Foto Getty

Magazine

Dietro il killer Mangione. La pazza sanità americana

Marco Bardazzi

È fra le più vistose contraddizione americane. Eccellenze ospedaliere ma anche gigantesche aziende con labirinti assicurativi, spese miliardarie e pazienti indebitati. Costretti spesso a rinunciare alle cure per evitare il tracollo economico

Tra i tanti record che detiene l’America, ce ne sono alcuni di cui farebbe volentieri a meno e che raccontano la complessità del paese e le enormi disparità tra i suoi 335 milioni di abitanti. Non c’è nazione al mondo che spenda di più per la sanità, per esempio, ma ci sono anche zone come il Mississippi, che ha il primato mondiale delle amputazioni agli arti inferiori eseguite in ospedale. Il motivo? Il diabete non curato, che affligge chi non ha abbastanza soldi per mangiare sano, comprare medicine e farsi visitare da uno specialista. Di tutte le gigantesche contraddizioni americane, la sanità è una delle più vistose. E’ un ambito fatto di straordinarie eccellenze e ricerca scientifica di altissimo livello, accompagnate da costi fuori controllo e ingiustizie sociali devastanti. E’ il tema di infinite storie dell’orrore di chi scopre, anche da semplice turista senza la giusta copertura assicurativa, che andare in ospedale per una frattura a una gamba costa 7.500 dollari, o che tre giorni di degenza hanno un conto finale di 30 mila dollari. E’ il terreno degli infiniti scontri politici, dove un decennio fa si litigava per l’Obamacare, poi si è litigato su come combattere il Covid e ora ci si prepara al trauma di un ministro della Sanità, Robert F. Kennedy Jr., che vuole stravolgere tutto e contro la cui nomina 75 premi Nobel hanno firmato una lettera nella quale avvertono che “metterà a rischio la salute pubblica”.

 

                    

 

E’ il settore che negli ultimi decenni ha visto andare fuori controllo alcune realtà del mondo Big Pharma, come la Purdue, che con il proprio OxyContin ha provocato un’epidemia di dipendenze e morti da oppioidi: un fenomeno che quando ha cominciato a tornare sotto controllo è stato sostituito dall’invasione del fentanyl, con danni ancora peggiori. E’ il mondo che ha dato vita all’inestricabile labirinto delle procedure delle assicurazioni private e alla burocrazia elefantiaca dei grandi programmi pubblici. Ed è, infine, un palcoscenico di tragedie: come la decisione presa dal giovane e brillante laureato dell’Ivy League Luigi Mangione di sparare a sangue freddo al ceo di un’assicurazione sanitaria, Brian Thompson. Con tanta, tanta gente nella platea dei social che invece di inorridire si alza ad applaudire.  

 

                                


La salute in America non è un diritto, va gestita come responsabilità personale (in maniera non molto dissimile dal sistema previdenziale) ed è un ambito che è sempre stato affidato all’iniziativa privata, al volontariato o alla beneficenza. Nel Diciannovesimo secolo gli ospedali esistevano solo nelle grandi città americane e nascevano o in ambito militare, o per iniziativa di congregazioni religiose e fraternità con la vocazione per la medicina. Una realtà come la Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, oggi uno degli ospedali più celebri e all’avanguardia nel mondo, è nata nella seconda metà dell’Ottocento per iniziativa di due medici inglesi, i fratelli Mayo, e di un gruppo di suore francescane: misero insieme le forze per assistere i feriti da un devastante tornado e diedero vita a una realtà no profit destinata a durare nel tempo. Iniziative simili furono alla base della nascita dei grandi ospedali attuali un po’ in tutta l’America, come quelli creati a New York e in molte altre città dalla santa italiana Francesca Cabrini.

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Ventesimo secolo, le grandi ondate di immigrazione e il boom industriale portarono allo sviluppo disordinato di un sistema di assistenza sanitaria gestito da molteplici soggetti: oltre ai religiosi, a prendere l’iniziativa furono le mutue nate dal movimento sindacale e associazioni con un forte legame con le etnie degli immigrati. Le autorità pubbliche americane non si occupavano di sanità se non per fare le leggi in materia, garantire grandi progetti di disinfestazione dei quartieri più affollati o decretare quarantene e divieti in caso di epidemie. L’atteggiamento di Washington nei confronti della sanità era analogo per certi versi a quello che il governo federale aveva riguardo alla finanza: gli ospedali come i mercati erano liberi di agire, nel rispetto delle leggi locali, e di regolarsi da soli (nel caso dei mercati finanziari, questo fu uno dei motivi che portarono al crollo di Wall Street del 1929).


I primi piani di copertura assicurativa cominciarono ad emergere all’inizio del Novecento, per garantire le lunghe degenze ospedaliere. Fu però la Seconda guerra mondiale a dare una spinta al settore. Il tetto ai salari deciso nel periodo bellico spinse molte aziende a concedere l’assicurazione medica come benefit ai lavoratori, per incentivarli e trattenerli. E’ nel secondo dopoguerra che le traiettorie degli Stati Uniti e dell’Europa in materia sanitaria iniziano a divergere in modo sostanziale. Il governo federale, riunendo varie agenzie, mise in piedi gli attuali colossi della sanità americana: il National institute of health (Nih) per la ricerca e i Centers for disease control and prevention (Cdc) per supervisionare tutta la saluta pubblica. Ma di “pubblico” nel sistema americano c’era poco, niente a che vedere con i sistemi di welfare europei. Nel 1965 sono nati due importanti programmi di assistenza medica gestiti dal governo, Medicare (per gli anziani) e Medicaid (per le persone a basso reddito o indigenti), che rappresentano un grosso aiuto per chi è in difficoltà, ma hanno forti limiti rispetto alla qualità e quantità dei servizi che riescono a fornire. Gli ospedali americani sono diventati nell’ultimo mezzo secolo gigantesche aziende spesso collegate alle università, con un numero enorme di dipendenti e pazienti e con forti investimenti nella ricerca. Un esempio è il Massachusetts General Hospital di Boston, uno dei maggiori e più antichi ospedali negli Stati Uniti (è nato nel 1811), legato all’università di Harvard: oggi è un’impresa con 32 mila dipendenti, sette miliardi di dollari di ricavi e oltre due milioni di pazienti visitati all’anno. Il Mass General, come è comunemente chiamato, investe 1,4 miliardi l’anno in ricerca e ha novemilacinquecento ricercatori sparsi in trenta istituti. 


Insieme all’eccellenza sono però saliti continuamente i costi dell’apparato sanitario, che in larga parte ricadono sugli utenti. Gli Stati Uniti non risparmiano sulla sanità: la spesa pro capite è la più alta nel mondo occidentale con circa 12 mila dollari di media all’anno (in Italia è intorno ai quattromila dollari) e per la salute viene speso circa il 17 per cento del pil americano. La media dei paesi europei è intorno all’8 per cento del pil e la Germania, che spende più di tutti, non arriva al 12 per cento.  Ma i soldi che spende l’America non vanno a beneficiare tutti, né necessariamente a garantire la copertura sanitaria ai più deboli. Secondo uno studio della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, le cifre sono così alte perché sono più alti i prezzi dei farmaci, i salari di medici e infermieri e gli stipendi di tutto l’enorme apparato burocratico necessario per tenere in piedi un sistema complesso e basato sulle assicurazioni private.  


Sono almeno trent’anni che governi di destra e di sinistra cercano di contenere i costi del sistema sanitario e le ricadute che questi hanno sui redditi delle famiglie americane, ma con limitato successo. La più grande riforma dagli anni Sessanta è stata quella che ha portato nel 2014 all’entrata in vigore dell’Affordable Care Act, comunemente conosciuto come Obamacare dal nome del presidente che l’ha voluto. I quasi cinquanta milioni di americani che dieci anni fa non avevano alcuna copertura assicurativa si sono dimezzati. Ma le garanzie dell’Obamacare restano limitate e circa venticinque milioni di persone vivono ancora senza alcuna rete di salvataggio nel caso di malattie o traumi.


Ammalarsi, per molti americani, può significare l’inizio del tracollo economico e negli stati più poveri come il Mississippi, soprattutto tra gli afroamericani, questo significa spesso rinunciare alle cure fino a quando non è troppo tardi. E’ il motivo per cui c’è un altissimo tasso di amputazioni di piedi e gambe, per le conseguenze del diabete e di altri malanni legati alla povertà e trattati troppo tardi. E’ anche il motivo per cui in Mississippi oggi l’aspettativa media di vita è 72 anni, la più bassa negli Stati Uniti, inferiore a quelle di paesi che sicuramente hanno strutture ospedaliere che non possono competere con quelle americane, come il Bangladesh, il Vietnam o il Perù. Ma non è che il resto dell’America in media se la passi molto meglio. L’aspettativa di vita della popolazione bianca è intorno ai 77 anni, quella dei neri scende a 71 (in Italia, per fare un paragone, è 84 anni). Nonostante la loro eccellenza sanitaria, gli Stati Uniti sono al sessantesimo posto nel mondo nella classifica dell’aspettativa di vita stilata dal Peterson-KFF Health System Tracker: una statistica citata da Mangione nei documenti che gli sono stati trovati addosso al momento dell’arresto e che rappresentano un po’ il suo “manifesto”. 


E’ l’effetto di tanti fattori, incluse le stragi provocate in questi anni dal Covid e dalle cosiddette “morti per disperazione” legate ad alcool, droghe e suicidi. Ma c’entra molto l’assistenza medica che ci si può permettere nel corso della vita e quest’ultima è sempre più legata a quale assicurazione privata si è sottoscritta (per chi ce l’ha). Il 60 per cento degli americani ha una copertura assicurativa sanitaria che ha ricevuto dal datore di lavoro. Negli ultimi decenni infatti l’assicurazione medica è diventata parte integrante del pacchetto retributivo e molto spesso si sceglie un lavoro piuttosto che un altro proprio in base al tipo di copertura che garantisce. Anche per questo l’industria delle assicurazioni mediche è diventata un colosso da milleseicento miliardi di dollari. UnitedHealthcare, la società di cui era amministratore delegato Thompson, il top manager ucciso da Mangione, è il braccio assicurativo dell’omonimo gruppo sanitario che oggi è leader negli Stati Uniti con 370 miliardi di dollari di ricavi e 440 mila dipendenti. Chi non ha un’assicurazione pagata dal datore di lavoro si affida a Medicare e Medicaid, oppure se la paga da solo o è semplicemente privo di qualsiasi copertura.

Ma avere un programma assicurativo alle spalle non significa certo vivere del tutto sereni. I pazienti oggi sono alle prese con una giungla sanitaria fatta di prezzi in costante ascesa e tariffari che rendono sempre incerto capire cosa pagheranno davvero e cosa no. Da anni i medici sono in guerra con le assicurazioni, perché queste ultime molto spesso pretendono di intervenire per decidere quali tipi di analisi e controlli sono più adeguati. Negli ospedali americani è consueto sentire il racconto di medici che chiedono una risonanza magnetica e si sentono dire dall’assicurazione che è meglio fare un esame meno costoso, come la Tac o i raggi X. A complicare tutto sono i famigerati “deductible”. Si tratta delle franchigie a carico del paziente, che sono sempre un terreno ricco di incognite e sono in buona parte responsabili per i 220 miliardi di debiti che oltre 20 milioni di americani hanno accumulato per cure da pagare. Il diciotto per cento degli adulti con un’assicurazione si è visto rifiutare nell’ultimo anno un rimborso, trovandosi così a dover far fronte da solo ai costi di ospedali e cure. 


E’ questo insieme di sfide e incertezze che ha reso esplosivo il tema della sanità, facendo odiare le aziende del settore fino al punto da arrivare agli applausi per l’omicidio di un top manager. Ed è anche cavalcando questa rabbia che Donald Trump è arrivato di nuovo alla Casa Bianca, promettendo una rivoluzione nel sistema sanitario. A doverla attuare sarà un terzetto che definire controverso è poco. Salvo improbabili rivolte in Congresso, il ministro che governerà tutto sarà Kennedy Jr., che non è solo un negazionista del Covid e un nemico dei vaccini. E’ soprattutto il promotore di attacchi sistematici alla ricerca scientifica che preoccupano tutti i protagonisti del settore: da qui la mobilitazione inedita di 75 premi Nobel per la medicina, la fisica e la chimica che hanno chiesto al Congresso di bloccare una nomina “che mette in pericolo la leadership globale americana nel campo delle scienze della salute”.  Ad affiancare Kennedy, come responsabile di Medicare e Medicaid, ci sarà Mehmet Oz, noto negli Stati Uniti come “Dottor Oz”, un medico che è soprattutto un popolare presentatore televisivo, diventato celebre con programmi nei quali promuove medicine alternative e rimedi bizzarri, anche in questo caso in totale contrapposizione con la gran parte del mondo scientifico. Completa il quadro Dave Weldon, futuro capo dei Cdc – l’apparato che deve proteggere l’America dalle minacce di tipo sanitario – che è a sua volta un sostenitore delle teorie ampiamente sconfessate sul legame tra vaccini e autismo e ha già anticipato di voler cancellare buona parte delle vaccinazioni obbligatorie. 


Trump per ora si è limitato a dire che crede nel vaccino contro la polio, ma ha dubbi su tutti gli altri e che comunque lascerà a Kennedy Jr., Oz e Weldon il compito di “rendere l’America di nuovo sana” (make America healthy again), sfidando Big Pharma e compagnie assicurative. Anche un killer come Mangione, in questo circo della sanità impazzita, rischia di essere scambiato per eroe.