L'armata invisibile di Xi: le stazioni di polizia d'oltremare cinesi esistono

Giulia Pompili

Il caso di Chen Jinping, reo confesso, svela la rete cinese di repressione globale. Così è confermata l’esistenza delle cosiddette "stazioni di polizia virtuali" cinesi a New York e altrove, tra pressioni illegali e violazioni della sovranità. Il recente viaggio di Piantedosi a Pechino

L’altro ieri l’imputato al tribunale di Brooklyn Chen Jinping, sessantenne di origini cinesi e con cittadinanza americana, si è dichiarato colpevole di aver lavorato per conto del ministero della Sicurezza di Pechino nella gestione di una “stazione di polizia virtuale” cinese a New York. Per la prima volta c’è un’ammissione e soprattutto la conferma dell’esistenza degli uffici che l’intelligence di Pechino ha usato – e probabilmente in forma diversa usa ancora – per proteggere i suoi interessi in modo illegale e reprimere il dissenso anche fuori dai  confini nazionali. Questo giornale aveva parlato in esclusiva per la prima volta il 3 settembre del 2022 della “stazione di polizia d’oltremare di Fuzhou” a Prato, la stessa branca scoperta a New York che ha portato all’arresto di Chen.

 


Chen si sarebbe dichiarato colpevole e avrebbe iniziato a collaborare con la giustizia in virtù della cittadinanza americana che gli permette di evitare, eventualmente, la giustizia cinese – che non sempre opera secondo le vie del diritto internazionale e la presenza capillare nel mondo delle cosiddette stazioni di polizia cinesi d’oltremare serve proprio a operare con il metodo della repressione transnazionale anche, come dimostrano i diversi report pubblicati dalla ong spagnola Safeguard Defenders, attraverso la coercizione e i “ritorni involontari” in Cina. Matthew Olsen, assistente del procuratore generale, ha fatto sapere che Chen ha ammesso in tribunale il suo ruolo nella  “stazione di polizia non dichiarata” a Manhattan, che “non è stata aperta nell’interesse della sicurezza pubblica, ma per favorire gli obiettivi nefasti e repressivi della Repubblica popolare, in diretta violazione della sovranità americana”. Poco più di due anni fa, dopo l’articolo del Foglio e l’eco internazionale avuta dal report di Safeguard Defenders, anche in Italia le attività di sicurezza illegali da parte della Cina hanno ricevuto attenzione mediatica, e a dicembre 2022 il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi riferendo alla Camera aveva detto: “Stiamo verificando: non escludiamo sanzioni in caso di irregolarità”. Un’indagine di cui non si era poi saputo più nulla, nonostante le ripetute richieste di questo giornale. Poi lo scandalo si era sgonfiato, e su diversi media e sui social erano stati sollevati dubbi sull’esistenza stessa dell’operazione cinese – anche con accuse di sinofobia.  

 

 

Neanche due mesi fa, il 29 ottobre scorso, il ministro Piantedosi è stato in visita a Pechino, ha incontrato il ministro per la Pubblica sicurezza di Xi Jinping, Wang Xiaohong, cioè l’uomo responsabile dell’implementazione della repressione transnazionale cinese, con cui aveva parlato di “rafforzare gli scambi e la cooperazione nel contrasto alla criminalità organizzata transnazionale”. Poi Piantedosi aveva visitato il Centro di “Law Enforcement” del Distretto di Xicheng. 

 


L’altro ieri Chen Jinping ha confermato che da quando l’ufficio era stato aperto ufficialmente nel febbraio del 2022, gli era stato ordinato dai funzionari di Pechino di dare la caccia almeno a tre persone, che secondo gli investigatori sarebbero state vittime di intimidazioni e molestie da parte di altri cittadini cinesi, e di fare pressioni per rimuovere un articolo che era stato pubblicato su un sito americano in lingua cinese proprio sulle stazioni di polizia cinesi a New York. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.