissione che negli ultimi mesi si è concentrata nell’area della capitale federale Washington, arrivando forse a colpire anche quelli che allora erano i candidati alle presidenziali. Ma l’estensione dell’operatività di Salt Typhoon, hanno spiegato più volte sia l’Fbi sia la National security agency americana, non è ancora chiara agli investigatori. Ora la Casa Bianca ha inviato la prima lettera alla China Telecom Americas, e ha fatto in modo che la questione divenisse pubblica – il primo a parlarne è stato il giornalista veterano della sicurezza nazionale David E. Sanger sul New York Times – in modo che la prossima Amministrazione Trump non possa ignorare la questione. 

 


Già nel 2021 la Federal Communications Commission aveva tolto alla China Telecom Americas tutte le licenze per la fornitura di servizi telefonici ordinari negli Stati Uniti, ma non aveva cancellato la presenza di China Telecom nelle reti americane “e il potere di fare capolino nel traffico internet e telefonico. Questa capacità verrebbe eliminata con l’ordine del dipartimento del Commercio, sempre che l’amministrazione Trump lo accetti”, ha scritto Sanger.

 

Nel frattempo, dipartimento del Commercio, della Giustizia e della Difesa hanno aperto tre diverse indagini su TP-Link, un’azienda cinese di Shenzhen che produce i router per la maggioranza della popolazione americana e anche per diverse agenzie governative. Ieri il Wall Street Journal, in un articolo in esclusiva, ha scritto che le indagini potrebbero portare “al divieto di vendita di router TP-Link negli Stati Uniti l’anno prossimo, secondo quanto riferito da persone che hanno familiarità con la questione”. Un’altra azione che secondo qualcuno Trump potrà usare per negoziare con la leadership di Pechino.  Secondo alcune fonti del Wall Street Journal i router TP-Link non sembrano essere collegati alle intrusioni di Salt Typhoon contro le aziende di telecomunicazioni americane, “ma le indagini dell’Amministrazione Biden sull’azienda sembrano aver avuto un’accelerata alla luce delle intrusioni scoperte di recente”. L’ultima grande azione di forza contro la tecnologia cinese in America per ragioni di sicurezza nazionale c’è stata nel 2019, quando proprio Trump ordinò l’eliminazione dei prodotti Huawei dalle infrastrutture americane. Oggi però il mondo è diverso, e Trump dice che con il leader Xi Jinping può “risolvere i problemi del mondo”. Un primo radicale cambio di passo c’è stato su TikTok, il social network di proprietà della cinese Bytedance che molti, anche al Congresso americano, e persino dentro alla futura Amministrazione Trump, considerano il braccio armato della guerra ibrida cinese. Due giorni fa, subito prima di incontrare il ceo di TikTok Shou Chew a Mar-a-Lago, aveva detto che il social aveva “un posto speciale” nel suo cuore. Con un timing forse non casuale, ieri la Corte suprema americana, ancora plasmata dalle tre nomine di Trump della precedente Amministrazione, ha annunciato di aver accolto i ricorsi e che esaminerà la legge che impone il divieto a livello nazionale della app se non riesce ad assicurarsi un acquirente non cinese entro il prossimo 19 gennaio. Un bel favore a Trump e  un bel colpo per intavolare un negoziato con Xi Jinping.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.