tra mosca e damasco

Kadyrov è la voce di Putin con Julani

Micol Flammini

La Russia vuole rimanere a ogni costo in Siria e il capo del Cremlino affida al suo spietato ceceno combinaguai il rapporto con Hts. Segnali e scambi

Il capo della Repubblica cecena, Ramzan Kadyrov, lunedì scorso pubblicava sul suo canale telegram una  foto al fianco di Vladimir Putin, in cui il capo del Cremlino tiene stretta fra le mani una copia del Corano. La foto risale a qualche mese fa, ma riproporla adesso ha un destinatario ben preciso: Abu Muhammad al Julani, nome di battaglia di Ahmed al Sharaa, capo delle forze ribelli Hayat Tahrir al Sham che hanno organizzato l’avanzata in Siria contro il regime di Assad. La foto di Putin è infatti accompagnata da un messaggio: “L’occidente collettivo sta cercando di far scontrare la Russia con le nuove autorità siriane, non lo permetteremo”. Nello stesso messaggio Kadyrov offre assistenza a Julani per pattugliare le strade, portare ordine, aiutare nella transizione, sostenere i cittadini siriani.  Ovviamente tutto questo aiuto si verificherebbe soltanto in seguito a un ordine esplicito di Vladimir Putin e il messaggio per i siriani è: basta chiedere e noi saremo dalla vostra parte. 


La Russia vuole conservare le due basi che gli anni di sostegno al regime di Assad le hanno consegnato, una navale a Tartus e l’altra a Khmeimim. I futuri rapporti con i nuovi uomini della Siria sono indispensabili, ma non è semplice farsi accettare dalle milizie di Julani e dai suoi alleati dopo aver sostenuto in ogni crimine il dittatore deposto. Kadyrov finora si è dimostrato più bravo a causare problemi al Cremlino piuttosto che a risolverli. La propaganda  sulle abilità belliche dei suoi kadyrovcy  in Ucraina, al di là della brutalità, si è dimostrata caotica e inefficace: i combattenti ceceni si muovono al seguito dell’esercito, non aiutano a far avanzare il fronte. In Russia il capo ceceno è un fattore di caos, ma finisce sempre per essere ricompensato perché tenere tranquilla la Cecenia con i metodi della repressione è per Putin molto importante. Quello che Kadyrov vuole, ottiene. Ma allo stesso tempo è un uomo ambizioso e non si tira indietro quando il capo del Cremlino gli affida delle missioni, ci tiene ad avere una porta sempre aperta nei palazzi del potere e sa che la Cecenia sarà per sempre un’arma puntata sul fianco di Putin. Secondo fonti del quotidiano online Novaya Gazeta Europe, nei primi giorni di dicembre, quando era ormai chiaro che l’avanzata dei ribelli fosse seria, ben organizzata e che l’esercito siriano si sarebbe liquefatto, Putin ha ricevuto Kadyrov al Cremlino. Il sito russo erede della storica Novaya Gazeta, che dopo l’invasione del 2022 ha chiuso per riaprire una nuova edizione in Europa, racconta che durante l’incontro Putin avrebbe chiesto al leader ceceno di gestire i rapporti con la nuova Siria. Non ci sono conferme, ma è possibile notare un particolare attivismo da parte di Kadyrov che dice tutto quello che il capo del Cremlino non può ancora dire, inclusa la promessa di grano. 

Putin ha accolto a Mosca Assad e la sua famiglia, durante la conferenza stampa di fine anno ha detto di non aver ancora incontrato il dittatore siriano, ha preso le distanze da quando non è  più al potere nonostante siano diventati concittadini. Putin ha però detto che non vede perché l’esercito russo non possa mantenere le sue basi in Siria: basta trovare i punti in comune con chi gestisce adesso il paese. Kadyrov ha chiamato i ribelli “autorità”, ha scritto che “Assad ha fallito” e ha usato parole mansuete e accattivanti: “Credo sia necessario dialogare… Penso che siano molto fedeli alla Russia e manterranno i rapporti con noi”. Il capo del Cremlino non può sorridere apertamente a Julani, non può offrire il suo aiuto diretto anche perché, come altrove, anche in Russia Hayat Tahrir al Sham è iscritto nella lista delle organizzazioni terroriste. Molti paesi stanno considerando la rimozione, ma per Putin è più complicato – ha Assad in casa, era l’alleato del regime, ma non vuole andarsene dalla Siria – quindi potrebbe aver lasciato al musulmano Kadyrov il compito di sondare il terreno, cucire dei rapporti, gestire un compito che forse un tempo avrebbe affidato a Evgeni Prigozhin, il capo delle milizie mercenarie Wagner che maneggiava tutti gli affari nascosti del Cremlino ed è stato ucciso lo scorso anno. Kadyrov non è Prigozhin, finora non si è dimostrato utile, al di là della spietatezza, ma il circolo repressivo che Putin si è cucito attorno offre sempre meno. 


Kadyrov ha trasformato la Cecenia nel suo califfato, Putin lo lascia fare e se davvero lo ha informalmente nominato delegato agli affari siriani deve avergli promesso qualcosa in cambio per invogliarlo a fare un buon lavoro. Anche su questo Novaya Gazeta ha una spiegazione: la gestione di Wildberries, il più grande rivenditore online russo. Per controllarlo, qualche mese fa, Kadyrov organizzò una sparatoria nella sede principale di Mosca, non distante dal Cremlino. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)